CULATELLO AL VELENO CONTRO I RENZIANI: “NON PRENDO LEZIONI DAI 101 CHE TRADIRONO PRODI” - “SCISSIONE? IO NEL PD CI SONO E CI RESTO”
Giovanna Casadio per “la Repubblica”
«Ho passato giorni e notti con Monti e Fornero sull’articolo 18, a difendere la possibilità del reintegro per il lavoratore e non mi aspettavo di ritrovarmi questa roba qui in casa, nel mio partito». Pierluigi Bersani scuote la testa e si sfoga in Transatlantico, dichiarando però: «Certo sarò leale al Pd nel voto finale sul Jobs Act, ci mancherebbe». È un’apertura a Renzi. Fuori dai microfoni tuttavia ripete: «È incredibile, incredibile...».
Soprattutto fa una previsione preoccupata: «Renzi sventola l’abolizione dell’articolo 18 come se fosse una palingenesi, ma da qui a un anno rischiamo di prendere una facciata, una musata come Pd perché raccontiamo che diamo assegni a tutti come in Danimarca. Ma ci rendiamo conto di dove siamo, di cosa è l’Italia? Qui rischiamo di far peggiorare le situazioni, di far perdere sia il padre in cassa integrazione sia il figlio inoccupato o precario. È una cosa grave, perché i soldi per fare quello che Renzi promette non ci sono».
L’ex segretario ha in mano il quotidiano “ Il Foglio” di Giuliano Ferrara perché vuole leggere l’articolo sull’ipotesi di una scissione, di un partito di D’Alema. A un’altra “ditta”, Bersani non pensa affatto. «Ora dicono che vogliamo fare una scissione o condizionare dall’interno Renzi, io nel Pd ci sono e ci resto non con tutti e due i piedi, ma con tre piedi. Macché scissione. Però nessuno deve venirmi a insegnare come si sta in un partito, poi proprio quelli che hanno fatto i 101...».
Una stoccata amara, ricordando la slealtà dei “franchi tiratori” che impallinarono Prodi nella corsa al Colle e al tempo stesso la sua segreteria. Dopo la drammatica Direzione dem di lunedì da cui Renzi è uscito vincitore ma è stato “picchiato” politicamente dalla vecchia guardia, lo scontro è passato in Parlamento dove la prossima settimana si comincia a votare la riforma del lavoro.
Bersani pensa a sub-emendamenti all’emendamento del governo e dà per scontato che il governo non ricorrerà alla fiducia. «Far cadere il governo? Ma chi ci pensa, figuriamoci. Piuttosto nel merito va detto che per fare quanto annunciato dal premier non bastano un miliardo e mezzo, questi sarebbero sufficienti per 150 mila persone... ne servirebbero almeno 5 o 6 di miliardi. Sono altre le cose di cui abbiamo bisogno: di una flessibilità funzionale come in Germania, tipo il contratto Ducati, che sappia affrontare i picchi e le crisi. Non mi dire “l’imprenditore è libero di licenziare ma poi ci pensa lo Stato”, quando sai di non poterlomantenere qui in Italia».
È un fiume in piena, Bersani. In Direzione ha parlato di “metodo Boffo” cioè di macchina del fango contro i dissidenti del Pd. Ora precisa: «Non mi riferivo a un metodo solo contro di me, ma più in generale. Però nessuno deve accusarmi di essere un conservatore. Io ho fatto riforme hard, sul commercio, l’energia, la competitività... ne ho parlato tuttavia solo dopo averle fatte». È l’affondo contro l’annuncite di Renzi.
«Comunque le riforme si fanno senza attaccare i “riformati” chiamiamoli così, ma convincendoli che si fanno anche per loro. Invece ‘sta roba qui di prendersela con i sindacati, che avranno le loro colpe, ma è uno schiaffo ingiusto, non esiste ». A «Matteo» rimprovera tra l’altro le lodi a Marchionne a Detroit, durante il viaggio del premier in Usa, senza avere almeno fatto notare al manager che sarebbe opportuno fare le critiche ai paesi in cui la Fiat paga le tasse.
Ma quanto pesa ancora la minoranza dem frantumata in mille rivoli? Quanto può condizionare Renzi? Con Fassina, D’Attorre, Agostini, Zoggia, bersaniani di stretta osservanza, l’ex segretario tiene una riunione volante. Non vuole sentire parlare di minoranza spaccata. «La minoranza non è mica un’organizzazione, una cupola, è fatta di sensibilità e di opinioni... ». Si vedrà in aula.