TOMBE DI GHIACCIO - LUNEDÌ NERO SULLE ALPI: 5 ITALIANI MORTI IN SVIZZERA DOPO ESSERE STATI BLOCCATI DA UNA TEMPESTA DI NEVE A 500 METRI DALLA SALVEZZA. ''HO CAPITO COS'È L'INFERNO'', IL RACCONTO DI UN SUPERSTITE - DUE MORTI ANCHE SULLE ALPI BELLUNESI, UN'ALTRA VALANGA HA FATTO UN MORTO E FERITO UNA DONNA
ANSA
Si fa ancora più tragico il bilancio dell'incidente sulle Alpi svizzere nella zona della Pigna d'Arolla: una sesta persona, una donna di nazionalità bulgara di 52 anni, è morta in ospedale. Lo riferisce all'ANSA il portavoce della polizia cantonale Markus Rieder. Gli altri cinque deceduti sono italiani, tra cui la guida alpina Mario Castiglioni che aveva organizzato la spedizione assieme alla moglie, di nazionalità bulgara, Kalina Damyanova.
C'è anche un'italiana di 43 anni tra i tre scialpinisti ricoverati in gravi condizioni dopo essere rimasti bloccati dalla bufera, la notte tra domenica e lunedì, sulle Alpi svizzere, nella zona della Pigna d'Arolla. Non è lei a lottare "tra la vita e la morte", ha specificato il portavoce della polizia cantonale del Vallese Markus Rieder, ma uno degli altri due feriti: uno svizzero di 72 anni e una francese di 56. Sono stati portati in ospedale per ipotermia in condizioni non gravi tre francesi (due uomini e una donna di 58, 57 e 55 anni), una tedesca di 48 anni e un italiano di 50, l'architetto Tommaso Piccioli, già dimesso nel corso della mattinata.
Nell'incidente alpinistico "tutti gli scialpinisti coinvolti sono stati recuperati e portati negli ospedali svizzeri". Lo precisa all'ANSA il portavoce della polizia cantonale che ha coordinato i soccorsi. "Non risultano pertanto - aggiunge - dispersi".
marcello alberti e gabriella brernardi
Secondo quanto ha riferito all'ANSA la gendarmeria cantonale del Vallese, uno dei feriti gravi è deceduto in ospedale nelle ultime ore.
Tra le vittime, oltre alla guida della spedizione, Mario Castiglioni di Como, ci sono anche tre escursionisti esperti di Bolzano, Elisabetta Paolucci, Marcello Alberti (53 anni) e Gabriella Bernardi (53 anni), marito e moglie.
"Parto domani per la mia grande avventura". E' quanto ha scritto Elisabetta Paolucci il 24 aprile ad un amico il giorno prima della partenza. Insieme a Marcello Alberti (53 anni) e Gabriella Bernardi (53 anni), marito e moglie, Elisabetta, insegnante di italiano a Bolzano si preparava a partire con i suoi amici e compagni di cordata da tempo, per compiere la Haute Route dal Monte Bianco al Cervino con gli sci. "Lo zaino è pronto. Le gambe speriamo che reggano ai chilometri e al dislivello", scrive Paolucci ancora nel suo messaggino all'amico.
Elisabetta, detta Betti, era una grande appassionata dello sport all'aria aperta. La professoressa di italiano di un liceo bolzanino si era presa un anno sabbatico per approfondire gli studi, ma anche per compiere delle escursioni in montagna e in barca a vela. La notizia della morte dei tre amici, che da tempo stavano preparando questa impresa alpinistica con una guida alpina, ha suscitato grande sconforto a Bolzano. Inoltre, Marcello Alberti era un commercialista molto noto in città.
Superstite: 'Vivo grazie ad esperienza' - "Sto bene. Mi hanno appena dimesso dall'ospedale": Tommaso Piccioli è uno dei partecipanti alla spedizione finita in tragedia sulle alpi svizzere nella haute route Chamonix-Zermatt, dove sono morti 5 italiani, inclusi i suoi tre amici di Bolzano. Dice solo questo all'ANSA, che lo ha contattato al telefono. Alla famiglia ha telefonato ieri. "Mi ha detto 'sto bene' - racconta il papà Stefano, anche lui architetto -. Sono all'ospedale. E' successa una cosa gravissima e sono sopravvissuto grazie alla mia esperienza".
Due morti su Alpi bellunesi - Due giovani scialpinisti hanno perso la vita sull'Antelao, nelle alpi bellunesi. Appartenevano entrambi al Soccorso alpino Dolomiti Bellunesi. Si chiamavano Enrico Frescura, 30 anni, del Soccorso alpino di Pieve di Cadore, e Alessandro Marengon, 28, del Soccorso alpino del Centro Cadore, tutti e due di Domegge di Cadore.
Altra valanga, un morto e donna ferita - Un altro alpinista è morto sulle Alpi svizzere. E' un francese di 49 anni travolto da una valanga nel pomeriggio di ieri e deceduto in serata all'ospedale di Berna. Con lui è stata investita anche una donna, sua coetanea, che è uscita autonomamente dalla massa nevosa, dando l'allarme. La slavina si è staccata verso le 14.45 durante la salita del Feechopf, 3.888 metri nel Vallese. I soccorritori giunti in elicottero - fa sapere la polizia cantonale - hanno trovato e disseppellito l'uomo, che risultava già gravemente ferito. La donna non è in pericolo di vita.
2. TRAGEDIA ALPI SVIZZERE, IL SUPERSTITE: «FACEVO GINNASTICA PER NON ADDORMENTARMI»
Giusi Fasano per www.corriere.it
«Adesso ho capito che cos’è l’inferno». Tommaso Piccioli, uno dei sopravvissuti della tragedia svizzera, l’ha ripetuto più volte all’amico chiamato stamattina dall’ospedale, prima di essere dimesso. «L’inferno è quella cosa lì, non può essere altro che quel freddo lì e una notte come quella». Lui adesso sta bene. E’ stato dimesso e sta rientrando a Milano dove vive suo padre. Il suo inferno è stata la tempesta, è stato il gelo, il buio, il vento.
E’ stato sapere di essere a 500 metri da Capanna Vignettes, la salvezza, e non poterla raggiungere. Tommaso ha passato la sua notte all’addiaccio accanto a una ragazza tedesca e il loro stare vicini li ha salvati. «Devi muoverti, ti prego muoviti, non ti fermare. E non dormire, non addormentarti», le ha ripetuto. Parole dette e ridette cento volte anche a tutti gli altri, malgrado tutti lo sapessero già da soli: in quelle condizioni fermarsi e cedere al sonno significa morire. «Muovete le gambe e le braccia, non addormentatevi», ha insistito Tommaso. Nella tormenta e con la nebbia non poteva vederli tutti, non poteva sapere se fossero ancora vivi o morti.
La notte all’addiaccio
All’amico Stefano chiamato stamane Tommaso ha raccontato che il gruppo era arrivato su una forcella e che stava cercando di superarla per raggiungere il rifugio quando è arrivata la tormenta. Era un punto roccioso, con poca neve, per questo non è stato possibile scavare buche per ripararsi dal gelo. Il gruppo si è ritrovato in trappola e, nonostante fossero tutti attrezzati, non si è potuto “costruire” ripari.
La differenza l’hanno fatta gli anfratti nei quali ciascuno ha provato a sopravvivere o le singole condizioni fisiche. “Sapere cosa fare mi ha salvato” è convinto Tommaso, che ha saputo soltanto al momento delle dimissioni della morte dei suoi compagni di escursione. «Sto bene. Mi hanno appena dimesso dall’ospedale»: Tommaso Piccioli è uno dei partecipanti alla spedizione finita in tragedia sulle alpi svizzere nella haute route Chamonix-Zermatt, dove sono morti 5 italiani, inclusi i suoi tre amici di Bolzano. Dice solo questo all’Ansa, che lo ha contattato al telefono.
Alla famiglia ha telefonato ieri. «Mi ha detto `sto bene´ - racconta il papà Stefano, anche lui architetto -. Sono all’ospedale. È successa una cosa gravissima e sono sopravvissuto grazie alla mia esperienza». Prima di chiamare il babbo, Tommaso aveva già telefonato alla madre e alla moglie australiana, con cui vive in Australia la maggior parte dell’anno. In Italia è tornato per votare, e anche per questa escursione. La sua è una vera passione per l’avventura. «Ma questa esperienza - spiega il padre Stefano, che coordina lo studio di architetti di Riccione per cui lavora anche Tommaso - è stata terribile. I suoi amici di Bolzano sono tutti morti».