DEFICIT E DEFICIENTI - PARIGI SE NE FREGA DELL’AUSTERITY DI BRUXELLES: AVRÀ IL DECIFIT SOPRA IL 3%, IN AUMENTO RISPETTO ALL’ANNO SCORSO - MA LA FRANCIA ORA RISCHIA UN MULTONE EUROPEO CHE PUÒ ARRIVARE FINO ALLO 0,2% DEL PIL
1 - PARIGI SI RIBELLA ALL’AUSTERITY: DEFICIT OLTRE IL 3% FINO AL 2017
Anais Ginori per “la Repubblica”
ANGELA MERKEL E FRANCOIS HOLLANDE
Il primo ministro Manuel Valls l’aveva annunciato qualche giorno fa: «Rifiutiamo l’austerità». Ieri è arrivata la conferma con la presentazione della nuova Finanziaria. Il governo francese si ribella al dogma del rigore. Il deficit francese è in aumento rispetto all’anno scorso, 4,4% del Pil, lontano dal fatidico 3% stabilito dal Patto di Stabilità. La Francia non si adegua alle regole di Bruxelles, poche ore dopo che l’Italia ha deciso di rallentare il processo di riduzione del debito e di rinviare di un anno del pareggio di bilancio, fino al 2017.
Ma il governo di Roma si è impegnato tenere il disavanzo sotto al 3%, sebbene di un soffio per quest’anno, mentre Parigi ha rinviato questo obiettivo per i prossimi due anni: il deficit sarà al 4,3% nel 2015, con una previsione di crescita del Pil dell’1%, che molti esperti considerano “ottimista”, e con un disavanzo del 3,8% nel 2016.
«La Francia va a picco» ha titolato ieri in prima pagina il Figaro. Lo Stato ha superato ormai la soglia simbolica dei 2000 miliardi di euro di debito pubblico (95,1% del Pil). Un macigno di cui certo non è responsabile solo il governo socialista ma il cerino è passato nelle mani di François Hollande. Il prossimo incontro tra il presidente francese e la cancelliera tedesca si annuncia difficile e teso. Tutti gli stati dell’Unione europea «facciano i loro compiti» e «rispettino pienamente gli impegni» presi, ha tuonato ieri Angela Merkel.
La seconda potenza economica d’Europa va per un’altra strada, decidendo di favorire e incoraggiare la crescita. «Non saranno chiesti ulteriori sforzi ai francesi perché il governo rifiuta l’austerità» ha detto il ministro delle Finanze, Michel Sapin, sottolineando che il ritmo della riduzione del deficit deve essere «adattato alla situazione economica del paese». Ovvero: deflazione e crescita pari a zero nell’ultimo trimestre.
I tagli presentati dal governo saranno di 21 miliardi il prossimo anno. Uno «sforzo senza precedenti» ha commentato Sapin. Eppure è una Finanziaria che scontenta tutti: misure troppo timide per Bruxelles e per una parte della destra francese, misure eccessive per l’estrema sinistra e il Front National. La Francia si prepara a ridurre la spesa sanitaria di 3,2 miliardi e i trasferimenti alle famiglie di 700 milioni di euro. Saranno anche diminuiti i dipendenti pubblici e limitati gli aumenti salariali. La spesa pubblica calerà così dal 56,5% del Pil nel 2014 al 56,1% nel 2015, restando comunque una delle più alte d’Occidente.
Il voto della Finanziaria in parlamento sarà ad alta tensione per via dei «frondisti» a sinistra. Alcuni sono stati addirittura espulsi dal gruppo socialista nelle ultime ore. Ma quella che a Parigi viene presentata come una manovra “lacrime e sangue”, altrove in Europa viene bollata come “lassista” con la scusa di rilanciare l’economia. «Una crescita sostenibile di lunga durata — ha detto Merkel — si può raggiungere soltanto sulla base di una solida politica di bilancio. Questo è alla base della credibilità dell’Unione europea».
Bruxelles si limita a ricordare che «le raccomandazioni della Commissione devono essere rispettate». L’esecutivo Ue evita di commentare, spiega il portavoce dell’attuale commissario agli Affari economici Jirky Katainen, «fino a quando saranno a disposizione tutti i piani nazionali completi», ovvero fino al 15 ottobre.
Dopo, aggiunge, «faremo le nostre valutazioni e potremo procedere con le previsioni economiche che diffonderemo all’inizio di novembre ». La Commissione Ue, per ora, resta vigile senza lanciare richieste di ravvedimento o minacce di nuove procedure di infrazione. Anche perché tra qualche settimana, il 1 novembre, entrerà in funzione la nuova Commissione. Il presidente Jean-Claude Juncker e i suoi nuovi commissari — il francese Pierre Moscovici agli Affari economici e Katainen vicepresidente “supervisore” — dovranno allora dialogare con Roma e Parigi.
2 - LA UE VERSO UNA MULTA ALLA FRANCIA E DUE MESI ALL’ITALIA PER AVVIARE LE RIFORME
Andrea Bonanni per “la Repubblica”
Compagni di strada, eppure lontani come non mai. A poche ore di distanza uno dall’altro, i governi socialisti di Italia e Francia hanno annunciato che non potranno rispettare gli impegni assunti in materia di bilancio. Si potrebbe pensare ad una manovra coordinata, ad una rivolta contro l’austerità voluta dalla Germania. Ma non è così. Le condizioni, le intenzioni e le strategie di Roma e Parigi non potrebbero essere più diverse.
La Francia, che da tempo si trova sotto procedura per deficit eccessivo, e che aveva già ricevuto da Bruxelles due anni di proroga, ha bellamente comunicato che il rispetto dei parametri di Maastricht verrà rinviato di altri tre anni, fino al 2017. Quella di Parigi è una sfida aperta alle regole comuni, lanciata in nome di una «grandeur» che non contempla neppure la possibilità di sottomettere la propria sovranità nazionale sui bilanci ad una superiore sovranità europea, accettata a parole ma mai nei fatti.
Nella sua sfida aperta alle regole europee Hollande spera forse di contare sulla solita complicità della Germania, che in passato ha già ripetutamente garantito ai francesi una tolleranza negata ad altri Paesi. Oppure veramente il presidente francese ha deciso di provocare apertamente Bruxelles e Berlino scommettendo che nessuno oserà sanzionare la seconda potenza d’Europa. Potrebbe essere un calcolo avventato. Parigi rischia di vedersi respinta la finanziaria, con l’obbligo di riscriverla. Oppure di dover pagare una multa salatissima, che può arrivare fino allo 0,2% del Pil.
La posizione dell’Italia, ma anche la sua filosofia, è molto diversa. Sebbene il governo Renzi sia stato il primo a cercare di rimettere in discussione le linee della «governance» economica europea, la finanziaria che intende presentare mira ad ottenere il placet di Bruxelles.
L’obiettivo di Roma è quello di far accettare all’Europa lo scartamento di qualche decimo di punto rispetto all’obiettivo del pareggio strutturale di bilancio previsto dal «fiscal compact» in cambio di un impegno verificabile nella realizzazione delle riforme strutturali che i nostri partner ci sollecitano da tempo.
Anche le condizioni oggettive sono diverse. L’Italia è uscita da anni dalla procedura per deficit eccessivo e non vuole tornare sul banco degli accusati, vanta l’avanzo primario più alto dell’eurozona e comunque intende rispettare il tetto del 3% di deficit imposto dal Patto di stabilità. Inoltre, dopo tre anni di recessione e con l’economia in deflazione, può davvero invocare le circostanze eccezionali previste dai trattati europei per giustificare uno scostamento dagli obiettivi concordati.
Jyrki_Katainen primo ministro finlandia
La scommessa di Renzi e di Padoan è che l’Europa condivida la loro analisi secondo cui la realizzazione delle riforme necessarie a migliorare la produttività del Paese e a fermare la recessione è molto più importante, al fine della sostenibilità dei conti pubblici, di qualche decimo di punto nel computo del deficit o del debito. E’ questa, in altri termini, la tanto citata «flessibilità» che Roma chiede a gran voce da tempo.
Su questo fronte, almeno in linea di principio, l’Italia non trova ostacoli a Bruxelles. Il problema vero è che l’Europa, dopo anni di impegni non mantenuti dai governi italiani, di buone leggi rimaste inoperanti per la mancanza di decreti attuativi, di agguati parlamentari contro questa o quella riforma, non si fida più della capacità italiana di auto-riformarsi. E quindi esige continue verifiche sull’operato del governo attraverso un monitoraggio pressoché costante.
Jyrki_Katainen primo ministro finlandia
Il prossimo appuntamento cruciale per l’Italia sarà a novembre. E non sarà tanto il giudizio che la Commissione darà sulle leggi di bilancio presentate dai governi, occasione in cui potrebbe anche respingere la finanziaria francese. Il momento della verità per il governo Renzi sarà il rapporto che la Commissione presenterà sull’attuazione delle raccomandazioni di politica economica da parte dei Paesi che, come l’Italia, si trovano in condizione di squilibrio macroeconomico eccessivo.
Sarà quella l’occasione per conoscere il giudizio dell’Europa sulla riforma della giustizia civile, della burocrazia e del mercato del lavoro. Una scadenza che forse può spiegare la fretta e la determinazione con cui il governo sta cercando di portare le riforme oltre lo scoglio dell’approvazione parlamentare.
Se la valutazione di Bruxelles sarà positiva, l’Italia può sperare che lo scostamento di qualche decimale nei conti pubblici venga accettato dall’Europa. Ma ora l’insubordinazione francese rende la nostra posizione più precaria. Se si deciderà di punire la Francia, sarà infatti più difficile mostrarsi flessibili con l’Italia.
«Noi siamo diversi da loro — si è sfogato con i suoi il premier Matteo Renzi — se avessimo lasciato andare il deficit al 4,4% avremmo avuto altri venti miliardi a disposizione. Ma non lo faremo. Però temo che qualcuno cercherà comunque di metterci sul banco degli imputati con la Francia per via della mancata riduzione del debito». Un timore che dovrebbe spingerlo a premere ulteriormente sull’acceleratore delle riforme.