TOTÒ RIINA, UNO CHE NON MOLLA MAI – PER IL PROCURATORE ROBERTI “PARLA DEL BACIO AD ANDREOTTI PERCHÈ VUOL DIRE DI ESSERE IL CAPO” – MA DISCUTERE DEL BACIO SERVE A DISTOGLIERE DAL PROCESSO
Giusi Fasano per il “Corriere della Sera”
Il procurare nazionale antimafia Franco Roberti sospira e attacca: «Credo che l’esegesi sul bacio a questo punto possa essere utile per la storia dei rapporti fra lo Stato e Cosa nostra, non più su un piano giudiziario».
Parliamo dell’incontro e del bacio Andreotti-Riina che dopo quasi trent’anni tiene ancora banco. In un colloquio intercettato dalla Dia ad agosto dell’anno scorso nel carcere di Opera, il detenuto Alberto Lorusso parla con Totò Riina che da 21 anni è in regime di 41 bis. E il vecchio di Corleone accenna all’incontro avvenuto, secondo il pentito Balduccio Di Maggio, il 20 settembre del 1987. Nonostante la sentenza che lo smentisce, Riina dice che il bacio non c’è stato ma l’incontro sì.
Procuratore Roberti, lei coglie in quell’affermazione l’intenzione di lanciare messaggi da parte di Riina?
«Si tratta di un’intercettazione vecchia. A parte il fatto che è tutto da interpretare, quello che posso dire è che mi sembra che siano le parole di un detenuto al 41 bis che coglie l’opportunità per ribadire di essere ancora il capo di Cosa nostra. Io francamente ci vedo solo questo. Non vedo possibili destinatari politici».
Andreotti fu assolto per quell’incontro e quel bacio. La sentenza è passata in giudicato. L’ex procuratore Gian Carlo Caselli ieri ha dichiarato al Fatto Quotidiano che «il bacio è diventato l’elemento per delegittimare il processo». Lei cosa ne pensa?
«Ha ragione Caselli. La questione del bacio è del tutto secondaria e distoglie l’attenzione da quello che è accertato, cioè i rapporti, in quel periodo storico, fra Cosa nostra, Andreotti e il mondo politico che in lui si riconosceva. Ci sono aspetti della vicenda che dovrebbero invece essere ricordati perché servano di monito per l’avvenire».
A quali aspetti si riferisce?
«Ai legami fra il senatore Andreotti e Cosa nostra che sono stati accertati nel processo, ritenuti penalmente rilevanti ma prescritti fino al 1980 e insussistenti dall’80 in poi. Questa è la sostanza del discorso ed è su questo che bisognerebbe tornare per trarre conclusioni che non sono state ancora tratte».
E cioè?
«Il fatto che per un lungo periodo Cosa nostra è stata nello Stato e non contro lo Stato. Era dentro lo Stato attraverso tutti i politici che hanno avuto con i suoi uomini rapporti rilevanti politicamente e, nel caso del senatore Andreotti, rilevanti anche penalmente fino al 1980. Non sono io a dirlo. Lo dice la sentenza: il senatore ha avuto rapporti con Cosa nostra fino al 1980 solo che questo suo essere mafioso è prescritto».
Si potrebbe obiettare che se non ci fosse stata la prescrizione e si fosse andati al processo l’onorevole Andreotti avrebbe potuto essere assolto...
«La mia opinione, al di là della pietra tombale della prescrizione, è che certi legami sono stati accertati. Ritengo che se quei rapporti fossero risultati insussistenti anziché la prescrizione forse la Corte avrebbe dichiarato che il fatto non sussiste e avrebbe assolto l’onorevole Andreotti nel merito. Questo è il dato storico e giuridico della vicenda. Poi si può argomentare come si vuole».
Lei crede che anche oggi esista il legame politica-mafia?
«Le mafie sono purtroppo un elemento costitutivo della nostra società, non sono un elemento esterno, non sono un fattore emergenziale, non sono un dato accidentale o un incidente nella storia. Cosa nostra ha fatto parte degli equilibri dello Stato e tutto questo conta, ovviamente. Ma oggi io credo che le cose stiano cambiando, abbiamo gli anticorpi per reagire. Per evitare che la storia possa ripetersi, però, bisogna prendere atto e coscienza di tutto ciò che la mafia è stata per il nostro Paese. È un percorso di revisione anche storica e politica oltre che giudiziaria».
Chi ci dice che Riina non sia conducendo un suo gioco sapendo di essere intercettato?
«Che Riina possa coltivare questo disegno è probabile, tocca allo Stato far sì che il disegno non vada a buon fine. Ma a proposito di intercettazioni: stiamo attenti a non limitare in qualche modo il potere di intercettare della magistratura. Perché le intercettazioni sono uno strumento assolutamente indispensabile, anzi io condivido l’idea di estendere le condizioni di intercettabilità per i reati mafiosi anche ai reati di corruzione perché la corruzione, insieme alle intimidazioni, fa parte del metodo mafioso».