TOGHE ROTTE – PER IL CONSIGLIO GIUDIZIARIO DI MILANO, DIRAMAZIONE LOCALE DEL CSM, BRUTI HA SBAGLIATO A CACCIARE ROBLEDO DAL POOL ANTI-CORRUZIONE – SE VANNO AVANTI COSI’, SI ARRESTANO TRA DI LORO…
Luigi Ferrarella per “il Corriere della Sera”
La revoca della delega, con la quale il 3 ottobre il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati ha tolto al procuratore aggiunto Alfredo Robledo la guida del pool anticorruzione, da Bruti «è stata utilizzata per risolvere in modo improprio l’esistenza di un conflitto» dietro «una natura apparentemente organizzatoria»: invece quel provvedimento «si è sostanzialmente risolto in un esautoramento completo di Robledo senza alcuna considerazione della sfera di autonomia della funzione» di procuratore aggiunto, e di fatto «si è sostanziato in un trasferimento d’ufficio» di Robledo «non consentito dall’attuale sistema ordinamentale».
È quanto il Consiglio Giudiziario del distretto della Corte d’Appello di Milano (diramazione locale del Csm formata da magistrati, avvocati e professori) ha votato alle 19.30 di ieri di comunicare al Csm dopo una infuocata discussione, iniziata alle 9 del mattino e finita con 12 favorevoli ai rilievi mossi a Bruti Liberati (i giudici Bricchetti, Chiuri, Martini, Panasiti, Perrotti e Scalise, il pm Tatangelo, le pg Bertolè Viale e Ciaravolo, gli avvocati Betti, Lanzi e Madeo) contro 4 contrari: i magistrati Beccarini, Meyer, Villa e Zamagni, che di Bruti difendono «meri interventi di coordinamento dopo che plurime interlocuzioni non avevano sortito l’effetto di far cessare i comportamenti assunti da Robledo in violazione dei criteri organizzativi».
Si astiene il presidente Canzio, per il quale «i provvedimenti organizzatori» di Bruti, «pure astrattamente suscettibili di talune censure soprattutto per il profilo della tempestività oltre che della adeguatezza, rappresentano solo l’esito necessitato, e privo di sostanziali alternative, a una situazione conflittuale resasi ormai non più sanabile con altri e più miti atti di tipo organizzatorio».
Ma nel verbale della seduta, che con inedita trasparenza il presidente della Corte mette a disposizione anche dei giornalisti, c’è di peggio sia per il capo sia per il vice. Non soltanto perché di Bruti Liberati vengono criticati come «non legittimi» e «sorretti da motivazioni solo apparenti» anche due precedenti provvedimenti con i quali vietò a Robledo due interrogatori dell’inchiesta Expo, e coassegnò l’inchiesta Mose proveniente da Venezia non ai pm Pellicano-Polizzi che già avevano un fascicolo collegato ma al tandem Orsi-Pellicano.
CAMERA ARDENTE DI GERARDO DAMBROSIO ALFREDO ROBLEDO
E nemmeno soltanto perché per Robledo viene evocata la possibile trasmissione alla Corte dei Conti della storia del milione di euro di parcelle a tre professionisti nominati dal pm nel 2009 come custodi giudiziari di somme sequestrate in un processo e depositate su una banca di Carate Brianza anziché sul Fondo Unico Giustizia.
La vera ipoteca su capo e vice, entrambi in attesa dopo i primi 4 anni di essere o meno confermati dal Csm nei ruoli di procuratore (fino a dicembre 2015) e di aggiunto, è invece che vengono accomunati dal severo giudizio (stavolta all’unanimità del Consiglio Giudiziario) sulla «situazione conflittuale ormai insanabile e insostenibile, che si sta protraendo da troppo lungo tempo in Procura».
Il Consiglio Giudiziario accenna anche a una spiegazione più strutturale, il cambio di ordinamento giudiziario 2006/2007 (con la marcata gerarchizzazione valorizzata questa estate dal presidente della Repubblica in una lettera alla vigilia della prima non-decisione del Csm): lo scontro tra pm milanesi — viene infatti rilevato — «trova le sue radici nel disancoramento degli uffici di Procura dal sistema tabellare», che regola e tutela i giudici. Il risultato è un «quadro d’insieme fortemente deteriorato» che «ha bisogno di risposte urgenti da parte del Csm» per «superare il disagio diffuso di magistrati, avvocati, organi investigativi e cittadini», e «ripristinare l’autorevolezza dell’immagine della Procura».