Maria Giovanna Maglie per Dagospia
La Borsa vola, il dollaro debole fa infuriare Draghi ma invita allo shopping, e quando il Marine One lascia le nevi di Davos, a rompere il clima di perfetta felicità c'è solo il timore che finisca. Dice al Wall Street Journal Mark Hantho, presidente di Deutsche Bank global capital markets, che i mercati stanno andando così veloci che l'unica cosa che la gente si chiede e’: “Possibile che tutto sia così positivo? Mi sto perdendo qualcosa”?
Gli unici a inscenare una piccola protesta, e sottrarsi al coro di entusiastico consenso, sono stati i giornalisti, e vabbè. Che lo avrebbero fischiato lo aveva sicuramente previsto, ma a dirglielo che sono faziosi e bugiardi, falsi e cattivi, non ha certo rinunciato di fronte a quella platea eccezionale internazionale.
Per il resto, è stata una marcia trionfale, e sono costretti ad ammettere che a Davos Trump ha sedotto tutti anche gli arcinemici del New York Times e del Washington Post, i quali obtorto collo riconoscono che la stessa élite che un anno fa era terrorizzata ora è eccitata all'idea di grandi affari nell'America rivoltata come un calzino nel giro solo di un anno. Alle sue condizioni però.
“Non c'è mai stata una epoca altrettanto vantaggiosa per investire negli Stati Uniti, venite e fatelo con un solo limite, niente pratiche di commercio predatorie, non finché sono io presidente. E finché sono io presidente, gli Stati Uniti e i nostri lavoratori vengono per primi”.
Diciamoci la verità, almeno fra di noi, doveva essere un viaggio fallimentare, lo aspettavano con i fucili puntati, tra leader europei come Merkel e Macron, super tecnocrati accigliati sul dollaro come Draghi, e businessman incazzati per i dazi.
Era stata fatta circolare massicciamente l'idea che a Donald Trump convenisse evitare le nevi di Davos in Svizzera.
Meglio trovare una scusa, attaccarsi al problema dello shutdown, che poi è finito in 48 ore, occuparsi delle paturnie di Melania.
Sorpresa, the Donald se li è mangiati tutti, un successo clamoroso e un'attenzione spasmodica del mondo degli affari internazionali, tale da far rosicare non poco Napoleon Macron, che se n'è andato prima che arrivasse Trump, tale da annullare le lamentele sul protezionismo di una Angela Merkel che in Europa fa la zarina, ma che un governo qualunque ancora non sta riuscendo a metterlo in piedi in Germania.
Trump è arrivato col suo Marine One e ha fatto Trump.
Prima in un pranzo con il Gotha del mondo degli affari che lo ha ascoltato senza la minima contestazione e ha dopo rilasciato dichiarazioni tutte positive, tutte improntate alla fiducia nell'azione intrapresa dagli Stati Uniti, fra riduzione delle tasse, deregulation, botte da orbi alla burocrazia. La elite della globalizzazione, che un anno fa era terrorizzata all'idea del protezionista isolazionista che aveva a sorpresa e contro tutti vinto le elezioni, ora ha capito che il bruto gli conviene.
Faticherete a trovare tracce del discorso di allarme dell'arcinemico George Soros, che sembrava un pugile suonato mentre parlava di un pericolo tremendo ma per fortuna passeggero, e sproloquiava del pericolo di Facebook e Google.
Poi il presidente degli Stati Uniti ha tenuto nel pomeriggio di venerdì il suo discorso ufficiale a un numero impressionante di persone, circa 3000.
“ Dopo anni di stagnazione gli Stati Uniti sono di nuovo protagonisti di una straordinaria crescita economica il mercato macina un record dopo l'altro e dalla mia elezione sono arrivati 7 trilioni di dollari in nuova ricchezza, perciò l'America è aperta agli affari Ma come presidente degli Stati Uniti metterò sempre l'America per prima, che è quel che anche I leader degli altri paesi dovrebbero fare”.
“ Quando l'America cresce, cresce tutto il mondo, la prosperità americana ha creato un numero incalcolabile di posti di lavoro. Le spinte alla creatività, all’ eccellenza all'innovazione negli Stati Uniti hanno portato a scoperte importanti che hanno aiutato la gente ovunque a vivere in modo migliore e più sano”
“ Io sono per il libero commercio ma deve essere corretto e reciproco, non lo e’ se alcuni Paesi sfruttano il sistema a spese degli altri.”.
Il riferimento alle polemiche per i dazi imposti su pannelli solari e lavatrici, prodotti in Cina e Corea, è evidente, e altrettanto evidente che l'argomento non ha costituito un elemento di negatività a Davos.
Qualcosa di profondo è cambiato in poco tempo, il discorso di Macron appare molto lontano dalla realta’. Il presidente francese ha detto a Davos che la corsa al ribasso sulle tasse non è la risposta giusta alla globalizzazione. Ma è fin troppo chiaro che la competizione fiscale spaventa l'Europa a elevato debito, elevata spesa, elevata pressione fiscale.
Angela Merkel ha detto che il protezionismo appartiene al passato e che a 100 anni dalla fine della I Guerra Mondiale ci vorrebbe invece la capacità di ricordare, ma è fin troppo chiaro che la sua preoccupazione sono le esportazioni da primato tedesche. Insomma, esattamente come fa Trump, parlano per se’ e per il proprio Paese, ma con una straordinaria ipocrisia.
Soprattutto non portano niente in cambio. Il presidente americano invece non solo è arrivato a imporre la sua ricetta, ma ha mostrato fascino e seduzione, una riforma fiscale da 1,5 trilioni di dollari e una spinta liberatoria alla deregulation finanziaria.
Quanto basta per leader del business europeo come Kasper Rorsted di Adidas, Joe Kaeser di Siemens, Heinrich Hiesinger di ThyssenKrupp, Mark Tucker di HSBC e Carlos Brito di Anheuser-Busch InBev, tutti graziosamente invitati a investire in America.
Da Davos Trump riparte circondato di rispetto, un leader stravagante con metodi non ortodossi ma estremamente efficace nei risultati di business e crescita economica. Una disdetta per i nemici interni, che hanno subito lanciato la finta notizia che il presidente qualche mese fa voleva licenziare il procuratore speciale Robert Mueller ma i suoi avvocati lo hanno convinto a non farlo. E allora?
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