Riccardo De Palo per il Messaggero
Tutti conosciamo, per la loro fama sinistra, dittatori come Stalin e Hitler; o leader celebri per le loro conquiste positive, che siano Churchill o Lincoln. Eppure, se è vero che sono le persone comuni a fare la Storia, tutti dovremmo conoscere il nome di Stanislav Evgrafovi Petrov.
E invece, chi era costui?
L'uomo che ha salvato il mondo - perché di questo titolo avrebbe potuto fregiarsi il tenente colonnello dell'Armata Rossa - è scomparso all'età di 78 anni, nello stesso anonimato in cui era vissuto, nella sua casa alla periferia di Mosca. Non solo: la notizia della sua morte, avvenuta nel maggio scorso, è trapelata soltanto perché qualcuno si è ricordato dell'anniversario di quel 26 settembre del 1983, e ha voluto provare a cercarlo.
Ma cosa è successo, esattamente, 34 anni fa? Perché ci interessiamo tanto di quest'uomo nato a Vladivostok, là dove finisce la Transiberiana, cresciuto al tempo della Guerra Fredda e della divisione del mondo in due blocchi? L'alto ufficiale all'epoca era un analista in forze al centro di comando e controllo, chiamato a monitorare i silos in cui gli americani custodivano le loro forze strategiche. Il suo bunker era nei pressi di Mosca e si chiamava Serpuchov 15.
Quindici minuti dopo la mezzanotte, Petrov ricevette dai radar intercettori il segnale che sperava di non vedere mai: cinque missili termonucleari stavano per abbattersi sul territorio dell'Unione Sovietica, con il loro carico di morte e distruzione. Avrebbe dovuto seguire scrupolosamente il protocollo e informare immediatamente il Cremlino, che a sua volta avrebbe avuto soltanto quindici minuti per ordinare la rappresaglia. Invece ebbe una reazione che a qualcuno parve degna dell'indolenza di Oblomov, ma che invece era dettata da grande scrupolo e professionalità.
Cominciò a verificare i dati che si trovava di fronte perché qualcosa, a suo avviso, non quadrava. Gli americani - pensò - non avrebbero certamente lanciato soltanto un grappolo di missili, aspettando la risposta devastante che ne sarebbe seguita. Sarebbe stato un attacco troppo esiguo, rispetto alla potenza di fuoco di cui disponevano realisticamente gli Stati Uniti. L'ufficiale era insomma convinto che doveva essersi verificata un'avaria nel sistema. Così, invece di comportarsi come un Dottor Stranamore, pronto a premere il pulsante dell'Apocalisse, non avvertì nessuno. E salvò la Terra dalla minaccia di una catastrofe termonucleare.
Sarebbe stato lecito aspettarsi una qualche forma di riconoscimento, di ringraziamento, per avere evitato un abbaglio di simili proporzioni. La sua decisione, in fondo, era stata quella giusta; il disastro era stato evitato. Eppure, il fatto di avere rivelato che qualcosa non funzionava, in quel meccanismo sovietico che doveva essere considerato perfetto per definizione, divenne una colpa incancellabile.
L'ufficiale troppo scrupoloso fu redarguito, e, in seguito, posto in pensione anticipata. Come un qualsiasi militare punito per un errore inconfessabile. Se qualcosa era andato storto, era a causa di qualcuno molto più in alto di lui, e che non doveva essere in alcun modo smascherato.
Petrov non ebbe altra scelta che ritirarsi in buon ordine, roso dall'amarezza, in un paese vicino alla capitale che si chiama Frjazino, che deve il nome agli artisti italiani che venivano a lavorare in Russia al tempo degli Zar. Era in pace con sé stesso. In fondo, aveva soltanto seguito il precetto di Gogol: «Evita qualsiasi frenesia, lascia che i tuoi giudizi smascherino la stupidità».
Ma cosa era successo al sistema di controllo? In seguito, si capì che quel segnale proveniente dai satelliti puntati sulla base di Malmstrom, in Montana, era un abbaglio dovuto a una rara congiunzione astronomica. La posizione della Terra e del Sole rispetto ai sensori in orbita, in quel periodo di equinozio, aveva provocato un errore di enormi proporzioni. Il caso fu messo in sordina e rivelato soltanto una decina di anni dopo. Ma non fu certo l'ultimo del genere. Già nel 1962, durante la crisi dei missili di Cuba, gli Usa del presidente Kennedy e l'Urss di Kruscev erano stati sull'orlo di un conflitto globale. E anche in questo caso a salvare il mondo fu un oscuro ufficiale della Marina, Vasili Alexandrovich Arkhipov, che non lanciò una testata nucleare.
Ma in quello stesso 1983, un'altra crisi era in agguato. Accadde a novembre, quando l'Unione Sovietica scambiò una banale esercitazione militare della Nato - denominata Able Archer 83, ovvero l'abile arciere dell'83 - per la preparazione di un attacco. Gli alleati volevano tenersi pronti nel caso che una guerra convenzionale sfociasse all'improvviso in un attacco nucleare. E per questo avevano testato i loro sistemi di comunicazione, ispezionato i missili e coinvolto persino i leader nazionali. Tutto sembrava andare per il verso sbagliato - come nella più famosa delle leggi di Murphy - quando l'esercitazione americana ebbe termine, e così finirono anche le paranoie dei russi. Ma, ancora una volta, il mondo era stato a un passo dall'olocausto.