Guido Santevecchi per “Il Corriere della Sera”
Il racconto è da film dell’orrore: «Erano le tre del mattino di giovedì scorso, tornavo in moto da una spiaggia di Phuket con un’amica russa. Ci siamo trovati circondati da quattro motorini, uno ci è venuto addosso, ci ha sbalzato a terra; dagli altri due sono smontati in quattro e ci hanno ributtati giù quando cercavamo di rialzarci; poi dall’ultimo motorino è sceso uno alto che mi ha tirato quattro coltellate, ha preso la mia borsa, ha trovato il mio passaporto nella tasca dei miei pantaloni, lo ha guardato bene come se volesse identificarmi. Sono riuscito a fuggire per un centinaio di metri, fino al cancello di un resort, per questo mi sono salvato».
La vittima, che ricorda quegli attimi di terrore nell’isola delle vacanze in Thailandia, si chiama Antonio Papaleo, 44 anni: giornalista, c’è scritto sui suoi documenti. E pensa di essere stato aggredito proprio per il suo lavoro.
È una storia lunga e strana quella che ci racconta al telefono. Una storia che parte da Cosenza dov’è nato, passa per Bratislava e Praga dove ha aperto e diretto giornali online, arriva a Hong Kong dove è il testimone chiave in un processo per riciclaggio internazionale di denaro sporco a carico di una gang dell’Europa orientale. Alla Corte distrettuale di Hong Kong, Papaleo ha raccontato di essersi infiltrato nel 2012 in una rete malavitosa con radici in Slovacchia e nella Repubblica Ceca, fingendosi alcolizzato, drogato e senza scrupoli pur di fare soldi.
Avrebbe così ottenuto la fiducia di Juraj Jariabka, uno slovacco che gli avrebbe affidato il compito di aprire conti correnti di comodo a Hong Kong, per ripulire profitti illegali. Ai giudici Papaleo ha spiegato che il suo scopo era di produrre reportage sulle attività della malavita. Gli hanno creduto e si tratta di una partita rischiosa, perché a Hong Kong Papaleo sarebbe effettivamente riuscito ad aprire quei conti di comodo senza che un paio di grosse banche gli facessero troppe domande sull’origine dei fondi. In gioco quindi c’è anche la credibilità del sistema bancario dell’ex colonia britannica.
Lo slovacco, Juraj Jariabka, è stato arrestato nell’estate 2013 e il processo è in corso: in aula sono stati mostrati dei video girati con una telecamera nascosta dall’italiano. Poi Antonio Papaleo ha denunciato di aver ricevuto minacce di morte. La vicenda giudiziaria dura da più di un anno e, sentendosi sempre in pericolo, il freelance italiano si è nascosto; all’inizio di luglio è partito per la Thailandia, in attesa della ripresa delle udienze il 12 agosto.
«Io sono un uomo in fuga da più di un anno», ci dice. «E delle due l’una: o sono un turista molto sfortunato oppure dietro quella gang di ragazzi thailandesi c’era altro». Ne hanno arrestati sette, ne mancano un paio, tra cui il capo, pare. Hanno detto di essere stati ubriachi e drogati di metanfetamine quella notte.
Poco dopo aver accoltellato Papaleo, hanno attaccato un’altra turista: potrebbe essere stato parte del piano per depistare, non ho le prove, magari è solo una mia fantasia, ci dice Papaleo. «Ma quelli che ho denunciato a Hong Kong sono pericolosi e potenti e intanto la polizia di qui mi ha spostato dalla corsia comune dell’ospedale, mi ha messo in una stanza e mi protegge».
Papaleo ha subito un’operazione lunga, gli hanno dovuto asportare la milza.
«Ci ho messo due anni per infiltrarmi nella malavita esteuropea; ho finto di lavorare per loro tre mesi a Hong Kong; dopo averli denunciati sono stato nascosto un anno, poi in Thailandia pensavo di essere al sicuro, forse mi hanno tracciato su Internet, quando usavo il pc». Perché tutto questo? «Perché sono un giornalista e ci credo».
Ma perché non ha mai scritto una riga sulla sua storia? «Aspetto la fine del processo, Juraj Jariabka non è il boss, è solo un intermediario di una banda molto potente, io ho particolari che tengo per me: io so chi erano i veri beneficiari di quei conti che dovevo aprire a Hong Kong. Sono nomi che faranno tremare Bratislava e Praga. E li farò».
È una storia strana, l’abbiamo detto. Papaleo ha usato anche un nome di battaglia poco plausibile per accreditarsi presso la banda: Tony Corleone. Non è iscritto all’Ordine dei professionisti in Italia, ma è accreditato presso organizzazioni internazionali. Neanche il suo giornale, «La Voce della Slovacchia», ha riferito l’avventura del suo direttore: circostanza che naturalmente solleva dei dubbi.
Ma intanto «Reporter senza Frontiere» ha deciso di sostenere il collega italiano in pericolo, invocando per lui protezione. Che farà Antonio Papaleo quando il processo sarà chiuso? «A Bratislava e Praga non credo di poter tornare, anche Cosenza non sarebbe sicura per me, perché quelli saprebbero trovarmi subito. Sono un uomo in fuga».