CON LA CACCIATA DI BERTONE, SIMBOLO DEL MALE VATICANO, COMINCIA IL VERO PAPATO DI FRANCESCO

Massimo Franco per "Corriere della Sera"

Con una iperbole significativa, si dice che il papato di Francesco è cominciato davvero solo ieri. È un omaggio al potere ingombrante rappresentato in questi anni dal segretario di Stato di Benedetto XVI, Tarcisio Bertone; e la conferma che senza la sua rimozione lo spartiacque fra passato e presente rimaneva nebuloso, incompiuto.

Probabilmente «Arci-Tarci», il nomignolo affettuoso datogli dai familiari ai tempi in cui era arcivescovo di Genova, cominciava a presentirlo. Eppure si è illuso. Non ha voluto, o forse non è stato in grado di capire che la sua stagione era finita: si era conclusa il 28 febbraio scorso, con le dimissioni di Benedetto XVI; ed era stata seppellita con l'elezione di Jorge Mario Bergoglio.

Gli amici lo avevano consigliato di presentare le dimissioni subito dopo l'arrivo del nuovo pontefice: gli stessi che ora suggeriscono al Segretario di Stato uscente di trovarsi un appartamento ben dentro le Sacre mura. Ricerca non semplice: anche in Vaticano, le porte si chiudono verso i potenti caduti in disgrazia. «Ma deve trovarlo. Fuori è in pericolo. Per l'immagine che si è creato, un personaggio come lui potrebbe subire qualche sgarbo...».

«Sgarbo»: il termine è gentile, somiglia a un eufemismo curiale. La verità cruda è che Bertone, alla vigilia dei suoi 80 anni, probabilmente deve prepararsi a un lungo purgatorio. Quel Vaticano dove per oltre sette anni ha dominato come «primo ministro» di Joseph Ratzinger o, per i suoi detrattori, come «vice Papa», si è trasformato in un luogo più che ostile, alieno.

Chi lo temeva, aspetta sulle rive dell'altra sponda del Tevere la sua giubilazione definitiva: formalmente il 15 ottobre, per dare tempo al sostituto di lasciare la sede diplomatica di Caracas. Ma le pedine della sua rete di potere sanno che, caduto lui, anche loro sono in bilico. Riviste adesso, le sue immagini rare accanto a papa Francesco nel recente viaggio in Brasile per la Giornata della Gioventù raccontano un rapporto quasi inesistente.

Bertone pensava di continuare a svolgere un ruolo almeno simile a quello concessogli da Benedetto XVI. Il suo ultimo tentativo è di resistere al vertice della commissione cardinalizia che controlla lo Ior. Lo ha proposto al Papa perché in fondo, ha argomentato, la proroga fu concessa anche al suo predecessore, il cardinale Angelo Sodano.

Può darsi che accada, ma servirà a poco. Il colloquio con Francesco a metà agosto sarebbe stato una sorta di breve, imbarazzante dialogo fra sordi. Anzi, la richiesta di Bertone ha acuito i sospetti di quanti si chiedono se voglia accompagnare la tormentata operazione di trasparenza finanziaria dello Ior solo per il bene della Chiesa, o perché ci sono interessi corposi e ingombranti da difendere.

Quando si parla di «conti di religiosi», scatta una chiusura a riccio. Ma dalla corazza di un mondo spaventato dai propri segreti filtrano voci di somme ingenti che prima o poi richiederanno una spiegazione: sia in Vaticano che con la magistratura italiana. Su questo, Francesco ha dimostrato di non volere indietreggiare di un millimetro.

Il tramonto di Bertone, dunque, non sarà indolore, perché non è solo quello di un alto prelato, ma di un sistema di governo e di una mentalità dei quali, suo malgrado, è diventato da tempo il simbolo e la metafora. Non esistono problemi personali col nuovo pontefice. Ma l'ex arcivescovo gesuita di Buenos Aires è espressione di un Conclave che voleva ed è riuscito a eleggere un Papa chiamato a eliminare quello che l'ormai ex Segretario di Stato ha rappresentato, al di là delle sue vere responsabilità.

La litigiosità e gli intrighi del «partito italiano» ecclesiastico. I rapporti opachi con un sottobosco finanziario che ha prodotto scandali e beghe giudiziari perfino ai Salesiani come lui. La fuga di documenti dall'Appartamento di Benedetto XVI. Nomine che hanno esasperato un italocentrismo curiale avulso dagli equilibri del cattolicesimo mondiale.

E, alla fine, sono arrivate le dimissioni di Ratzinger. Scorrono come al rallentatore una serie di forzature che solo il rapporto speciale con Benedetto XVI poteva permettere; ma che Bertone si è illuso di poter perpetuare, almeno in parte, col successore. La verità è che l'abbandono del Papa tedesco ha sbriciolato qualunque posizione di rendita. E ha offerto mano libera a Francesco nel ridisegnare il governo della Chiesa. Nel suo papato, la segreteria di Stato non sarà più la stessa.

Il cosiddetto «G8 vaticano», gli otto cardinali del mondo chiamati a consigliare in modo permanente il pontefice, già prefigurano una sorta di governo collegiale della Chiesa che rende il «primo ministro» una figura più tecnica e di servizio. E il ritorno a Roma del «giovane» Pietro Parolin, il diplomatico della scuola di Agostino Casaroli, che non è ancora neanche cardinale, suona come la sconfitta totale del modello precedente. Soprattutto indica la volontà del Vaticano di riprendere a fare politica estera dopo una fase di immobilismo e di improvvisazione.

Sia chiaro. Bertone non è stato la causa dello schianto del cuore del potere vaticano, al massimo l'ha rivelato. Ma certamente la sua figura controversa ne ha segnalato e estremizzato le contraddizioni e l'anacronismo. E le dimissioni di Benedetto XVI sono apparse come un atto d'accusa implicito verso i collaboratori più stretti. A quel punto è stato ancora più chiaro agli episcopati mondiali che il sistema andava riformato radicalmente, per evitare derive e guerre interne devastanti.

Quando alla fine di luglio Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente dell'episcopato Usa, ha detto al National Catholic Reporter che si aspettava da Francesco un rinnovamento più rapido, pensava soprattutto a Bertone. E infatti ha aggiunto che se non fosse successo nulla si sarebbe sorpreso.

Da almeno un mese si parlava di sostituzione a inizio settembre. E da qualche settimana si sapeva che il Papa aveva deciso. Il nome di Parolin circolava in Vaticano da giorni. E in alcune ambasciate del Centro e Sud America era arrivata informalmente la notizia della promozione del nunzio in Venezuela, con tanto di data.

Uno dei suoi grandi sostenitori è stato il cardinale honduregno di Tegucigalpa, Óscar Rodríguez Maradiaga, coordinatore del «G8 vaticano»; e dietro di lui si scorge la filiera potente degli episcopati latino-americani. D'altronde, si aveva l'impressione che fino a quando Bertone rimaneva al suo posto, seppure ridimensionato, alla «rivoluzione» di Bergoglio mancasse qualcosa. Ma c'era la necessità di non umiliare Benedetto XVI mandando a casa in modo sbrigativo il suo braccio destro.

Il problema è che la resistenza di Bertone impedisce di parlare di avvicendamento fisiologico. La sua uscita di scena suona come la fine di un'epoca. Alle dimissioni volontarie e disperate di Benedetto XVI si aggiungono dopo sei mesi quelle forzate e al rallentatore di Bertone. Il volto del «cardinale del sorriso», titolo di una vecchia, benevola biografia scritta da Bruno Viani, oggi appare segnato da una smorfia di sorpresa: come se all'improvviso gli fosse crollato addosso il suo mondo. Ma l'universo autoreferenziale di Bertone era già pericolante. Francesco e il Conclave ne hanno soltanto preso atto, coi tempi lenti, ma inesorabili di una Chiesa tornata a guardare avanti.

 

Tarcisio Bertone Fisichella bertone e PAPA BENEDETTO XVI E TARCISIO BERTONE TARCISIO BERTONE PADRE GEORG PAPA BENEDETTO XVI TARCISIO BERTONE CON LE CUFFIE luca di montezemolo cardinal bertone a maranello TARCISIO BERTONETREMONTI E BERTONEBERTONE-BERGOGLIOBERTONE VS VIGANO

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