VENERDÌ INIZIA IL PROCESSO A MASSIMO BOSSETTI PER LA MORTE DI YARA GAMBIRASIO - CONTRO IL CARPENTIERE CI SONO 4 PROVE REGINA: IL DNA, LE FOTO DEL FURGONE, IL TRACCIATO DEL TELEFONINO, IL FILO DI TESSUTO TROVATO SUI LEGGINS DELLA RAGAZZA - MA NON TUTTE LE PROVE SONO COSI' UNIVOCHE
Pino Corrias per il “Fatto Quotidiano”
Sarebbe bastata una telecamera in più per risparmiare a Yara la sua agonia e a noi il mistero della sua morte. Una telecamera che avrebbe dovuto inquadrare la scena del delitto, ma che un mese prima era stata colpita e messa fuori uso da un fulmine. Nessuno l’aveva riparata. Stava in un punto cruciale, piazzata proprio davanti al campo dove il 26 novembre 2010 Yara Gambirasio, 13 anni, è stata colpita tre volte alla testa, accoltellata, abbandonata.
E poi morta di freddo. Quelle riprese mancate ne hanno generate migliaia di altre a comporre lo sceneggiato in corso. Zelanti investigatori televisivi ce lo hanno raccontato una puntata alla volta. Protagonista il biondo Massimo Giuseppe Bossetti, detto Massi, di anni 44, il muratore sempre abbronzato di Mapello, provincia di Bergamo, in carcere dal giugno 2014, il solo accusato di uno dei più sconci delitti di nebbia italiana, il rapimento e l’uccisione della piccola ginnasta che da allora ci sorride in tutte le foto d’archivio.
Per tre mesi cercata invano tra le involontarie distrazioni di tutti e anche per colpa della sfortuna nera. Infine ritrovata il 26 febbraio 2011 in quel campo di sassi e polvere , ai bordi del traffico dei vivi che corre di giorno e di notte tra i capannoni industriali.
Venerdì 3 luglio comincia il processo vero in Corte d’Assise, due giudici togati e sei giudici popolari. Tutti già massimamente edotti di quel miracolo d’indagine dispiegato dal reparto scientifico dei carabinieri e dalla polizia che per inquadrare gli occhi azzurri dell’accusato –marito e padre di vita standard, con villetta gialla, moglie, tre figli, partita Iva per ditta individuale, grande lavoratore, cattolico praticante, media felicità familiare con qualche peccato di eterna provincia – hanno analizzato la bellezza di 18 mila campioni di dna, scoprendo nel suo caso una corrispondenza di “21 cromosomi su 21”.
Oltre naturalmente alla spettacolare rivelazione di avere un padre illegittimo, l’autista di autobus Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999, che parcheggiò il suo cuore in sosta vietata, dalle parti di Ester, la madre di Massimo Bossetti, esattamente 44 anni fa. Stessa vastità di indagine per individuare il suo furgone modello Daily inquadrato per sette volte dalle tre telecamere funzionanti, dislocate lungo il percorso che gira intorno alla palestra di Brembate in cui Yara si allenava.
Tutti passaggi registrati nei fatali minuti di quella ultima sera di vita della ragazzina, tra le 18 e le 18,47. Gli investigatori ne estraggono 2 mila dagli elenchi della Motorizzazione, incrociando area geografica e immatricolazioni. Controllano i tracciati dei telefonini di ognuno dei proprietari. Controllano identità e alibi di quelli compatibili.
Alla fine ne isolano cinque. Dai cinque l’unico che resta nella rete è “l’Iveco Daily cassonato con catarifrangente anomalo” di Bossetti. Non basta. Il suo cellulare rivela che alle 17,45 di quel giorno si è agganciato alle celle di Brembate, le stesse che coprono la casa di Yara e la palestra, distante 700 metri, da cui la ragazzina sta per uscire. E pure il campo da cui non sarebbe uscita più.
YARA GAMBIRASIO - MASSIMO BOSSETTI
Infine: un piccolissimo filo di tessuto sintetico trovato sui suoi calzoncini elastici, i leggins, che secondo gli investigatori appartiene al sedile del furgone e dimostra che Yara ci sarebbe salita davvero. Dunque quattro prove regina: il dna, il furgone, il telefonino, il filo. Quelle che di solito chiudono i dubbi nelle inchieste e in aula spalancano le porte dell’ergastolo.
Peccato che tanti altri dettagli non siano così univoci, non combacino come dovrebbero. E ogni prova regina ha almeno un’al t r a spiegazione. Il frammento di filo sintetico potrebbe essersi posato sui tessuti di Yara in modo casuale, in fondo il suo corpo è rimasto sotto il cielo per tre lunghi mesi.
giuseppe guerinoni e massimo giuseppe bossetti
Come casuale potrebbe essere la circostanza che il telefonino dell’accusato abbia agganciato le celle di Brembate come quello di Yara: Bossetti passa di lì per tornare nella sua casa di Mapello, coperta dalla stessa cella telefonica. E ci passa sempre con il furgone inquadrato dalle tre telecamere. Senza contare che da quelle parti Bossetti ha il commercialista e pure il solarium che frequenta due volte alla settimana.
giovanni bossetti marito di ester arzuffi madre del presunto killer di yara gambirasio
Oppure poteva essere lì per qualche altro appuntamento (“dopo tre anni, posso benissimo non ricordare”) e transitare dentro quelle immagini registrate “ma solo per caso, per sfortuna”, non per seguire Yara, non per provare a violentarla, non per ucciderla, come va ripetendo dalla sua cella del carcere di Bergamo: “Sono innocente! E lo dirò sino alla fine”. Resta il dna. Peccato che la traccia isolata sul bordo interno delle mutandine di Yara, fosse così microscopica che “la materia organica si è dispersa durante l’analisi”. Cosa non infrequente assicurano gli investigatori.
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Ma che rende impossibile un secondo esame. Una controprova magari controllata anche dai periti dell’accusato e che il difensore Claudio Salvagni ha chiesto senza ottenerlo, ma che continuerà a chiedere durante il processo. “Se regge la prova del dna, Bossetti ha la condanna già scritta almeno in primo grado – prevede Massimo Picozzi, il criminologo –. Ma se in aula il dna crolla, crollerà anche tutto il resto”.
Tornerà a prendere peso la sua vita scandagliata per intero e senza ombre. Senza quelle eccezionali discontinuità che sarebbe logico aspettarsi da un assassino capace di vivere come niente fosse per tre anni, mentre le indagini lo accerchiano. Giuseppe Dezzani, consulente informatico che ha analizzato i due computer di casa Bossetti, dice di non avere trovato tracce significative. “Bossetti non usa i computer. Non è in grado. Scrive le fatture a mano. Parla bergamasco, se si ascoltano le intercettazioni telefoniche, è uno che dice ‘figa’ ogni tre parole.
genitori di yara gambirasio 9c401bce3532bd5f3871918ef8d14934
Negli hard disk non esiste nessuna ricerca ‘ragazzine trattino tredicenni trattino rosse’, sono balle dei giornali. I siti di sesso visitati su Youtube sono i più comuni e probabilmente li ha cercati il figlio adolescente. In quanto ai film porno che vedevano alla sera li sceglieva e li scaricava la moglie, non lui”. La moglie Marita Comi, detta “la bella moglie”, dozzine di interviste in tv, qualche dettaglio piccante di vita sentimentale, difende a spada tratta il marito e “la banalità felice della nostra vita di ieri”.
Va tutte le settimane a trovarlo in carcere. Presidia la sua ostinazione di “innocente fino alla fine” a cui crede almeno metà dell’opinione pubblica. “Ovvio che se ammettesse – dice un inquirente – un minuto dopo sarebbe solo al mondo ”. Per questo Bossetti reggerà fino al processo, quando arriverà l’urto delle 60 mila pagine di indizi, analisi e prove raccolte contro. E il finale scontato. Solo dopo la condanna in primo grado (forse) comincerà la nuova serie dello sceneggiato.