Laura Cesaretti per “il Giornale”
Matteo Renzi incassa l'appoggio dei verdiniani di Ala e dei senatori che sostengono l'ex leghista Flavio Tosi. Due mozioni distinte, una del centrodestra e l'altra dei grillini (che ha avuto molti meno voti a favore, solo 84), ma identiche nei contenuti, entrambe respinte senza eccessivi patemi per la maggioranza: «I voti di Verdini sono stati aggiuntivi, ce la avremmo fatta anche senza: avevamo 160 voti, nonostante tre assenti per motivi di salute», spiegano dal Pd.
«Non è un voto di fiducia al governo, da cui siamo ancora distinti e distanti», spiega il capogruppo verdiniano Vincenzo D'Anna, «ma un voto contro una mozione che non condividiamo nel merito». La precisazione non impedisce però che la minoranza Pd ricominci le sue lamentazioni sull'imbastardimento della purezza di centrosinistra a causa della vicinanza con gli ex berlusconiani (gli stessi con cui Bersani votò serenamente la fiducia al governo Letta, ma erano altri tempi e non c'era di mezzo Renzi).
«Se Verdini entra nel Pd non esiste più il Pd: Verdini non ha nulla a che fare con la nostra storia, con la nostra politica, e penso che Renzi farebbe bene a chiarire senza mezzi termini senza fare il gioco delle tre carte», declama il dalemian-bersaniano Roberto Speranza. Il premier non si cura della sfide di Speranza: «È evidente che Renzi non prova alcun imbarazzo per il sostegno di Verdini», si tormenta Miguel Gotor. Mentre i suoi spiegano, un filo capziosamente, che votare contro la sfiducia è diverso che votare la fiducia, nel suo intervento a braccio il premier attacca con durezza le opposizioni: «Chiedetevi perché siete sempre di meno», dice rivolto ai banchi di Forza Italia.
E in effetti diversi senatori azzurri (ben 8, da Ghedini a Nitto Palma a Giro) non votano la mozione del proprio gruppo. «Era un copia e incolla degli editoriali del Fatto», irride Renzi. Che difende la Boschi e il governo tutto da «accuse infime e meschine su un conflitto di interessi inesistente». Intanto il premier pensa a mandare avanti il suo governo, che da oggi dovrà affrontare i marosi della legge sulle unioni civili.
E prepara il «rimpastino» di governo, atteso da mesi e sempre rinviato. Alfano, che aspetta con ansia una poltrona (gli Affari Regionali, che dovrebbe risarcire la perdita del dicastero pesante di Maurizio Lupi) assicura che si farà nel Consiglio dei ministri di oggi. Il premier resta più sul vago, e spiega che dipende anche dagli impegni del presidente Mattarella, che deve far giurare il nuovo ministro. Il nome di Enrico Costa sembra ormai certo. Poi c'è una raffica di neo-sottosegretari da nominare: «Saranno sette o otto», dice Renzi, «il massimo sarebbe 65, e noi ora siamo a 56».
I candidati noti sono tutti di area Pd, Ncd o Scelta civica: Tommaso Nannicini nuovo sottosegretario alla presidenza (con la guida del nuovo Consiglio economico di Palazzo Chigi) e Enzo Amendola pronto a entrare da vice ministro alla Farnesina. Ai Trasporti ritorna l'alfaniano Antonio Gentile, allo Sviluppo potrebbe andare Teresa Bellanova (magari sostituita al Lavoro da Filippo Taddei), ma continua a parlarsi del trasloco di Luigi Casero bilanciato dalla promozione di Enrico Zanetti a vice ministro dell'Economia con deleghe pesanti come quella sul fisco.