hong kong protesta contro la cina

DEMOCRAZIA ALLA CINESE - HONG KONG IN RIVOLTA CONTRO I DIKTAT DI PECHINO DI NOMINARE I CANDIDATI PREMIER - 'OCCUPY' IN PIAZZA: NON MOLLIAMO, BLOCCHEREMO LA CITTÀ

(ANSA)

 

parlamentari pro democrazia protestano ad hong kongparlamentari pro democrazia protestano ad hong kong

Più di cinquemila persone sono scese in piazza questa sera a Hong Kong davanti alla sede del Governo locale per ribellarsi contro le limitazioni elettorali imposte da Pechino. Promettono di paralizzare Central, il cuore finanziario di Hong Kong, nel quale si trovano gli uffici delle banche internazionali e delle società multinazionali di tutto il mondo, dopo la decisione, annunciata stamane da Pechino, che prevede che il capo del governo locale venga sì eletto a suffragio universale ma che i candidati non possano essere più di tre: e soprattutto che questi saranno scelti da un apposito comitato di saggi, fedelissimi a Pechino.

 

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Fino a oggi il "chief executive" (capo del governo) di Hong Kong è stato scelto da un comitato elettorale di 1.200 persone nominate da Pechino, ma proprio oggi il Comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo, l'organismo al quale spetta l'ultima parola sulla vita politica dell'ex colonia britannica, ha deciso dopo una settimana di riunioni che sarà lo stesso comitato elettorale a nominare "due o tre candidati", che dovranno avere l'appoggio di oltre la metà dei suoi membri.

 

E anche se il nuovo sistema deve ancora essere approvato dal mini-Parlamento di Hong Kong, il Consiglio Legislativo, i movimenti democratici sono sul piede di guerra e oggi sono scesi nuovamente per le strade. Una delle giornate più nere e dolorose per il movimento democratico di Hong Kong, come in molti hanno sostenuto, paragonando la situazione a quella della Corea del Nord.

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Questa sera per le strade dell'ex colonia britannica, tornata dal 1997 sotto il controllo cinese con lo status di Speciale Regione Amministrativa (Sar) della Cina, c'erano anche gli studenti delle scuole superiori e gli universitari. Hanno cercato tra l'altro di raggiungere il Grand Hotel Hyatt, dove alloggia un esponente dell'Assemblea Nazionale del Popolo, Li Fei, in visita a Hong Kong, per esprimere il loro rifiuto alla mancanza di libertà e riforme annunciato oggi dal governo di Pechino.

 

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La massiccia presenza di forze dell'ordine ha però bloccato ogni tentativo di avvicinarsi all'albergo, e gli studenti hanno deciso di indire un sit-in a oltranza. Nei prossimi giorni, fanno sapere i movimenti, le azioni di protesta si estenderanno a scioperi universitari e altre manifestazioni, fino ad arrivare all'occupazione di alcune delle zone nevralgiche della città, al fine di ottenere il suffragio universale, promesso a Hong Kong dagli accordi presi fra Pechino e la Gran Bretagna durante le discussioni sul futuro di Hong Kong dopo il passaggio di sovranità.

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Hong Kong, ricorda uno dei leader storici del movimento pro-democrazia, Martin Lee, "non può accettare la democrazia con caratteristiche cinesi, ma vuole una democrazia genuina". Già a inizio luglio in migliaia erano scesi per le strade per chiedere più democrazia e circa 800mila persone avevano partecipato a un referendum "simbolico" per chiedere riforme elettorali. In tutta risposta Pechino ha scelto di inviare i blindati.

 

Da venerdì scorso, denunciano i movimenti, sono stati visti in circolazione nel cuore della città: "un tentativo di intimidazione", denunciano alcuni parlamentari pro-democrazia. Da Hong Kong a Macao, altro territorio autonomo sotto sovranità cinese, la storia si ripete. Dopo la riconferma del capo dell'esecutivo Fernando Chui, eletto al suo secondo mandato con il 95% dei suffragi dei membri del comitato elettorale pro-Pechino, le proteste davanti all'Assemblea locale non si sono fatte attendere. Gli abitanti dell'ex colonia portoghese si sentono raggirati da Pechino.

 

2. VOTO “CINESE” A HONG KONG I CANDIDATI LI DECIDE PECHINO - IL MOVIMENTO PER LA DEMOCRAZIA: NON MOLLIAMO, BLOCCHEREMO LA CITTÀ

Ilaria Maria Sala per “La Stampa

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Pechino mette il veto alle riforme politiche di Hong Kong, preferendo lo scontro con il movimento pro democrazia di quest’ex colonia britannica a possibili imprevisti politici.

I lunghi mesi di proteste a Hong Kong, dove da anni la popolazione aspetta che sia mantenuta la promessa di concedere il suffragio universale, non sono serviti a nulla: Pechino ha scelto la linea dura.

 

Nel 2017 quando la città sarà chiamata ad eleggere il suo nuovo Capo dell’Esecutivo, potrà scegliere tra un massimo di tre candidati, pre-selezionati da un comitato elettorale di 1200 persone scelte da Pechino. Solo chi avrà l’approvazione di almeno la metà dei membri del comitato sarà autorizzato a candidarsi.

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Sfumano dunque le illusioni di candidature libere, e di un suffragio universale con almeno le sembianze di un esercizio democratico. Ma se Pechino ha deciso per il pugno di ferro, la sua controparte non abbandona la lotta: il movimento Occupy Central, che spinge per la democratizzazione di Hong Kong, ha dato il via alla stagione di «disobbedienza civile», indicendo scioperi e promettendo di bloccare le strade centrali della città.

 

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Ieri Benny Tsai, di Occupy Central, ha detto ai più di 5000 manifestanti raccolti davanti alla sede del governo centrale: «Questo è il giorno più nero nella storia di Hong Kong», incitando i manifestanti a lottare. Martin Lee, figura storica del movimento pro-democrazia, ha osservato che Hong Kong non può «accettare la democrazia con caratteristiche cinesi», e fra gli studenti liceali e universitari del gruppo Scolarismo, molti hanno deciso di dare immediatamente il via ad azioni di protesta.

 

Nel corso della notte hanno cercato di parlare con Li Fei, delegato del governo centrale arrivato in serata a Hong Kong, con un sit-in davanti al suo albergo – dal quale sono stati portati via a forza dalla polizia. Secondo Bao Pu, analista politico ed editore di Hong Kong, «per la prima volta Hong Kong è in conflitto aperto e diretto con Pechino».

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Si apre dunque una fase di grande incertezza, con Occupy Central che promette di paralizzare il quartiere degli affari, e Pechino che assicura che non vi saranno ripensamenti: le uniche elezioni possibili sono quelle in cui il vincitore è prevedibile ed innocuo.

 

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