GASDOTTI NABUCCO NORTH E SOUTH STREAM
Luigi Grassia per “la Stampa”
«Se la crisi in Ucraina si aggrava e se la Russia chiude le manopole del gas diretto all’Europa occidentale, possiamo resistere per 6 mesi senza problemi. Abbiamo fatto gli stress test e lo abbiamo verificato. Ma non credo che ci si arriverà. Perché l’Ue è il principale cliente della prima voce di esportazione della Russia, e abbiamo bisogno gli uni degli altri». Parola dello slovacco Maros Sefcovic, vicepresidente della Commissione Ue e responsabile per la Energy Union.
Come siete arrivati a conteggiare 6 mesi di autonomia senza il gas russo?
«Abbiamo condotto una valutazione approfondita presso tutte le imprese della filiera del gas nell’Ue, dall’estrazione al trasporto e dallo stoccaggio alla distribuzione, e questo è stato l’esito».
Ma dalla Russia l’Ue importa il 40% del metano. Se un’eventuale muro contro muro con Mosca si protraesse per più di 6 mesi saremmo nei guai?
«Certo, ci sarebbero dei problemi. Però abbiamo imparato molto dalle passate interruzioni nelle forniture, quando ci furono altre crisi fra Ucraina e Russia, e abbiamo acquisito l’esperienza necessaria a gestirle. Poi quest’autunno faremo delle proposte per una nuova strategia che aiuti a usare meglio l’energia in Europa».
Il numero uno dell’Eni, Claudio Descalzi, ha detto pochi giorni fa che non si può fare a meno del gas russo per 5 o 6 anni. Ma anche nel medio-lungo termine lei vede dei fornitori alternativi che siano anche politicamente affidabili?
«Fra qualche anno saranno diventati produttori importanti Cipro e Israele. E l’Europa avrà un nuovo canale di approvvigionamento dal Corridoio Sud, cioè la linea di gasdotti che ci congiungerà con l’Azerbaidjan e in prospettiva con il Turkmenistan e anche con l’Iran».
Però se lei cita Paesi come questi ultimi tre, un problema di affidabilità si pone. Chi lo sa come saranno, politicamente, fra X anni?
«Certo, molto dipende dagli sviluppi della geopolitica. Ma il senso della nostra strategia non è sostituire la Russia con altri fornitori ma far crescere il numero delle alternative disponibili».
A parte i gasdotti, l’alternativa del metano liquefatto e dei rigassificatori è importante?
i giacimenti di shale gas in america
«Sì, è interessante soprattutto perché vediamo che, per la prima volta, il prezzo del gas sui mercati spot in Asia è più basso del metano trasportato in Europa con le pipeline. All’Ue servono più rigassificatori».
E il nuovo gas da scisto americano, lo shale gas? Resterà un miraggio per l’Europa?
«No. Il ministro americano dell’Energia, Ernest Moniz, mi ha detto di aver appena firmato le autorizzazioni per cominciare a esportarlo, cosa che finora gli Stati Uniti non volevano fare. L’intenzione è di venderne 90 miliardi di metri cubi all’anno».
È una quantità superiore al consumo italiano. Ma quand’è che questo gas comincerà ad arrivare?
«Non c’è una data, prima bisognerà realizzare le infrastrutture. Ma per cominciare a realizzarle era essenziale che prima venisse annunciato il via libera politico all’export, e con dei numeri precisi. Adesso si può partire».