IL SACRO GRAAL DEI MARI – IL RELITTO DEL LEGGENDARIO GALEONE SAN JOSÉ INDIVIDUATO A 600 METRI DI PROFONDITÀ NELL’OCEANO ATLANTICO DA UN ROBOT SUBACQUEO: ARMI, MANUFATTI, DELFINI INCISI SUI CANNONI E UN BOTTINO DI ORO, ARGENTO E DIAMANTI DAL VALORE DI 14 MILIARI DI EURO – LA POSIZIONE ESATTA IN CUI SI INABISSÒ NEL 1708 RIMANE SEGRETA A CAUSA…
DAGONEWS
Chissà per quanti secoli ancora sarebbe rimasto nascosto in fondo ai Caraibi se non fosse stato per Remus 6000, il robot subacqueo e autonomo che già nel 2011 era riuscito a trovare in mezzo all'Oceano Atlantico il relitto dell'Air France 447, precipitato due anni prima con 228 persone a bordo.
Anche questa volta il robot ha fatto centro, riuscendo a localizzare a 600 metri di profondità, al largo della Colombia, vicino alle isole del Rosario, il "Sacro Graal" dei mari, il leggendario galeone spagnolo a tre alberi San José che, con 600 persone a bordo, fu affondato nel giugno 1708 dalle navi britanniche insieme al bottino da capogiro che stava portando in Spagna per finanziare la guerra proprio contro gli inglesi: un carico di monete d'oro e d'argento, diamanti e altre pietre preziose per un valore attuale di oltre 14 miliardi di euro.
Cercato in lungo e in largo per trecento anni proprio come se fosse il "Sacro Graal", è stato scoperto nel novembre 2015 da Remus, ma solo in questi giorni sono stati forniti ulteriori dettagli sul ritrovamento, visto che da anni la proprietà del San José e del suo bottino sono oggetto di contenziosi internazionali tra la Colombia, la Spagna e la Sea Search Armada (SSA), compagnia di salvataggio con sede negli Stati Uniti.
Contenziosi in virtù dei quali la posizione esatta del naufragio è ancora tenuta segreta e la nave non è stata ancora recuperata.
Le ricerche sono state condotte da un team di esperti internazionali dell'Istituto oceanografico americano Whoi, dalla Marina colombiana e dall'istituto di Archeologia del Paese che tre anni fa hanno trovato finalmente il San José grazie a Remus 6000: il robot ha utilizzato il sonar per individuarlo a 600 metri di profondità, è sceso fino a 10 metri dal relitto e ha scattato una ricca serie di foto che costituiscono una prova dell'identità del galeone, alcune delle quali ritraggono le armi, le ceramiche, i manufatti, i delfini incisi sui cannoni della nave.
Sono nuovi dettagli che sono stati rilasciati solo lunedì con il permesso delle agenzie coinvolte nella ricerca, incluso il governo colombiano.
«Il relitto era parzialmente ricoperto di sedimenti - ha detto Mike Purcell, ingegnere della Whoi e capo della spedizione - ma grazie alle immagini della telecamera siamo stati in grado di vedere nuovi dettagli nel relitto, con una risoluzione sufficiente per distinguere le sculture decorative sui cannoni. È stato un grande momento».
Avuta la conferma che si trattava proprio del galeone San José, il presidente colombiano Santos disse che si trattava di «una delle più grandi - se non la più grande - scoperte di patrimonio sommerso nella storia dell'umanità».
Il punto esatto in cui si trova il galeone, come già detto, è ancora un segreto di Stato, visti i contenziosi in atto.
La Colombia ne rivendica il possesso in quanto situato nelle proprie acque territoriali, mentre la Spagna avanza diritti sostenendo che la nave batteva bandiera spagnola al momento del naufragio.
Dal canto suo, la Sea Search Armada sostiene di aver localizzato il galeone già nel 1981 e di aver poi stipulato un patto con il governo colombiano per la divisione del bottino: un accordo che la Colombia si sarebbe rimangiato sostenendo che l'area individuata dalla Sea Search non era quella giusta.
In attesa che si arrivi a una soluzione, l'Unesco ha invitato la Colombia a non sfruttare commercialmente il relitto.
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