Sergio Rizzo per il “Corriere della Sera”
Chiudere baracca e burattini. Per quanto fosse l’unica soluzione accettabile, nessuno prima d’ora aveva mai voluto guardare in faccia la realtà. Caso unico sul pianeta, il Comune di Roma possiede una propria compagnia assicurativa che copre dai rischi tutti i suoi veicoli. Ma a un costo assurdo. Il Campidoglio paga infatti alle Assicurazioni di Roma (Adir) premi 3,2 volte più cari rispetto al Comune di Milano. E liquida sinistri ancora più salati, con un rapporto rispetto al capoluogo lombardo di 4,2 a uno.
nla 43 franc dauria karim capuano
Fece scalpore un paio d’anni fa l’indennizzo astronomico di 1,2 milioni versato senza battere ciglio dalla compagnia comunale allora presieduta da Marco Cardia, figlio dell’ex presidente della Consob Lamberto Cardia, al tronista di «Uomini e Donne» Karim Capuano che era andato a sbattere con la sua Smart contro un autobus. Ma altrettanto scalpore avrebbero dovuto provocare i 92.662 euro di costo procapite di ogni dipendente, contro una media di 68 mila delle compagnie private, e con «prestazioni di lavoro autonomo» salite del 42% in due anni.
Oppure i 194,6 milioni investiti in attività finanziarie, dice un esplosivo dossier degli uffici comunali, ben più rischiose dei Bot. Non sta in piedi. Come non sta in piedi la Farmacap, azienda che gestisce 44 farmacie con 358 dipendenti, le uniche in Italia sempre in perdita che hanno costretto il Comune sei mesi fa a tirare fuori 15 milioni per tappare i buchi.
Anche qui non c’è che una strada possibile: vendere.
Perché non sia stata percorsa prima, come del resto la liquidazione della Adir, è presto detto. I partiti non l’avrebbero permesso. E nemmeno ora lo vorrebbero consentire, a giudicare dalle reazioni al massiccio piano della giunta di Ignazio Marino di dismissioni e chiusure delle Municipalizzate romane, da Risorse per Roma al Centro Carni, dalle controllate dell’Ama a quelle dell’Atac, passando per le assicurazioni. Un universo gigantesco e dai confini imprecisati di oltre un centinaio di sigle, intorno al quale ruotano 37 mila stipendi per un costo di 1,4 miliardi l’anno, ma che non regge più.
La situazione è al collasso, prova tangibile del degrado in cui la città è piombata, e non certo da ora. Fino a livelli dai quali risollevarla rischia di essere un’impresa quasi disperata. Lo squilibrio strutturale del Campidoglio, valutato in 550 milioni l’anno, è frutto anche di questo. Non c’è forse città nella quale sprechi e inefficienze delle società comunali siano così storicamente radicati, fra clientele e ombre di corruzione.
Sinistri scricchiolii si avvertono dappertutto. Il Tesoro, che ne è azionista al 90%, ha deciso di portare in tribunale i libri della super indebitata Eur spa, società amministrata fino a un anno fa da un fedelissimo del sindaco Gianni Alemanno: quel Riccardo Mancini accusato di tangenti per i filobus dell’Atac e ora finito in carcere per lo scandalo Mafia Capitale.
Ma fa venire i brividi anche la situazione dell’Ama, un gruppo con oltre 11 mila dipendenti.
La città ferita da Mafia Capitale è sporca, talvolta al limite dell’indecenza. Nel rapporto scritto un anno fa dagli ispettori della Ragioneria ci sono pagine che fanno riflettere a proposito della controllata Multiservizi, società che si occupa della pulizia delle scuole e alla quale partecipa la Manutencoop della Lega con il 45,5% e una ditta privata (La Veneta servizi) con il 3,5%. Si racconta di un rapporto con il Campidoglio costellato di irregolarità, con gare dall’esito stridente, affidamenti diretti e proroghe discutibili.
E poi l’Atac. Non esiste al mondo città più congestionata di Roma. Due milioni e 800 mila veicoli per poco più di due milioni e 800 mila persone è un record inarrivabile. Ce ne sono 978 per ogni mille abitanti, con 700 mila fra moto e scooter. Una follia. A Parigi i veicoli circolanti ogni mille residenti sono 415. A Londra, 398. Si calcola che nella città di Roma il traffico faccia perdere 135 milioni di ore l’anno. Come se ogni cittadino, dai neonati agli ultracentenari, restasse imprigionato due giorni nell’auto. Un miliardo e mezzo di euro evapora così. Più il miliardo e 300 milioni del costo degli incidenti: nel 2012 ce ne sono stati 15.782, con 154 morti e 20.670 feriti. Incalcolabili il prezzo per l’ambiente e le conseguenze per la salute dei cittadini, mentre l’uso del trasporto pubblico è trascurabile.
Nelle ore di punta non va oltre il 28%.
E pensare che l’Atac paga 12.184 stipendi, mille più dell’Alitalia. Duemila, anzi, considerando l’appalto delle linee suburbane: i sindacati erano riusciti pure ad affrancare i loro iscritti dell’Atac dal fastidio di guidare in certe periferie. Incombenza quindi affidata, dietro compenso annuo di 107 milioni, al consorzio privato Tpl.
Negli ultimi cinque anni l’Atac ha accumulato perdite per 997 milioni. L’azienda gestisce 330 linee di superficie contro le circa 100 di Milano, che ha però una robusta ed efficiente rete di metropolitane, incassando circa metà dei biglietti della milanese Atm.
Gli autisti guidano mediamente 32 ore alla settimana, con un massimo giornaliero di 6 ore e 20, mentre nel comparto tram e metro le ore di guida annue procapite non superano le 736, contro 850 a Napoli e 1.200 a Milano. Il tutto grazie ad accordi sindacali negoziati direttamente con il livello politico. Le sigle sindacali sono 13 e gli iscritti 9.684, più dell’80%. Sulla base delle vecchie intese le ore annue di permesso sindacale erano 153 mila, corrispondenti a 90 persone sempre assenti dal lavoro. Quando Marino si è insediato, gli autisti temporaneamente inidonei alla guida erano poco meno del 10% dei circa 4.500 in forza all’azienda.
Poi c’è la città. Con le strade distrutte e buche e voragini che massacrano i mezzi. Con le macchine perennemente in seconda fila a ostruire il traffico, fra l’indifferenza dei vigili urbani, dei quali ce ne sono in strada al massimo mille su seimila. Con 100 chilometri appena di corsie preferenziali, meno della metà rispetto a Milano: l’1,8 per cento dell’intero sviluppo viario del territorio comunale.
Non che a fronte di un tale disastro non si stia facendo nulla. Ci sono più controllori, l’assenteismo è calato, diversi dirigenti sono stati accompagnati alla porta, le perdite sono calate. Gli accordi sindacali integrativi sono stati disdettati. Il nuovo piano industriale prevede che si guidino gli autobus 36 ore alla settimana e la metro 900 ore l’anno, una lotta più dura all’evasione, la vendita di immobili per 190 milioni… Ma la buona volontà non cancella il sospetto che al punto in cui siamo servirebbe forse uno choc ancora più violento. E non solo all’Atac. Dove per inciso c’è un amministratore delegato che a quell’incarico ne somma altri sette, fra cui la presidenza di Poste assicura, del gruppo Poste italiane.
«Prendo 67.500 euro lordi l’anno. Al sindaco ho detto che avrei accettato l’incarico solo a patto di poter continuare a svolgere la mia attività», spiega Danilo Broggi. Ne conveniamo: resta il dubbio se sia giusto pagare chi è chiamato a gestire un’azienda pubblica, e nelle condizioni dell’Atac, meno della metà di un commesso anziano del parlamento. Ma che possa essere amministrata part time, è un fatto altrettanto singolare.