1. LA MINISTRA RAGAZZINA
Mattia Feltri per ‘la Stampa’
«A scuola studiamo gli assiri e i babilonesi e poi accendiamo la tv e ci accorgiamo di non sapere nulla di quello che succede in Siria o in Medio Oriente». Lo ha detto Bernard Dika, presidente del parlamento degli studenti di Toscana, al ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli.
Dika è molto stupito (come lo eravamo noi a nostri tempi) che i programmi di storia si fermino alla Seconda guerra mondiale, di modo che ai ragazzi è impedito di comprendere i fatti della contemporaneità. Un ministro avrebbe chiarito a Dika che la scuola non spiega ai ragazzi la contemporaneità (quello lo fanno tv e giornali, e se non ci si fida di tv e giornali ci sono approfondimenti a migliaia su Internet, o addirittura nelle biblioteche e nelle librerie) ma piuttosto gli dà le basi necessarie per comprenderla.
festa di laurea valeria fedeli
La scuola non informa, istruisce. Quindi meno babilonesi e più attualità è una sciocchezza, perché se non si studiano i babilonesi non si capisce il Medio Oriente di oggi, se non si studia Odino non si capiscono nazismo e razzismo, se non si studia Pericle non si capiscono i fondamenti della democrazia, se non si studia Giustiniano non si capisce il diritto come scienza umana dell’Occidente.
Questo avrebbe detto un ministro, e non importa se senza laurea, purché con un’idea del proprio ruolo. Invece Fedeli si è molto complimentata con Dika e ha promesso di interessarsi alla modifica dei programmi: meno babilonesi e più attualità. È che un ragazzo ha il diritto di essere un ragazzo, mentre un ministro ha il dovere di essere un ministro.
2. "CARA MINISTRA NON BUTTIAMO A MARE I SUMERI"
Elisabetta Pagani per la Stampa
VALERIA FEDELI CARTELLONI IN GIRO PER ROMA
La storia insegnata a scuola si ferma spesso poco più in là del Secondo conflitto mondiale, arrivando al massimo a lambire la Guerra Fredda. Gli studenti, ciclicamente, se ne lamentano: troppa attenzione sul passato, col risultato di escludere la contemporaneità e rendere difficile la comprensione del presente.
Come raccontava ieri il Buongiorno di Mattia Feltri, all' appello di Bernard Dika, liceale pistoiese presidente del «parlamento degli studenti di Toscana», che ha chiesto al governo di intervenire perché «nell' ordinamento scolastico si colmi questo gap in storia», la ministra dell' Istruzione Valeria Fedeli ha risposto complimentandosi «per la determinazione» e aprendo a un' eventuale revisione dei programmi.
Limitare - non cancellare - lo studio degli Assiri, come auspica lo studente, per dare spazio alla seconda metà del Novecento e a quello che succede da quelle parti oggi, la guerra in Siria? «È una contestazione che si sentiva già nel '68», premette Luciano Canfora, filologo classico e storico antichista, con un occhio sempre vigile sulle vicende del presente, «e per citare un personaggio molto caro a quell' epoca, il presidente Mao, rispondo che la storia non si può tagliare a pezzi, non si può mutilare».
«A scuola studiamo i Babilonesi e poi accendiamo la televisione e ci accorgiamo di non sapere nulla di quello che accade in Medio Oriente» è la preoccupazione dello studente.
Gossip. Dalla Mesopotamia a Dagospia
« Non è vero che si dedica troppo spazio, se non alle elementari, allo studio della storia antica. E poi trovo profondamente sbagliato, sintomo di una visione molto eurocentrica, il disinteresse per il mondo antico orientale. Conoscere gli antichi imperi di Cina, India e Mesopotamia non è esotismo, ci aiuta a capire che il mondo è grandissimo e non c' è solo la storia patria. La scuola deve insegnare la storia universale».
Se la storia funziona secondo un meccanismo di causa ed effetto, cosa non capiremmo oggi senza conoscere il passato?
«Moltissimo. Senza l' Illuminismo non capiremmo come si è arrivati alla Rivoluzione francese, con tutto quello che ne è derivato. Non capiremmo l' imperialismo moderno, soprattutto britannico, che ha il suo antecedente nella struttura provinciale dell' impero romano. Né l' impero americano, che tuttora esiste e consiste nel fatto di tenere legati ideologicamente, con le buone o le cattive, altri Paesi: come succedeva nel sistema ateniese. E lo stesso discorso vale per i grandi imperi dell' area mesopotamica».
Ma questo tipo di formazione dà ai giovani gli strumenti per capire il presente?
«È una forma di avvicinamento alla comprensione dell' attualità, le chiavi del presente non le ha nemmeno il Padre Eterno. La conoscenza non si limita a una somma di informazioni. L' idea utilitaristica della cultura è improduttiva. Se così fosse, visto che la lingua per comunicare a livello internazionale è ormai l' inglese, dovremmo buttare a mare il tedesco, o l' italiano. La vera lacuna, nelle nostre scuole, è quella del diritto, dello studio della Costituzione».
Se la ministra rivedesse i programmi condensando il passato per dare più spazio all' oggi?
« È ministra da poco tempo. Io le dico solo: non buttiamo a mare i Sumeri».
Per l' attualità bisogna rivolgersi ai mezzi di informazione?
«Non c' è contrapposizione tra la scuola e la televisione, i giornali o Internet, sono canali che possono interagire». Ma a scuola gli studenti da decenni si sono dovuti accontentare di arrivare solo alla Seconda guerra mondiale, o poco più in là. «I lamenti dei ragazzi sono dettati dalla voglia di conoscere, e da questo punto di vista sono encomiabili, però non bisogna dimenticare che non è del tutto vero. Fino al '68 si arrivava alla Prima guerra mondiale, oggi i manuali sono ben fatti, coprono tutto il '900, sta ai professori scandire il programma nel modo giusto per concluderlo».
Quasi nessuno ci riesce.
« Si perde tempo in assemblee e gite non sempre utili. E comunque io ho sempre sostenuto, piuttosto isolatamente, che l' unica soluzione è aggiungere un anno alle scuole superiori e farne sei. Invece la linea prevalente è quella di adeguarsi agli altri Paesi europei e finire un anno prima, ma è una forma di incultura».
Già così, però, arriviamo nel mondo del lavoro in ritardo rispetto al resto d' Europa.
«Se ci fosse un mercato del lavoro assetato avrebbe senso accorciare i tempi, ma non è così. Il vero ostacolo sono i costi: la spesa che lo Stato destina all' istruzione è la Cenerentola nel budget generale».