Giacomo Amadori per “Libero Quotidiano”
L’intervista che il pm pugliese Michele Ruggiero ha concesso a questo giornale sulle speculazioni di banche e agenzie di rating contro il nostro il nostro Paese sotto il governo di Silvio Berlusconi sembrava essere caduta nel vuoto. Nessuno ha trovato interessante il nostro piccolo scoop su chi fosse l’autore materiale del contratto «capestro» sui derivati che ha costretto l’Italia a pagare senza fiatare circa 2,5 miliardi di euro a una banca d’affari.
IL PM DI TRANI MICHELE RUGGIERO
Forse perché la trimurti che ideò quel capolavoro di scienza finanziaria era composta da Carlo Azeglio Ciampi (presidente del Consiglio), Paolo Barucci (ministro del Tesoro) e Mario Draghi (direttore centrale dello stesso dicastero). Tre nomi che sui computer dei giornalisti si possono digitare solo previa genuflessione. In realtà le grandi banche hanno avuto bisogno di due giorni per spostare l’artiglieria pesante e sparare ad alzo zero contro la piccola procura pugliese.
E così ieri sulla prima pagine del quotidiano di Confindustria, il Sole 24 ore, si leggeva: «Derivati Morgan “svincolati” dal rating S&P». Un titolo che a un lettore senza un master alla Bocconi poteva sembrare una sciarada, ma che in realtà nascondeva un drone pronto a schiantare Ruggiero e il suo fascicolo, manco fosse l’Isis. Traduciamo: quello che al quotidiano economico proprio non è andato giù è il collegamento ipotizzato dalla procura tra il triplo declassamento dell’agenzia di rating Standard & Poor’s (a cavallo tra il 2011 e il 2012) e il fatto che la banca d’affari Morgan Stanley (azionista proprio di S&P) nello stesso periodo fece valere una clausola «anomala» sottoscritta nel 1994 per la «monetizzazione» di 2,567 miliardi di derivati stipulati con il nostro Tesoro.
L’ottimo Claudio Gatti cita il verbale depositato a Trani di Maria Cannata, direttore del dipartimento del debito pubblico del Tesoro, secondo la quale la risoluzione anticipata di tali contratti era legata non al declassamento, ma «al verificarsi del superamento di un limite prestabilito di esposizione della banca nei confronti della Repubblica», e quel «limite» erano le soglie (bassissime) di sforamento stabilite nell’accordo Ciampi-Barucci-Draghi.
IL VERBALE Gatti elenca cinque semplici motivi per cui la ricostruzione del pm di Trani è uno «scenario dietrologico e bizantino», equiparabile a una «teoria del complotto». Però nell’articolo non riporta un passaggio cruciale del verbale di Cannata. Per questo lo facciamo noi. Il pm Ruggiero chiede alla signora: «Esclude che la scelta di Morgan Stanley di azionare questa clausola (…) non fosse ricollegato anche al peggioramento del (debito ndr) sovrano italiano?». Risposta della dirigente: «Non è che lo escludo, dico che non è formalmente legato a quello».
Il magistrato insiste nel collegare i declassamenti alla decisione della banca e Cannata cede: «Sì certo non hanno aiutato, questo sicuramente». Eppure il 3 gennaio 2012 il ministero paga con celerità la «penale», senza chiedere aiuto a un consulente finanziario (Cannata è laureata in matematica e l’altra esperta che ha seguito la vicenda in statistica), né all’Avvocatura dello Stato. Una decisione che non è andata giù a Ruggiero, visto che a Trani era già in atto il procedimento contro le agenzie di rating e che si poteva almeno cercare di prendere tempo.
I TESTIMONI Il reato contestato dalla procura è quello di manipolazione del mercato finanziario: le agenzie avrebbero declassato l’Italia in modo ingiustificato, paragonando la solidità del nostro debito a quello dell’Irlanda; un accostamento «impensabile, inconcepibile» per la stessa Cannata, ma pure per i vertici di S&P Italia, come risulta dalle intercettazioni.
Sull’ingiustizia di quella retrocessione i testimoni favorevoli all’accusa hanno nomi del peso di Pier Carlo Padoan, Giulio Tremonti e Mario Monti, tre ex ministri economici di tre diversi governi tutti d’accordo sul punto. Quello dei 2,5 miliardi pagati a Morgan Stanley è uno dei possibili moventi, ma non è il cuore del processo in corso in Puglia. Ma allora perché mettere in prima pagina un articolo per smontare un’ipotesi investigativa secondaria? Forse perché al giornale della Confindustria questa teoria delle banche cattive e dell’Italia (o dell’Europa) sotto attacco proprio non piace.
Comunque anche il Corriere della sera ieri ha dovuto fare retromarcia sulla vicenda tranese. Domenica aveva scodellato lo scoop sul possibile movente del declassamento dell’Italia (i miliardi da restituire a Morgan Stanley), ieri ha pubblicato un santino su Maria Cannata, la dirigente che ritenne quel pagamento indispensabile per una questione «reputazionale». Grazie a questa piccola agiografia scopriamo che la «Signora del debito» tifa «tiepidamente» per la Juve, legge «gialli d’autore» e va in «palestra come minimo due volte a settimana».
Ma il quotidiano milanese preferisce non chiederle conto delle dichiarazioni che ha reso a Trani, alcune addirittura inquietanti. Infatti Cannata ci spiega che a spremere i governi Berlusconi e Monti non è stata la banca Morgan Stanley di sua sponte, ma su pressione delle autorità di vigilanza statunitensi e inglesi che ritenevano l’esposizione della banca con l’Italia «inaccettabile». Ovvero a spingere erano quegli stessi governi che avevano tutto l’interesse a mandare l’euro sull’ottovolante.
Di fronte a questa sconcertante motivazione (anche questa è «teoria del complotto»?) Cannata si fece rilasciare «dichiarazioni scritte» dalla banca, che però non volle consegnare i documenti con le richieste della Sec americana e della Fse britannica. Sostanzialmente Morgan Stanley mise nero su bianco questo: «Le nostre autorità di controllo ci dicono che questa esposizione è eccessiva, dobbiamo assolutamente risolvere» parafrasa la donna. E sarebbe per questo che alla fine del 2011 la banca esercita la clausola dopo «essersela tenuta lì per almeno un decennio se non di più, senza attuarla» (Cannata dixit).
Le stranezze non finiscono qui. Per la dirigente quella clausola era «del tutto inusuale e ci ha creato qualche problematica», ma non riesce a trovare un colpevole con nome e cognome per quel pasticcio: «So chi ha firmato il contratto (…) la persona era un allora dirigente generale che per altro adesso è morto, ma non credo che avesse negoziato questa clausola». Peccato che non faccia il nome del superiore di quel dirigente: Mario Draghi.
Nell’audizione di Trani Cannata biasima Morgan Stanley anche perché non tenne fede all’obbligo di riservatezza a proposito del pagamento da parte del nostro governo di 2,5 miliardi (informazione resa pubblica in un report del 19 gennaio 2012): «Questo ci ha creato, secondo me, un danno, infatti Morgan Stanley non ha più preso un mandato» dal nostro ministero dell’Economia.
L’interpretazione del pm è che la banca non faccia più parte degli «specialisti» ammessi a partecipare alle aste per i titoli di Stato e qui la replica di Cannata lascia interdetti: «No, fa parte degli specialisti e le posso dire che io non mi posso permettere di perdere una banca come Morgan Stanley nelle aste».
IL PROFESSORE Sulla questione del pagamento a Morgan Stanley è molto interessante anche rileggere l’esame reso dall’allora premier Mario Monti il 25 marzo di un anno fa. Il pm Ruggiero prova in mille modi a fargli esprimere un giudizio sulla bocciatura da parte delle agenzie di rating durante il suo governo e sulle speculazioni finanziarie sui mercati. Gli domanda se ci fossero «rumors» precedenti alla decisione e se il declassamento fosse motivato. Il Professore smentisce un suo virgolettato sul Corriere (dove parlò di «attacco all’Europa» a causa dei declassamenti) e sbotta: «Io non ritengo molto appropriato questo tipo di domande signor procuratore!».
AMMISSIONI L’accusa gli ricorda alcune sue vecchie critiche per la retrocessione nel rating e Monti, smascherato, è costretto ad ammettere: «Posso senz’altro confermare tali dichiarazioni (del maggio 2013 ndr) di stupore e di meraviglia per il declassamento operato dall’agenzia di rating in quanto il governo aveva adottato i provvedimenti di contenimento del disavanzo pubblico (…) in anticipo rispetto alle scadenze previste».
A questo punto Ruggiero gli chiede se nel decreto Salva Italia fosse stata inserita la «paghetta» da 2,5 miliardi per Morgan Stanley. Il senatore a vita balbetta: «Non sono in grado di dare questa risposta. Non ho la documentazione». Il pm è sorpreso dal fatto che Monti «non ricordi» una somma così cospicua. L’ex premier continua il catenaccio: «No, non sono in grado in questo momento di darle una risposta». «Può riservarsi di farmi sapere?» quasi lo supplica il magistrato. Monti sale in cattedra: «Ove Lei mi dimostri l’importanza rispetto al tema».
Ruggiero è sbigottito («Lei vuole sapere perché le faccio questa domanda con riguardo alle agenzie di rating?»), ma non desiste e prova a farsi confermare lo stato di «irritazione» che i giornali attribuirono all’ex premier per il doppio declassamento successivo al salasso, «solida prova di liquidità dello Stato». Monti si esibisce in un ultimo il dribbling che ubriaca definitivamente il magistrato: «Se adesso accreditiamo gli ottimi cronisti che seguono Palazzo Chigi della capacità di interpretare anche gli stati d’animo… no, la prego, cerchiamo di stare sul pezzo». Ruggiero stramazza esausto: «Non ho altro da chiedere». Dal Professore c’è sempre da imparare.