1- “A BORDO ERA L’INFERNO NELLA RESSA GLI UOMINI PICCHIAVANO LE DONNE PER ARRIVARE ALL’ELICOTTERO”
Laura Montanari per “la Repubblica”
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Ho visto degli uomini arrampicarsi dai ponti quando è arrivato l’elicottero e picchiare le donne, tirare calci per passare avanti e mettersi in salvo. Mi hanno buttato a terra, preso per i capelli, spinto, ma mi sono rialzata, ho lottato e ce l’ho fatta a salire col verricello. Però quelle facce feroci non le dimenticherò mai...». Dimitra Theodossiou, soprano greco in viaggio per la sua tournée (tra Rimini e la Toscana) è scesa da poche ore dal Norman Atlantic.
Lei è rimasta oltre 15 ore sul ponte, come ha resistito?
«Eravamo sfiniti, avevamo freddo, gli idranti ci bagnavano in continuazione con tonnellate di acqua perché sotto avevamo il fuoco. Non sentivo i piedi, ho chiesto a uno se mi potevo appoggiare alla sua spalla e lui mi schiaffeggiava per tenermi sveglia... non so nemmeno il suo nome, ma mi ha salvato dall’ipotermia».
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Come vi siete accorti dell’incendio?
«Nessuno ha dato l’allarme, io mi sono svegliata perché la mia cabina era piena di fumo. Sono corsa di sotto dove dicevano che c’erano i giubbotti di salvataggio, ho bussato e cercato di svegliare i passeggeri di altre cabine. Il pavimento ha cominciato a esplodere, uscivano lingue di fuoco, siamo scappati al ponte più alto».
E poi?
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«Siamo stati ore lassù nel gelo, con gli idranti che ci sparavano addosso. Verso sera ci hanno detto che non sarebbero venuti altri mezzi a soccorrerci perché c’era troppo fumo. Ho pianto, pregato, ho creduto di morire. Da ore eravamo senza bere, senza mangiare, col mare grosso, il buio. Ho visto anche gente che cercava di aiutarsi nel disastro, poi è arrivato l’elicottero e dal basso ci sono piombati addosso decine di uomini, penso fossero iracheni, pachistani, turchi, gente che non parlava greco... Si sono fatti avanti picchiando le donne, per passare e mettersi in salvo. Quella violenza è stata terribile, più del freddo».
2. “NOI, SOSPESI PER 35 ORE TRA LA VITA E LA MORTE” IL DIARIO DI BORDO DAL GIGANTE IN FIAMME
Mauro Favale e Francesca Russi per “la Repubblica”
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Brucia tutto. Bruciano le lamiere, bruciano le scialuppe, bruciano le auto e i camion stipati nel garage. Fiamme alte si muovono veloci lungo i corridoi e lambiscono i soffitti. Chi ci cammina sopra si ritrova con le suole delle scarpe che si liquefanno. È un’odissea di fuoco quella della Norman Atlantic, un gigante che dondola per 35 ore a due passi dall’Albania, in mezzo a un mare che non dà tregua e bersagliato da una pioggia che non riesce a spegnere proprio niente. Le voci dei sopravvissuti raccontano passo dopo passo il dramma di un viaggio che per alcuni significa l’ultima fatica lavorativa del 2014 e per tanti altri la vacanza di fine anno, la prima del 2015. Per tutti, si trasforma in un incubo peggiore di un film dell’orrore.
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L’ALLARME
«Stavamo dormendo e abbiamo sentito gente urlare nei corridoi. Parlavano di un incendio, non si capiva». Sono le 4.40 del mattino. Tzonas Athanasios di mestiere fa il commerciante. È greco, viaggia sulla Norman con tutta la famiglia. Diretto in Germania, per passare il Capodanno, si ritrova catapultato in un delirio di urla e paura. Si sveglia: «Ho pensato a un piccolo incendio, che saremmo tornati a dormire. Siamo saliti al piano superiore e abbiamo visto fumo e fiamme ovunque. Tutti erano impazziti, in preda al panico. L’allarme? Nessuno l’ha dato, nessuno ci ha detto cosa fare e dove andare».
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LE FIAMME
Leonidas ha 47 anni. Di mestiere trasporta kiwi dalla Grecia alla Germania. È notte, il viaggio verso Ancona è lungo e lui ha voglia di fumarsi una sigaretta. Scende in garage a recuperare le cartine dalla cabina del suo camion. Alle 5 è ancora lì dentro quando vede le fiamme. Gli altri camionisti come lui, rimasti a dormire nei loro mezzi, fanno fatica a uscire. «Erano uno affianco all’altro, nemmeno si riuscivano ad aprire le porte».
Nessuno ha ancora capito cosa sta per succedere: «Il soffitto aveva iniziato a gocciolare come lava», dice. Si sdraia per terra: «Ho strisciato tra i camion per uscire». La porta la trova sbarrata dal fuoco: «Mi sono lanciato fuori dalla nave aggrappandomi a una fune». Dondola, finché non si riesce a calare su una scialuppa di salvataggio. «In acqua — dice — c’era una donna che gridava: “Help, help”».
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LE SCIALUPPE
Sono passate da poco le 6 quando viene dato il segnale di abbandono della nave. Fuori piove a dirotto, sotto il mare è forza 8, tira un vento a 50 nodi. La maggior parte delle scialuppe va in fiamme. «Erano inutilizzabili — raccontano molti dei sopravvissuti arrivati soltanto ieri mattina al porto di Bari — non c’erano membri dell’equipaggio a dirci cosa fare. Si cercava di spegnere il fuoco e nel frattempo ci bagnavamo tutti».
IN ACQUA
A fatica si gettano gli scivoli, mentre intorno iniziano ad arrivare i mercantili in zona, allertati dal dispaccio delle 4.47 del Centro ricerche in mare di Roma. La situazione è drammatica, i protocolli saltano. «Eravamo sullo scivolo, io davanti e mio marito dietro — ricorda da un letto di ospedale Teodora Doulis — lui è rimasto impigliato in un telo di plastica e io non riuscivo a scendere. Ci mettevano fretta. Noi eravamo zuppi di acqua, di pioggia. Siamo finiti in acqua ma la nave che doveva recuperarci era troppo lontana». Restano così per 4 ore.
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«Per fortuna io non avevo gli stivali, provavo a nuotare. Mio marito no, invece. Perdeva sangue dal naso, forse aveva battuto la testa mentre era ancora in nave». Quando arriva il soccorritore, finalmente, prova a tagliare il telo al quale l’uomo era rimasto impigliato. «Quando al secondo tentativo ci riesce, mio marito era privo di sensi, morto tra le sue braccia».
L’ORRORE
Il cielo è annerito dal fumo, sul ponte alto della nave c’è tantissima gente. Dalla costa pugliese si alzano i primi elicotteri di Aeronautica e Marina militare, sorvolano la Norman Atlantic. Si tentano le prime operazioni di recupero che sono già le 8. Christian Wiersdorf, uno soccorritore impegnato per 5 ore attorno al traghetto conferma quello che già nei racconti dei naufraghi iniziava a prendere corpo: uomini che cercano di superare le donne e i bambini, le strattonano, le lasciano indietro e si gettano letteralmente verso le barelle “basket”, i verricelli che trainano verso la salvezza: «Mi hanno offerto di tutto, addirittura oro, pur di essere caricati per primi», spiega Wiersdorf.
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Vedono la cesta e si gettano dentro: «Era impossibile tirarli fuori», dice. «Mille mani assalivano l’imbracatura», è l’immagine che restituisce anche Ferdinando Rollo, elicotterista dell’Aeronautica.
IL RIMORCHIATORE
Sono le 17. Da Brindisi arrivano due rimorchiatori. C’è il Marietta Barretta e c’è l’Asmara. Hanno bisogno che qualcuno dalla nave provi a lanciare un cavo, una fune verso il mare. Ma non è facile. «Gli anelli giusti erano fuori uso — ricorda il capitano Giannuzzi — e i cavi di nylon già deteriorati dal calore». «Ci bruciavano gli occhi, ci abbiamo provato ma si sono rotti, prima da una parte e poi dall’altra», conferma il timoniere della Norman, Tommaso De Lauro. Soltanto alle 21.40 l’aggancio riesce. «Ce l’abbiamo fatta». Ma la prima notte di odissea è appena cominciata, le persone da salvare sono ancora più di 200.
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IL TRASBORDO
Gli elicotteri continuano a recuperare i superstiti anche durante la notte. Il mercantile Spirit of Pireus è in viaggio verso la Puglia con i primi 49 che sono riusciti a mettere i piedi sulla porta-container. Gli altri attendono il loro turno. Va avanti così fino all’alba e oltre. Sul ponte alto della Norman resta anche l’equipaggio a coordinare le operazioni con la nave San Giorgio. Alle 14.30, sul traghetto c’è solo il comandante Argilio Giacomazzi e 4 ufficiali della Marina. Le ultime ispezioni, poi anche loro vengono trasbordati. Sono le 14.50. Dalle prima fiamme sono passate quasi 35 ore.
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