Paolo Mastrolilli per "la Stampa"
David Axelrod«Staremo a vedere». Sospira e sorride, David Axelrod, quando gli chiediamo di commentare il nuovo governo appena entrato in carica in Italia: «Bene la fine dello stallo, ma andrà giudicato sui provvedimenti».
Axelrod è il guru elettorale di Barack Obama; quello che lo ha preso per mano, e lo ha accompagnato dal seggio senatoriale in Illinois alla Casa Bianca. Ha lavorato per il presidente anche durante la campagna dello scorso anno, e continua a sentirlo regolarmente: «Dopo la strage di Newtown mi ha mandato un messaggio: "È la prima volta che piango nell'Ufficio Ovale". Spiega molto della sua persona e del suo impegno».
David AxelrodOra David sta creando l'Institute of Politics alla University of Chicago, dove intende formare politici e giornalisti. Lo incontriamo all'organizzazione culturale di Manhattan «92Y», dove è venuto a parlare del suo ex capo con Jeff Greenfield.
Lei è stato in Italia per aiutare l'allora premier Mario Monti ad organizzare la campagna elettorale. Perché lo ha fatto?
«Ho una società di consulenza, è il mio mestiere».
Come è stato lavorare in Italia, dopo due campagne presidenziali americane?
«Molto affascinante. Naturalmente sul piano della comunicazione è un ambiente diverso, per certi versi più complicato. Qui in America c'è una strada collaudata da seguire: i comizi, i dibattiti televisivi, il rapporto con i media, e ovviamente gli spot. Da voi la strategia da seguire è più variabile. Monti però è una persona molto affabile, divertente in privato. L'ho incontrato per una giornata, ma è stato molto interessante lavorare con lui».
Perché non ha ottenuto un risultato migliore?
«Partiva da una posizione difficile: non è un politico di professione, e non aveva la struttura collaudata di un partito a sostenerlo. Però il risultato che ha ottenuto non toglie nulla al valore della sua persona, e soprattutto a ciò che ha realizzato al governo».
È vero che lei gli aveva consigliato una strategia aggressiva?
«Più che questo, bisognava definire con precisione il suo messaggio. È un punto fondamentale in qualunque campagna, ma lo era soprattutto in queste elezioni italiane, dove c'era pochissimo tempo a disposizione per spiegare le proprie posizioni e le differenze con gli altri.
Monti, rispetto agli avversari di Pdl e Pd, era in una situazione molto più difficile: da un lato, doveva svolgere il ruolo di premier di un governo tecnico sopra le parti, costretto a prendere provvedimenti necessari ma impopolari; dall'altro doveva fare il candidato, difendere le misure adottate, attaccare e presentare un programma nuovo. Così non è facile elaborare un messaggio coerente e comunicarlo al pubblico, nel giro di un paio di mesi. Più facile per gli altri demolire».
MARIO MONTI VOTA PER IL QUIRINALEOra è entrato in carica un nuovo governo, di cui fanno parte Pd, Pdl e la stessa formazione di Monti. Come lo giudica?
«Staremo a vedere. Era importante mettere fine allo stallo seguito alle elezioni e dare stabilità all'Italia, ma ora tutto dipende da come agirà l'esecutivo. I problemi generali da risolvere sono noti, la vera questione è avere la coesione per affrontarli».
La popolarità di Obama è scesa sotto il 50%: corre anche lui il rischio della «maledizione del secondo mandato»?
«Negli ultimi mesi non si è parlato abbastanza dell'economia, e questo è stato il problema principale. I pericoli ora vengono dall'applicazione della riforma sanitaria, e il ritiro dall'Afghanistan.
Credo che la riforma dell'immigrazione passerà, mentre per la legge sulle armi, forse ci sarà un'altra possibilità dopo la scadenza della presentazione delle candidature alle primarie per le elezioni midterm del 2014: a quel punto, i senatori repubblicani non minacciati da concorrenti legati alla lobby dei produttori potrebbero votare a favore. Comunque non credo che il panorama politico cambierà, nel 2014: i repubblicani terranno la Camera e i democratici, più a fatica, il Senato».