Massimo Lugli per “la Repubblica”
ROGO CENTOCELLE STUDENTESSA CINESE
Una storia di sangue, morte, vendette, arresti e scarcerazioni. Una trama d' odio che sembra arrivata all'epilogo, almeno giudiziario, ma che sicuramente andrà avanti per anni e rischia di sfociare in una di quelle eterne faide tra famiglie nomadi che punteggiano la cronaca nera, in particolare romana.
MAMMA TRE RAGAZZE ROM ROGO CENTOCELLE
Una trama di orrore che batte la fantasia più cupa di qualsiasi scrittore noir e che inizia nel dicembre scorso, con uno scippo finito in tragedia, prosegue con una catena di incendi dolosi, sfocia nell' atroce morte di tre sorelle di 20, 8 e 4 anni il 10 maggio e si conclude, almeno formalmente, ieri a Bosanska Gradiska, con l' arresto degli ultimi due ricercati, Renato e Jonson Seferovic.
Quel che accadrà al processo è ancora un' incognita: un finale aperto come in ogni giallo che si rispetti. Ma iniziamo dal prologo. È il 5 dicembre 2016 quando Zhang Yao, 19enne cinese dai grandi occhi e dal fisico minuto, studentessa dell' accademia di Belle Arti di via Ripetta, esce dall' ufficio immigrazione di Tor Sapienza e viene aggredita da due scippatori.
MADRE RAGAZZE ROM MORTE ROGO CENTOCELLE
Ordinaria amministrazione in una zona dove la criminalità predatoria è sempre in agguato. I due strappano alla giovane una borsa firmata, lei, d' istinto, li insegue mentre fuggono verso il vicino campo di via Salviati, attraversa di corsa i binari della ferrovia, non si accorge del treno in arrivo e viene travolta. Il corpo è scaraventato dietro a un cespuglio, e passa un giorno e mezzo prima che venga scoperto. Gli aggressori sono già in fuga.
Mentre mezza Italia si commuove davanti alla dignità dei parenti arrivati dalla Cina, che chiedono giustizia, la polizia draga l'ambiente dei rom di origine slava, il gruppo etnico più potente e numeroso nel campo. Gli investigatori si rivolgono a quelli che contano e chiedono collaborazione. La buona, vecchia, tattica del bastone e della carota: diteci chi è stato o buttiamo giù tutto. Funziona, almeno così sembra se, qualche giorno dopo, due ragazzi finiscono in carcere: Serif Seferovic, 20 anni, e Gianfranco Ramovic.
Se la caveranno con poco: due anni e un anno e mezzo, patteggiamento e scarcerazione immediata. I magistrati non vedono un nesso tra lo scippo e la morte di Zhang Yao. Potrebbe finire qui, ma purtroppo siamo appena alla prima parte. Perché le leggi dei khorakhanè in fatto di omertà, sono più inflessibili del codice penale e non consentono sconti.
Nel mirino dei Seferovic finisce Romano Halilovich, un uomo grosso, loquace, impulsivo che, in una serie d' interviste, ammette candidamente di aver dato una mano agli sbirri in nome dell' onore dei rom. Vero? Falso? Gli investigatori nicchiano, puntano piuttosto su una storia di gioielli da spartire e di alloggi affittati (perché nei campi nomadi ci sono anche gli abusivi degli abusivi: paga o la tua roulotte va a fuoco). Halilovic, invece, insiste nella sua versione. Sta di fatto che tra i Seferovic e gli Halilovic è guerra. E l'arma preferita, come spesso in questi casi, è il fuoco. Coltello o mazza di ferro sono meno efficaci di una bottiglia incendiaria.
Un camper di Romano Halilovic brucia come una torcia nel campo di via Salviati, l'uomo capisce di aver pestato i piedi alle persone sbagliate e decide di cambiare aria. Si trasferisce a Centocelle con un piccolo stuolo di parenti, tiene un profilo basso in attesa che si calmino le acque ma non basta: poco dopo va a fuoco la roulette della madre, a La Barbuta.
L'odio e la sete di vendetta dei rivali non sono ancora placati: il 10 maggio, un furgone bianco si ferma accanto al camper nel parcheggio del centro commerciale Primavera, a Centocelle. Gli assassini scendono, lanciano due molotov e scappano. Nel camper dormono 13 persone che si svegliano urlando quando le fiamme stanno già divorando tutto. Per la piccola Francesca, 4 anni, Angelica di 8 e Elisabeth di 20 è una fine atroce.
All' inizio si pensa a un gesto d' intolleranza, interviste di inquilini increduli rimbalzano sui tg, ma alla fine, grazie alle ormai onnipresenti telecamere di sicurezza, la verità viene a galla. Serif Seferovic, 20 anni, tre figli, viene arrestato a Torino, dov' è appena tornato dalla Bosnia. Segue un conflitto tra procure. Con un classico assurdo giudiziario all' italiana, il magistrato convalida il fermo ma decide la scarcerazione: è palese che siano stati i Seferovic, ma le prove su Serif non bastano a trattenerlo. Il giovane nega e si augura che i veri colpevoli vengano arrestati.
La procura di Roma prepara il ricorso. Oblio fino a due giorni fa, quando, evidentemente in base a nuove prove, Seferovic e il fratello Andrea (che risponde di un incendio e non della strage) finiscono nuovamente in manette, ancora a Torino. Ieri in Bosnia tocca a Jonson e Renato (che, secondo il padre, stava per fare una plastica facciale). Il cerchio si è chiuso? Difficile crederlo. Altro dolore potrebbe arrivare presto.