IL TRENO DELL’ORRORE - L’AGGUATO DELLA GANG DEL MACHETE AL CONTROLLORE NELLE IMMAGINI DELLA TELECAMERA INTERNA AL VAGONE - LA CACCIA AI COMPLICI E IL RUOLO FONDAMENTALE DEL SOCCORRITORE DEL FERROVIERE
Andrea Galli e Andrea Senesi per il “Corriere della Sera”
Emilio José Rosa Martinez, giovane salvadoregno, papà di un bimbo di sei mesi, già «soldato» della gang di latinos MS13, imbottito di vodka, impugna con la mano destra il machete e sferra i suoi colpi.
Carlo Di Napoli, sposato, una figlia di cinque mesi, ferito dall’arma al braccio sinistro, arretra di qualche passo e con la mano destra prova a sostenere quel braccio insanguinato che si sta staccando.
Riccardo Magagnin, appassionato di viaggi e calcio, si getta sull’aggressore, lo respinge, gli impedisce di sferrare un nuovo attacco, prova a trattenerlo.
Sono le 21.50 di giovedì 11 giugno, stazione ferroviaria di Villapizzone, nella periferia nordovest di Milano, a bordo di un treno che arriva dall’Expo ed è destinato a Rogoredo, dalla parte opposta della città. Il binario è il numero 2. Alcuni sudamericani, sorpresi senza biglietto dai controllori Di Napoli e Magagnin, reagiscono. Le due fotografie che vedete in pagina fanno parte del filmato «girato» dalla telecamera sulla prima carrozza del convoglio, una carrozza che si riempirà di sangue e verrà isolata dalla polizia come luogo del crimine.
Rosa Martinez e altri tre della banda sono stati arrestati in una manciata di ore. La caccia degli investigatori non è finita, i giovani erano di più. Se non si presenteranno loro, li troveranno comunque. Lo stesso Rosa Martinez, in Questura, aveva «cantato». Aveva fatto il nome d’un complice. Il «Cigarrito», ovvero Ernesto Alexis Garcia Rojas, uno dal passato ugualmente burrascoso e affidato a una comunità dove girava con indosso una maglietta e una scritta: «Non esistono ragazzi cattivi».
Il filmato non dura molti secondi. Ma racconta tanto. La fuga in gruppo dei sudamericani, che si libereranno del machete fuori dalla stazione e correranno via insieme per sparpagliarsi in precise destinazioni, nemmeno fosse un’azione militare provata e riprovata; e il ruolo fondamentale di Magagnin, primo soccorritore di Di Napoli. Sulla banchina, con una cintura, per frenare l’emorragia. In ospedale l’operazione è durata otto ore. I chirurghi hanno riattaccato il braccio.