Alessandro Oppes per “la Repubblica”
«Non vogliamo fare la fine di Venezia». Appena insediata nel suo nuovo ufficio di sindaco di Barcellona, Ada Colau ha lanciato l’allarme. E ovviamente non si riferiva al problema dell’acqua alta. La “marea” che cresce fino a far temere un’inondazione catastrofica è quella del turismo fuori controllo, che inquieta le autorità municipali e soprattutto fa infuriare i residenti della capitale catalana, esasperati al punto da esporre in qualche caso inequivocabili cartelli ai balconi con l’imperativo «Tourists go home!».
Il clima ritorna incandescente con la ripresa della stagione turistica, nei quartieri eletti dai visitatori come destinazione privilegiata del “luna park” Barcellona, dal Barri Gòtic alla Sagrada Familia alla Barceloneta. Qui l’estate scorsa erano scesi in piazza a più riprese sollecitando provvedimenti contro il proliferare di appartamenti senza licenza, dove le notti ad alto tasso alcolico e musica a tutto volume sono la regola da giugno a settembre.
Il risultato è stato un numero (insuffiente) di perquisizioni e appena 300 multe ai proprietari fuorilegge. È l’eredità che la vecchia amministrazione nazionalista ha lasciato alla nuova“alcaldesa” eletta con l’appoggio di Podemos. Colau ha deciso di prendere di petto il problema con una decisione drastica destinata a far discutere: ha sospeso «almeno per un anno» la concessione di licenze per nuovi alloggi turistici.
Senza fare distinzioni: si va dagli hotel a cinque stelle agli ostelli giovanili, dai residence agli appartamenti. L’unico risultato sicuro è che, per il momento, vengono penalizzate le multinazionali del settore alberghiero che avevano già programmato investimenti per circa 400 milioni di euro: Four Seasons, Hilton, Marriott, Hyatt.
Bloccati almeno trenta progetti già avviati (dovevano essere trasformati in hotel di lusso la Torre Agbar, l’emblematico grattacielo a forma di siluro progettato da Jean Nouvel, oltre alla vecchia sede di Deutsche Bank e della Henkel), mentre altre decine di iniziative sono state rinviate a tempi migliori. In questo modo vanno in fumo migliaia di possibili nuovi posti di lavoro in un settore che già contribuisce per il 14 per cento al prodotto interno lordo della città e che dà occupazione a 120mila persone.
Come riconosce lo stesso Comune, il turismo è una preziosa fonte di entrate che porta 25 milioni di euro al giorno in una città di un milione e mezzo di abitanti con 27 milioni di visitatori l’anno.
Nel 1991, alla vigilia dei Giochi Olimpici che segnarono l’inizio della grande trasformazione di Barcellona, i turisti erano appena un milione e 700mila. Secondo il geografo Francesc Muñoz, che conosce da vicino anche il caso di Venezia perché vi ha abitato, «oggi è molto ingenuo e naif porre limiti al turismo, dire no all’industria del XXI secolo».
Però i residenti, che ormai si sentono stranieri in casa, pretendono regole. Convivere con orde di invasori che indossano sombreri messicani, bevono un liquido tossico spacciato per sangrìa e fanno incetta dei più assurdi souvenir è diventato un incubo quotidiano. E soprattutto notturno, quando i patiti del “pub crawl”, i tour etilici low-cost destinati a un pubblico giovanissimo soprattutto anglosassone diventano padroni della città tra schiamazzi e comportamenti incivili.
Il sindaco Colau prova a mettere un freno con la sua moratoria. Ma gli albergatori non sono convinti che sia la via giusta, nonostante il numero di posti letto sia passato dai 24mila del 1991 a circa 70mila: «Magari i nuovi hotel si installeranno nelle località vicine», prevede il direttore del consorzio Turisme de Barcelona, Jordi William Carnes. E l’invasione della città continuerà esattamente come prima.