Pierangelo Maurizio per "Libero Quotidiano"
schulz martin official portrait
Facciamo un gioco come fossimo una grande famiglia: la famiglia europea. Facciamo finta che il Parlamento della Ue sia il Parlamento italiano. E che la Germania, chessò, il Piemonte. Bene. Se andassimo a scoprire le caselle del potere, scopriremmo che sono in mani tutte piemontesi. Ora torniamo alla realtà, e se facciamo lo stesso gioco tra Bruxelles e Strasburgo troviamo che i posti chiave - sia degli euroburocrati più influenti e più pagati, sia ai vertici del potere politico - sono tutti ma proprio tutti occupati da tedeschi.
Con uno straordinario gioco di squadra, senza distinzioni tra destra sinistra e centro. E con un’aggravante. Che nel nostro gioco la piemontesità acchiappatutto varrebbe su 20 regioni italiane, l’egemonia schiacciante di Berlino si impone su un Parlamento eletto dai cittadini di 28 Paesi. Non ci credete? Facciamo qualche esempio e ci limitiamo all’assemblea degli eletti; lasciamo perdere - per ora - la Commissione europea (il “governo” della Ue), il Consiglio europeo (composto dai governi, terzo livello di potere), l’Eurogruppo eccetera... Il presidente del Parlamento europeo è Martin Schulz, tedesco. E questo tutti lo sanno, anche per via dello scontro a suo tempo con Berlusconi che lo gratificò del titolo «kapò» lanciandolo sull’orizzonte mediatico.
Quanti conoscono però il potentissimo segretario generale del Parlamento, il capo dell’amministrazione e della burocrazia europea? Un altro tedesco di Germania, di Beelen, Klaus Welle, 50 anni. Ricopre l’incarico dal 2009 e ci resterà fino al momento di andare in pensione. «Arrivato per meriti politici, non per concorso» dicono i maligni: giovanissimo capo del Dipartimento esteri della Cdu, segretario generale del Ppe dal ’94 e per quasi 10 anni, poi direttore generale del Dipartimento per le politiche interne di Strasburgo, quindi dal 2007 al 2009 capo di gabinetto del presidente del Parlamento.
E il presidente del primo partito, il Ppe (viene eletto ogni 2 anni e mezzo dai deputati)? Il giovane e tedesco Manfred Weber, 43 anni. E il segretario generale del Partito popolare europeo, ottimo trampolino di lancio? Il «doicissimo» pure lui Martin Kamp, 56 anni, politico di lungo corso. Ma il bello, che è anche l’aspetto meno conosciuto, viene con le commissioni parlamentari, le stanze di compensazione e di inciuci come in tutti i parlamenti, gli snodi delle decisioni.
E qui bisogna fare attenzione ai numeri e alle casacche. Tedeschi sono i presidenti di 5 tra le più importanti commissioni. A cominciare dal decano Elmar Brok (Ppe), da una vita alla guida della Commissione Esteri e molto galante con la Mogherini alla sua prima audizione. Poi: al Lavoro Thomas Händel (Gruppo della sinistra europea); agli Affari interni Bernd Lange (S&D, il Pd europeo); ai Trasporti Michael Cramer (Verdi); al Bilancio Ingle Graßle (Ppe).
Non so il Cencelli teutonico chi sia, ma c’è da imparare. Un ruolo decisivo però ce l'hanno anche i coordinatori: calendarizzano i lavori, istruiscono i dossier, orientano cioè l’attività delle commissioni. Quelli S&D sono i più facili da identificare e i tedeschi sono 9 nelle varie commissioni. Meno evidenti nell’organigramma Ppe ma alla fine si riesce a contarli: altri 9 coordinatori tedeschi. 18 più 5 presidenti. Le commissioni in tutto quante sono? 22. Significa che in ognuna c’è almeno un presidente o un coordinatore provenienti dalla Germania di frau Merkel.
E qui ci fermiamo, per non parlare dei deputati di altre nazioni, ma satelliti della Germania, dei funzionari e dirigenti italiani nelle commissioni e nei gangli del potere Ue, e della loro frustrazione. In conclusione: con l’attuale organigramma il Parlamento europeo pare la succursale del Bundestag, diversi di loro provengono da un apprendistato al ministero dell'Interno tedesco. A tentare di bilanciare c’è Gianni Pittella, presidente di S&D (il secondo partito, all’interno del quale il Pd italiano è il più numeroso), ma tutt'attorno ha uomini e donne sistemati dall’ex presidente del gruppo Martin Schulz.
Ci sono il vicepresidente del Parlamento David Sassoli e il primo vicepresidente Antonio Tajani, uno dei più profondi conoscitori di questa realtà e con buone possibilità di essere il prossimo presidente dell’aula di Strasburgo. Ma intanto la partita dei capi-macchina di questa centrale che sforna l'80% delle decisioni che governi e parlamenti dei 28 Paesi poi sono chiamati solo ad avallare, è decisamente sbilanciata. Forse dovrebbe cominciare ad accorgersene anche Matteo Renzi.