LA MORTE DI IMANE FADIL – http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/trama-spy-story-morte-imane-fadil-sostanze-radioattive-198414.htm
Fulvio Abbate per Dagospia
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Non riesco ad allontanare la mia amarezza, se non è poi esattamente dolore, perfino senso di lutto, dalla morte di una ragazza, Imane Fadil. Una ragazza, appunto. Cosa so di lei? Quasi nulla, soltanto che doveva testimoniare al processo sulle cosiddette “cene eleganti” di Silvio Berlusconi, e ancora che aveva rifiutato ogni possibile risarcimento; in un video di poche settimane fa, Imane è lì, galleggia davanti ai marmi di un corridoio del Palazzo di Giustizia di Milano, sempre ragazza, vestita da ragazza, meglio, da ragazza venuta dal suo Marocco a Milano per affacciarsi, forse, al successo, la borsa “Louis Vuitton” intorno al braccio, la montatura da sole che diventa occhi su occhi.
Sempre di lei, di Imane, chi indaga sulla sua morte, aggiunge che potrebbe essere stata avvelenata, le parole che la accompagnano sono infatti “cobalto”, “lunga agonia”, durata un mese, raccontano di un supplizio ingiusto per una ragazza. I giornali, tutti, ondeggiano davanti alla sua data di nascita - chi scrive 32, chi 33, chi 34 - resta ora appena la certezza del giorno, il primo marzo, del “decesso”, così in cronaca nera chiamano la morte, almeno in certi casi. Non c’è stato nulla da fare, concludono i medici di un ospedale di Milano, il cui nome, la cui insegna suonano crudeli nell’ingiustizia dell’intera storia, “Humanitas”.
Alla fine, nelle nostre pupille, della ragazza Imane, rimangono, da mettere in fila: il suo ovale, gli occhi scuri, i colori ambrati dell’incarnato, proprio delle fanciulle in fiore arabe, la sua bocca, così disegnata da assomigliare allo sticker della bellezza, meglio, del bacio, così come, rosso fuoco, contrassegna la pagina Instagram di molte ragazze come lei, forse anche di donne già adulte, grandi, ora che ci penso anche il profilo di Rita Rusic.
Un “radical chic” come me, con Imane, avrebbe potuto, salvo temporali di fantasia, meglio, di simpatia improvvisi, simpatia da creature del Sud lì nel cosmo della casualità, viene in mente un frammento di Dino Buzzati: “Dinanzi a noi, che procediamo, si stendono e si agitano le mani interrogative del meridione con le dita congiunte e volte in su”, un “comunista” come me, dicevo, avrebbe potuto condividere assai poco con lei, o forse, sì, un racconto sul Marocco, di quando anni fa, viaggiando laggiù, a Rabat (o forse era Fes? No, Casablanca, no di sicuro, che delusione Casablanca…) passeggiando mi sono ritrovato nel “quartiere europeo”, dove gli arredi mostravano un fermoimmagine degli anni ‘40, e nelle vetrine delle gioiellerie brillavano i pochi carati della “Medaglia dell’amore”, la stessa del “Più di ieri e meno di domani”, anzi, del “plus qu'hier et bien moins que demain", versi di Rosemonde Rostand, moglie di Edmond, l’autore di Cyrano de Bergerac; forse che le avrei raccontato questo dettaglio insignificante, così, per mostrare prossimità con il tempo e i luoghi della sua infanzia.
Ha conosciuto davvero amori, Imane, il cui significato del nome è Fede? Lele Mora, racconta ai cronisti di essere stato lui il tramite con Berlusconi, poi aggiunge: “Ricordo una ragazza triste, che deve avere avuto un sacco di problemi, cercava una strada per il successo, ma era davvero insignificante e non ebbe nessuna fortuna, fui io a portarla a una delle cene di Arcore. Una sera che il presidente mi chiamò e mi invitò, non volevo andare da solo e contattai quella povera ragazza che avevo conosciuto poco tempo prima tramite un dj marocchino, credo che ci tornò solo un'altra volta ed escludo sia rimasta mai sola anche per un secondo con Berlusconi”.
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A Mora, alla prima occasione, dovremo chiedere cosa esattamente sia la Significanza ai suoi occhi. Mi raccomando, chi lo incontri non dimentichi di domandarglielo, grazie preventivamente. Come a dire che Imane non aveva il “talento” per sfondare, dove? In fondo al corridoio, alle porte del Palazzo di Giustizia di Milano, alle venature dei marmi di sfondo, il mondo di Imane ora racconta l’epilogo del letto d’ospedale, la sua agonia, la quasi certezza che l’abbiano avvelenata. Con “sostanze radioattive”, leggiamo, almeno nelle prime battute d’agenzia.
Berlusconi dice: “Spiace che muoia sempre qualcuno di giovane. Non ho mai conosciuto questa persona e non le ho mai parlato”. E se fosse stato invece un “atto di autolesionismo da parte della modella”? Quasi che il “materiale radioattivo sia stato ingerito dalla povera ragazza”? Si chiama correre ai ripari. C’è anche Fede, Emilio Fede: "La conoscevo, le volevo bene. Era una brava ragazza con dei problemi economici, la sua famiglia era povera. Un paio di volte le ho pagato il taxi da piazzale Loreto a casa, mi auguro con tutto il cuore che si chiarisca la vicenda". Io la conoscevo bene è quasi una metafora. Insieme a piazzale Loreto.
Avvelenamento? Cose già accadute, metti, a un Litvinenko, agente segreto russo infine dissidente, e, pensandoci bene, anche a Ramón Mercader, l’assassino di Trotsky, prozio di Christian De Sica, mandante Stalin: Ramón, ormai pensonato, ebbe in dono di un orologio da polso, un modello di grande marca, premio per i servigi al Paese del socialismo, pare che quell’orologio fosse avvelenato, così almeno racconta il fratello in un libro.
Nella storia Imane, accanto al cobalto, le tracce della sua bellezza, le labbra, le sue smorfie, il circonflesso mobile delle sopracciglia, il modo, tutto suo, di raccontare la sincerità davanti alle telecamere ai margini di un processo, tutto ciò la accosta ad altri misteri, addirittura politici: la ragazza “d’origine marocchina” e la grande storia. Ora che ci penso, anche sulla morte di Pietro Secchia, dirigente comunista italiano, comandante partigiano, “l’uomo che sognava la lotta armata”, così secondo la sua biografa Miriam Mafai, pesa il mistero di un avvelenamento, c’è un Secchia narrato verde in volto, una schiuma bianca a fuoriuscirgli dalla bocca…
imane fadil al processo ruby del tribunale di milano
Non c’eravamo quando Imane è morta, non riusciamo a immaginarla nel letto d’ospedale, nell’ingiustizia della sua fine ancora ragazza, 32, 33 o 34? Pochi. Le smorfie da bambina intatte quando, con inflessione da milanese inurbata, dice al cronista di aspettare giustizia, giustizia, “per tutto quello che c’è stato”. Rimane il lume della sua bellezza, il piccolo seno sotto la camicia chiara, la mobilità delle espressioni sul viso, l’ombra sugli zigomi, una risposta di essenzialità somatica all’opulenza cinica delle colleghe afflitte dalle griffe; così da lei, Imane, da lei che ha invece scelto di sfilarsi, uscire dalla fila e mettersi in proprio, come chi si ribelli, meglio, ad affermare l’amor proprio, il suo: io non vi assomiglio, dice.
IMANE FADIL AL TRIBUNALE DI MILANO
Sembra di vederla ancora, adesso che la vita e il tempo hanno smesso di appartenerle, ora che se n’è andata, sembra di vederla lì, a dormire sull’ideale spiaggia dell’immutabilità criminale delle cose italiane, ad aspettare giustizia, parole proprio sue, il corpo di Imane accanto al cadavere infinito di Wilma Montesi; chi ha più memoria e Wilma nel come eravamo della memoria di una cronaca nera che vive di se stessa? Con la televisione che, di tanto in tanto, torna a scartabellare sulla sua morte? Povera ragazza, povera Imane, se davvero esistesse un paradiso, meglio, l’al di là del risarcimento, adesso dovrebbe essere interamente suo.
FULVIO ABBATE imane fadil ruby IMANE FADIL ARRIVA AL TRIBUNALE DI MILANO IMANE FADIL ARRIVA AL TRIBUNALE DI MILANO RUBY imane fadil l'ultima intervista 4