STUPRATORI IN BICICLETTA – UNA TRENTENNE INSEGUE IL MAROCCHINO CHE LE AVEVA RUBATO LA BICI, LUI LA SFIDA: “VIENI A RIPRENDERTELA”, E POI LA STUPRA – ACCADE AD AREZZO, IN UNA ZONA RESIDENZIALE BENESTANTE. È LA SECONDA VIOLENZA IN DIECI GIORNI, MA STAVOLTA…
Salvatore Mannino per “la Nazione – Arezzo”
Via Curina è una strada tranquilla, alle spalle del supermercato Pam dei Cappuccini: zona ariosa e benestante, incastonata fra un’area residenziale degli anni ’60 ( i Cappuccini appunto) e il nuovo quartiere del Pantano.
A guardare il verde in cui sono immerse le case (alcune ancora in costruzione) e il parco sul lato della strada, tutto verrebbe da pensare meno che quello è il teatro di un altro sconcertante caso di violenza sessuale, il secondo in una decina di giorni, ma stavolta lo stupratore (presunto) non è il marito, come a Cortona, bensì un clandestino di origine marocchina, giovane ma già con un suo passato alle spalle, fatto di precedenti per piccolo spaccio e altri reati.
I carabinieri sono andati a prenderlo sabato, con un mandato di fermo del Pm di turno Julia Maggiore, al termine di un’indagine breve e di successo, anche per il coraggio della vittima nell’indicare il suo aguzzino.
I fatti però sono di giovedì sera, fra il lusco e il brusco, come si dice ad Arezzo, quando insomma stava già calando il buio. Protagonista involontaria una trentenne aretina, che gli inquirenti definiscono tranquilla, una insomma che non va a infilare la mano nel vespaio per imprudenza.
Comincia tutto quando lui le porta via la bicicletta. Poi, a lei che lo insegue, la sfida: vieni a riprendertela. La ragazza non si fa pregare e cerca di recuperare quello che è suo. Non sa, non può sapere, che le ganasce della trappola le si stanno richiudendo addosso. Il marocchino usa la bici come esca finché non arrivano entrambi in un punto appartato, nel quale lui fa di conto di poter sfogare i suoi comodi.
E’ a quel punto che salta addosso alla giovane e la stupra. I particolari che trapelano si fermano qui. Non si sa, dunque, se lei abbia urlato, se abbia scalciato o peggio per cercare di difendersi.
Ma anche se ha abbozzato un tentativo di reazione, anche se non è rimasta vittima del meccanismo psicologico della sorpresa che ti paralizza, il tutto si perde nel silenzio del luogo appartato che lui ha scelto per l’agguato. La giovane non denuncia subito. E’ sotto choc, lascia passare la notte prima di recarsi la mattina dopo al comando provinciale dei carabinieri.
Qui le lasciano appena cominciare il suo racconto e quando capiscono di cosa si tratta le consigliano subito di andare in ospedale, al San Donato, per avviare la procedura del codice rosa, quello che tutela i soggetti deboli vittime di violenze, in questo caso di violenza sessuale.
Basta qualche ora perchè dai medici arrivi la conferma di quanto dice la giovane: c’è stato un rapporto sessuale e non è stato consensuale, i segni obiettivi indicano uno stupro.
A questo punto le indagini del nucleo operativo della compagnia di Arezzo dei carabinieri sono già in moto.
Lei, per quanto provata dall’accaduto, è brava nel fornire gli elementi, compreso il nome, che consentono di dare un volto all’aggressore. A quel punto la parola passa al Pm Julia Maggiore, che decide di procedere con il provvedimento di fermo. Gli uomini dell’Arma lo eseguono sabato, per il clandestino si aprono le porte della galera.
Già oggi potrebbe svolgersi l’udienza di convalida dinanzi al Gip. Il resto è fatto di un percorso già visto in tante occasioni: lei che cristallizza la sua versione davanti a un giudice, o in incidente probatorio o nel processo vero e proprio, lui che rischia grosso.
Ancora non si sa come si difende. Ammetterà lo stupro o racconterà la solita storia di lei che ci stava? Comunque sia, un altro caso destinato a rinfocolare le polemiche sui clandestini che alimentano il microcrimine o, peggio, le violenze sulle donne.