1. LE TRE PROVE CHE HANNO PORTATO ALL’INCRIMINAZIONE MASSIMO GIUSEPPE BOSSETTI, 45 ANNI, CARPENTIERE, PER OMICIDIO VOLONTARIO AGGRAVATO DI YARA GAMBIRASIO, 13 ANNI 2. L’ACCUSA PIÙ GRAVE GLI ARRIVA DALLA MOGLIE MARITA COMI CHE MESI FA AVEVA PUBBLICAMENTE GIURATO DI CREDERE ALLA SUA INNOCENZA
1. BOSSETTI SPIAVA LE VICINE SU FACEBOOK
Paolo Berizzi e Piero Colaprico per “la Repubblica”
YARA GAMBIRASIO - MASSIMO BOSSETTI
Un filo lungo quattro anni viene reciso ieri pomeriggio, nell’ufficio del sostituto procuratore Letizia Ruggieri. Il fax di chiusura indagini è partito. Incrimina per omicidio volontario aggravato Massimo Giuseppe Bossetti, 45 anni, carpentiere. Gli contesta anche la calunnia, per aver tentato maldestramente di dirottare le responsabilità sull’omicidio di Yara Gambirasio, tredicenne, studentessa di terza media, su un ultras dell’Atalanta, suo compagno di lavoro.
Stanno emergendo numerose informazioni, tenute nel più grande riserbo, sulla capacità di mentire dell’indagato. Persino sua moglie, Marita Comi, lo incalza in carcere, perché ha scoperto che sa «piangere a comando». E che, per assentarsi dal lavoro in cantiere, Bossetti aveva inventato una menzogna particolarmente macabra: «Ma vai a dirgli che avevi un tumore al cervello! Ma che palle racconti! Hanno detto che piangevi (...) questa è una cosa negativa, ti va contro». Bossetti non sa spiegare: «Non mi lasciare », è la frase che ripete più spesso.
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I VOLONTARI
Centinaia gli interrogatori eseguiti, anche per trovare riscontri a favore dell’unico indagato. Resta il fatto che il Dna di «Ignoto uno», trovato su slip e leggins della piccola, è, senza dubbi di sorta, il Dna di Bossetti. Ma accanto a questo, ci sono i tantissimi comportamenti personali di Bossetti e numerosi indizi oggettivi, quelli che lo collocano - questo sostiene l’accusa - là dove Yara è scomparsa, là dove Yara è stata ritrovata. Non è per caso se l’«avviso di chiusura indagine» venga mandato il 26 febbraio, alle 17: è la stessa ora in cui, il 26 febbraio 2011, nel campo di Chignolo d’Isola veniva steso il nastro bianco e rosso a delimitare una vasta area: Yara Gambirasio, rapita a Brembate di Sopra e uccisa tre mesi prima, era là.
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Come sa chi ha letto le carte dell’accusa, la sua piccola «mano destra stringeva un ciuffo di steli e di foglie delle stesse specie campionate nelle immediate vicinanze ». Ciò che è scientifico a volte può essere doloroso da sapere e far sapere: «La presenza di queste piante nel pugno della mano destra denota un’attività vitale di afferramento del terreno», quindi diventa logico che Yara «attraverso lo spasmo finale si sia aggrappata agli steli erbosi presenti sul fondo del terreno ove era adagiata poco prima di perdere la vita».
bossetti arrestato per l omicidio di yara gambirasio
«Adagiata»: ma prima presa e girata, come dimostra «l’avvolgimento degli steli intorno alla caviglia destra». Tutto questo porta a dire che Yara è stata trovata là dove è spirata. I volontari non avevano controllato? Si scopre che «non si sono addentrati per più di venti metri nei campi, invece il cadavere era a ottanta metri dal bordo del campo», così stabiliscono le misurazioni tecniche. Fine delle dietrologie.
LA BAMBINA
Sul tavolo del magistrato, nei laboratori dei periti, nelle notti insonni dei carabinieri del Ros, nelle verifiche della polizia, c’era un ordine categorico: «Non lasciare nulla d’intentato». Una verifica ha appena dato un esito sorprendente e destinato a pesare. Una teste - già sappiamo - sostiene di aver visto Massimo Bossetti in un’auto familiare grigia nella zona della palestra, in compagnia di una ragazzina, forse Yara. La stessa teste - rivela Repubblica qualche giorno dopo va al supermercato Eurospin e rivede Bossetti che fa la spesa. «Nessun organo di stampa ha mai divulgato» questo dettaglio, nota la Procura. «La circostanza appare credibile» e allarmante: dell’intera famiglia Gambirasio, l’unica che ci andava era Yara, in compagnia della zia Nicla. È là che lui l’ha «puntata»?
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IL PRELIEVO DEL BANCOMAT
BOSSETTI PM IN MOTO PER INTERROGARLO
Il 4 dicembre 2010 via Rampinelli ospita forse cento cronisti. Tra tutti noi passa Bossetti. Va a fare un prelievo al bancomat del Credito Valtellinese, quaranta passi dalla villa dei Gambirasio. Non l’ha mai fatto prima, perché ha usato, usa e userà sempre banche di un altro circuito. È passato di là perché andava dal commercialista? Riscontri non ci sono, anzi «per l’intero dicembre 2010 Bossetti non ha emesso alcuna fattura».
«CHE CI FACEVI LA’?»
È la stessa moglie, Marita Comi, secondo indiscrezioni attendibili, che in carcere insiste con il marito su un cardine di questa vicenda. Il 26 novembre, quando Yara sparisce, il furgone di Bossetti, l’Iveco Daily targato CH605NZ è alle 18 dal benzinaio davanti alla palestra; cinque minuti dopo in via Rampinelli; alle 18 e 19 zona palestra verso Ponte San Pietro; 18.35 via Caduti dell’Aeronautica verso Locate, poi torna verso Brembate, 18.40 zona palestra verso Brembate, 18.47 stessa zona sempre verso Brembate, 18.51 idem:
«Che ci facevi là?».
In tutto il Nord Italia, su 14.735 Iveco, tutti tracciati, solo cinque sono come il suo e nessuno era là. Solo lui. E su quel furgone Yara è salita: i Ris hanno recentemente trovato sulla parte posteriore dei suoi leggins sia tracce delle fibre dei sedili del furgone sia tracce della polvere di cantiere.
LE TREDICENNI
Delle sue ricerche porno sui computer già si è scritto, sono stra-confermate, ma emerge che Bossetti dal suo profilo Facebook sia andato in cerca dei profili di alcune vicine di casa, giovanissime. In questi giorni i settanta faldoni di carte sin qui raccolte diventano pubblici. Un’indagine simile per un caso di omicidio non ha precedenti in Italia, e pare nel mondo. Ma sin da subito la fiducia non era mancata: «Lo prenderanno, è uno di noi», dicevano in paese le mamme, sbigottite da una tragedia che può essere di tutti.
2. I DUBBI DELLA MOGLIE DI BOSSETTI
Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
massimo giuseppe bossetti il presunto killer di yara gambirasio
L’accusa più grave gli arriva dalla donna che mesi fa aveva pubblicamente giurato di credere alla sua innocenza. Con il passare del tempo i dubbi hanno invece assalito Marita Comi e nelle ultime settimane è stata proprio lei a scagliarsi contro il marito Massimo Bossetti sfidandolo a dimostrare di non essere l’assassino di Yara Gambirasio.
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«Tu eri lì. Non puoi girare lì tre quarti d’ora, a meno che non aspettavi qualcuno», gli ha gridato durante il colloquio in carcere quando si è scoperto che il muratore era stato con il furgone nelle strade intorno alla palestra l’ora precedente la scomparsa della ragazzina. Verbali di interrogatorio, verifiche tecniche, intercettazioni compiute in quattro anni svelano i retroscena di un’indagine che certamente non ha precedenti. E mostrano quali e quante crepe si siano aperte nella famiglia del sospettato dopo l’arresto avvenuto il 16 giugno scorso.
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Il lavoro svolto dai carabinieri del Ros e dagli specialisti del Racis, con la collaborazione della polizia, è nelle 60 mila pagine messe a disposizione della difesa. E svela un ulteriore dettaglio che certamente l’accusa utilizzerà di fronte al giudice: un’ora dopo la scomparsa di Yara, quindi alle 19,51 del 26 novembre 2010, Bossetti passò di nuovo davanti alla palestra. E ciò smentisce definitivamente la sua versione iniziale secondo cui aveva fatto quella strada per tornare a casa dopo il lavoro, che generalmente terminava non più tardi delle 18. Non solo. Il giorno del ritrovamento del corpo, andò al campo di Chignolo d’Isola e chiese alla madre di raggiungerlo.
«Che cosa hai fatto?»
È il 4 dicembre scorso. Come accade ogni settimana Marita Comi va in prigione per le visite. I due, ignari di una «cimice» che registra il colloquio, parlano dell’inchiesta, della linea di difesa. E lei comincia a incalzarlo.
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Comi : «Quella sera lì ti ricordi cos’hai fatto?».
Bossetti : «Secondo te mi ricordo?».
Cominciano a discutere dei loro rapporti fino a che lei gli rammenta che era un periodo di crisi coniugale.
Comi : «Io mi ricordo che quei giorni eravamo arrabbiati».
Bossetti : «Ah, non mi parlavi».
Comi : «Questo me lo ricordo! Non gliel’ho detto».
Bossetti : «Sono sicuro che il telefono era scarico... ho cercato di accenderlo quando ho visto Massi che girava intorno all’edicola».
La madre di Yara al premio di Pesaro Maura Gambirasio
Comi : «Ti ricordi che eri li! Vedi? Come fai a ricordarti che è quel giorno lì che hai salutato Massi? Vuol dire che ti ricordi quel giorno lì di novembre».
È un crescendo, prima gli contesta di aver atteso qualcuno e alla fine la donna sbotta: «Non mi hai mai detto che cosa hai fatto quella sera! Quel giorno, quella sera. Io non mi ricordo a che ora sei venuto a casa, non mi ricordo».
Le tre prove
I «buchi» nell’alibi di Bossetti per il giorno della scomparsa di Yara sono uno dei punti di forza dell’accusa, comunque concentrata sulle tracce rinvenute sui leggings e sugli slip della vittima che contengono il Dna dell’uomo. Un elemento che lui stesso non ha finora mai contestato ripetendo soltanto di non sapersi «spiegare come sia finito lì visto che io Yara non l’ho mai incontrata».
Le verifiche coordinate dal colonnello del Ros Michele Lo Russo hanno consentito di smentire una dopo l’altra le dichiarazioni fornite dall’indagato che nel primo interrogatorio aveva sostenuto di essere stato al lavoro e aver percorso la strada adiacente al centro sportivo per rientrare a casa. E poi ha cercato di «aggiustare» la propria versione. Ma ben tre elementi sembrano dimostrare come lui fosse ben lontano dal cantiere.
Il primo è una fattura datata 26 novembre per l’acquisto «con il suo autocarro di materiale edile e un giubbotto presso una ditta a Villa D’Adda». Manca poi la ricevuta del pranzo «presso il ristorante Ca-Sabi attiguo al cantiere di Palazzago, dove Bossetti risulta aver pranzato dalle 12 alle 13 tutti gli altri giorni lavorativi di novembre». E infine i dati del traffico telefonico con il cellulare agganciato «alle 17,45 dalla cella telefonica di Mapello», dunque in una zona completamente diversa.
«Era al campo»
Gli spostamenti di quel giorno sono fondamentali per ricostruire che cosa accadde. Finora Bossetti non è infatti riuscito a spiegare che cosa abbia fatto in quei 45 minuti precedenti alla scomparsa di Yara mentre girava con il suo furgone nelle strade attorno al Centro sportivo dove lei aveva portato uno stereo. E adesso c’è un’altra circostanza da chiarire. A rivelarla ai carabinieri è stato Giovanni Bossetti, l’uomo che credeva suo padre prima di scoprire di essere il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni.
L’ha raccontata il giorno dopo l’arresto: «Ritengo giusto informarvi che i giorni del rinvenimento della bambina, mio figlio Massimo, mentre passava da Chignolo d’Isola, ha avvisato mia moglie di quanto stava accadendo chiedendole se volesse raggiungerlo, ma lei ha declinato». Per gli inquirenti è un elemento «gravemente indiziario» anche tenendo conto che in uno dei colloqui in carcere lo stesso Bossetti ha detto alla moglie: «Il 26 novembre pioveva o nevicava, il campo era coperto di fango», fornendo l’impressione che ci fosse stato.
Il «Favola»
Sono centinaia i testimoni sentiti in questi mesi e la maggior parte ha dipinto Bossetti come un uomo «buono, ma bugiardo, a volte ipocrita». Certamente il quadro che emerge leggendo il fascicolo processuale smentisce la vita perfetta che lui ha tentato più volte di accreditare mostrando invece un’esistenza normale con crisi coniugali, contrasti familiari e di lavoro, con i colleghi che lo avevano soprannominato «il Favola», proprio «per le frottole che ci raccontava».
Anche il fratello Fabio, poche ore dopo l’arresto, sembra non credere alla sua innocenza e nella saletta dei carabinieri dove attende di essere interrogato chiede agli altri parenti: «Perché non ha risposto alle domande del magistrato? Perché si è avvalso? Io se sono innocente dico quello che penso, punto e basta».