Giovanni Tizian e Stefano Vergine per "L’Espresso"
C' è un passato che ritorna nella nuova Lega di Matteo Salvini. C' è la continuità politica con il vecchio partito di Bossi rappresentata da un volto, quello di Giancarlo Giorgetti, l' eminenza grigia, il Gianni Letta padano, l' uomo cerniera tra big dell' imprenditoria e il partito fin dai tempi del Senatur. E c' è il mistero del tesoro scomparso, i 48 milioni di euro frutto della truffa sui rimborsi elettorali. Soldi pubblici che- come stabilito dai giudici di Genova- dovrebbero tornare allo Stato ma che non si trovano più.
Una storia a cui L' Espresso ha dedicato diverse inchieste e copertine. E che ora si arricchisce di un nuovo, importante particolare: il collegamento diretto tra le società dei fedelissimi di Salvini e la holding lussemburghese sospettata dai magistrati e dalla Guardia di finanza di aver avuto un ruolo nel riciclaggio del tesoro leghista. Denaro che potrebbe far parte del malloppo scomparso dai radar dopo la sentenza di condanna per Bossi e Francesco Belsito, il tesoriere che ha firmato la truffa sui rimborsi.
È un' ipotesi, per ora. Un' ipotesi sui cui stanno lavorando i finanzieri del Nucleo tributario di Genova, in base alla quale la procura ligure ha inviato una rogatoria alle autorità del Granducato.
Ma torniamo a Giorgetti. L' uomo buono per tutte le stagioni della Lega. Il demoleghista, come lo hanno ribattezzato scherzando alcuni suoi amici. C' era e aveva un peso nel regno di Bossi. Si racconta che durante i consigli federali, il commercialista di Cazzago Brabbia fosse uno dei pochissimi a cui il Capo permetteva di parlare. Ma Giancarlo c' era e contava anche nei momenti successivi allo scandalo della truffa dei rimborsi, quando segretario era Roberto Maroni.
matteo salvini, giancarlo giorgetti, gian marco centinaio
Oggi, con Matteo Salvini al potere, con un partito che ha abbracciato l' internazionale sovranista, lui è ancora lì. Magari un po' recalcitrante di fronte agli ammiccamenti riservati da Matteo ai neofascisti, vagamente imbarazzato davanti alle dichiarazioni no euro dei vari Borghi e Bagnai, ma sempre presente.
Uno dei pochissimi della vecchia guardia ad aver resistito. E come ha sempre fatto, anche oggi continua a manovrare dietro le quinte, con il suo stile felpato e l' aria da brav' uomo. Tanto da essersi guadagnato pure la fiducia di Sergio Mattarella.
GIANCARLO GIORGETTI VINCENZO SPADAFORA
Insomma il bocconiano Giorgetti c' era e continua a esserci, ora con un ruolo più prestigioso che mai: sottosegretario alla presidenza del Consiglio. A lui si deve anche l' avvicinamento a Salvini di Luca Parnasi, l' imprenditore finito in carcere con l' accusa di corruzione, il costruttore romano che nelle intercettazione definisce il ministro dell' Interno «amico fraterno».
Ma Parnasi è soprattutto intimo di Giancarlo. Si conoscono da moltissimi anni, erano vicini di casa a Roma. Lo rivelano gli atti della procura di Roma che sta indagando sull' immobiliarista che avrebbe dovuto costruire il nuovo stadio della Roma. E che, come rivelato dal nostro giornale due mesi e mezzo fa, ha finanziato l' associazione Più Voci fondata dal tesoriere della Lega, Giulio Centemero. Il professionista scelto personalmente da Salvini, l' uomo considerato - parola di Parnasi - «il braccio destro di Matteo».
Giorgetti e Parnasi sono in confidenza, almeno questo risulta dalle informative dei carabinieri. Un esempio su tutti: ad appena otto giorni dal trionfo leghista del 4 marzo, Giorgetti, vice del segretario del partito, partecipa a una cena riservata a casa del costruttore, in una delle zone più esclusive della Capitale.
Il sottosegretario ha precisato che più che di cena si è trattato di un aperitivo, un bicchiere di vino e qualche fetta di salame. Il valore di questa riunione conviviale, però, prescinde dalla tipologia di cibo consumato. Perché attorno al tavolo sedeva anche Luca Lanzalone, l' avvocato genovese ingaggiato dai Cinquestelle per chiudere l' affare stadio della Roma e diventato un vero e proprio consigliori del gotha del movimento di Di Maio. Un incontro a tre, che per la riservatezza con cui Parnasi ne parla ha insospettito gli investigatori.
Non sappiamo ancora cosa si siano detti perché alla nota dei carabinieri seguono cinque pagine di «Omissis», informazioni coperte ancora da segreto istruttorio. Di certo, subito dopo il voto del 4 marzo Giorgetti e Parnasi discutono di alleanze, si scambiano opinioni sulla situazione politica. In una telefonata il costruttore chiede a Lanzalone se «Di Maio è al corrente del lavoro fatto con Giorgetti».
E poi ancora: «Se ha bisogno io parlo direttamente con Matteo, ma in questo momento Giancarlo ha la...». Per dire che il futuro sottosegretario alla presidenza del Consiglio era l' uomo con cui parlare in quella delicata fase di formazione del governo. Insomma, Parnasi è a suo agio con la nuova Lega sovranista di Salvini. E forse sarà per questo che tra il 2015 e il 2016 ha deciso di versare 250 mila euro all' associazione Più Voci.
salvini al quirinale con giorgetti
Un contributo dato ai leghisti, senza passare direttamente dal partito. Su questo finanziamento, le giustificazioni sono discordanti. Parnasi sostiene di averlo offerto per la campagna elettorale delle comunali di Milano, mentre il tesoriere del partito esclude sia stato usato per attività politiche, anzi all' Espresso ha dichiarato che sono serviti a sostenere la libertà di informazione di Radio Padania.
calderoli - giancarlo giorgetti
Intanto, la procura di Roma e quella di Genova hanno instaurato un coordinamento investigativo proprio sul finanziamento scovato dall' Espresso a fine marzo scorso. I pm che indagano su Parnasi e lo stadio, insieme ai colleghi che cercano il tesoro svanito della Lega. I soldi spariti e quelli arrivati magicamente a una sconosciuta associazione.
In realtà, il sospetto che la Lega abbia beneficiato di finanziamenti illeciti non è nuovo. Così come nuovo non è il ruolo di Giorgetti in queste trame finanziarie, almeno secondo un verbale di interrogatorio sui presunti fondi neri del partito.
A raccontare apertamente ai magistrati del ruolo dell' attuale sottosegretario alla presidenza del consiglio è stato per la prima volta cinque anni fa Francesco Belsito, tesoriere del partito ai tempi di Bossi, condannato in primo grado per truffa e appropriazione indebita proprio per la vicenda dei 48 milioni di euro che i magistrati italiani stanno adesso cercando di sequestrare. Belsito non è mai stato in grado di provare le accuse rivolte a Giorgetti, motivo per cui la vicenda è stata archiviata. D' altra parte - secondo la sua versione - si trattava di pagamenti in nero, quindi difficili da tracciare.
IL CORO DEL VERTICE DELLA LEGA BOSSI CALDEROLI GIORGETTI
È il 29 maggio 2013. Nel carcere milanese di San Vittore, dove è detenuto in quel momento, Belsito incontra i pm di Milano Alfredo Robledo, Roberto Pellicano e Paolo Filippini. Racconta della sua nomina a tesoriere della Lega, incarico ereditato dallo storico cassiere padano Maurizio Balocchi. «Mi era stato detto da Balocchi», si legge nella trascrizione dell' interrogatorio, «che da sempre gli imprenditori portavano denaro in nero al partito.
Questi rapporti erano intrattenuti principalmente da Giorgetti. Ricordo un episodio riferitomi da Balocchi circa un versamento di contante proveniente da Lombardi Cerri, consigliere di Finmeccanica in quota Lega, così come ricordo un altro episodio, riferitomi sempre da Balocchi, di un altro versamento per la costruzione della Marina dell' Aeroporto di Genova da parte dell' imprenditore che si era occupato dei lavori, imprenditore del quale non ricordo il nome».
Belsito passa ai rapporti tra imprenditori e dirigenti leghisti di cui lui stesso è stato testimone. Riferisce di incontri tra Giorgetti e il costruttore Salini. E cene con l' industriale Cremonini (patron dell' omonimo gruppo alimentare), il quale all' epoca si mostrò disponibile a finanziare il partito.
lega ladrona bossi belsito foto e baraldi
Belsito spiega ai pm come pure le aziende a controllo pubblico fossero coinvolte in questo giro. «I finanziamenti provenienti da tali nomine potevano essere fatti alla luce del sole o in nero, passando personalmente dagli esponenti politici. Balocchi», aggiunge Belsito, «mi diceva ad esempio che il senatore Fruscio finanziava personalmente Giorgetti».
Dario Fruscio, commercialista come Giorgetti e parlamentare della Lega dal 2006 al 2008, in quegli anni è stato in effetti membro del cda di aziende a controllo pubblico come Eni e Sviluppo Italia (l' attuale Invitalia).
Impossibile trovare riscontri sulle parole di Belsito. L' archiviazione ha sepolto ogni cosa. Senza considerare il fatto che buona parte delle accuse necessitava per lo meno della conferma di Balocchi, il quale intanto è deceduto. Il vecchio e il nuovo, dicevamo.
Bossi e Salvini. Le ombre passate del finanziamento illecito e i sospetti attuali. Tutte ipotesi, tutto da provare. Quel che è certo è Giorgetti. Cambia tutto ma lui è sempre lì, un passo dietro la prima fila, abbastanza vicino per conoscere ogni segreto, abbastanza lontano per non rimanerne coinvolto. Sempre in mezzo alle cose che contano, però. Come la gestione della cassa, i soldi del partito.
salvini sull aereo militare verso la libia
Il tesoriere della Lega oggi è Centemero, 39 anni, commercialista sveglio e accorto. Proprio come Giancarlo. Tre settimane fa, quando gli avevamo chiesto conto dei possibili legami tra il partito e sette piccole imprese italiane controllate da una holding lussemburghese, la Ivad, lui aveva risposto sicuro: «Nessun collegamento diretto o indiretto con la Lega».
La curiosità nasceva dal fatto che le sette aziende sono registrate presso lo studio contabile di Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba, compagni di università di Centemero ma soprattutto responsabili amministrativi del gruppo Lega alla Camera e al Senato. Lo studio in questione è quello di via Angelo Maj, a Bergamo, dove ha sede anche l' associazione Più voci foraggiata dal costruttore romano sotto inchiesta.
«Nessun collegamento diretto o indiretto con la Lega», avevano ribadito Manzoni e Di Rubba. Analizzando i documenti societari delle imprese emerge però un dato che mette in dubbio le rassicurazioni dei cassieri di Salvini. Secondo la procura di Genova, che sta indagando per il possibile riciclaggio dei 48 milioni di rimborsi elettorali frutto di truffa, alcuni di questi milioni sono stati fatti uscire dall' Italia per finire nella disponibilità di una società lussemburghese, la Pharus Management Lux, la quale poi avrebbe trasferito il denaro (3 milioni è l' ipotesi investigativa) su conti italiani collegati alla Lega.
MATTEO SALVINI CON LA MELA IN BOCCA
L' Espresso è in grado di rivelare che dietro le sette imprese italiane c' è anche un uomo della Pharus, la società finanziaria lussemburghese che avrebbe fatto da sponda per il presunto riciclaggio milionario. Si chiama Vito Luciano Mancini, classe '78, laurea in Bocconi e un passato in Unicredit, oggi residente nel Granducato.
Mancini è azionista con una piccola quota della SevenBit di Bergamo, la società che attraverso la Seven Fiduciaria detiene il controllo delle sette aziende registrate presso lo studio di Manzoni e Di Rubba.
Roberto Maroni Giancarlo Giorgetti
La ragnatela è complicata, ma ciò che conta è che il professionista pugliese da cinque anni - dal maggio 2013 - è anche un manager della Pharus Management Lux SA, la società lussemburghese al centro del presunto riciclaggio. Non solo. Nel suo curriculum Mancini dichiara di lavorare anche per la Arc Asset Management Sa. È un' altra società lussemburghese tra i soci della SevenBit, quindi tra i proprietari delle sette Srl italiane domiciliate presso lo studio dei cassieri della Lega. I professionisti di via Angelo Maj, le menti dell' associazione Più voci, al servizio del partito di Salvini.