Jacopo Iacoboni Giuseppe Salvaggiulo per "La Stampa"
Nel grande risiko delle nomine Matteo Renzi si muove da sempre su un doppio binario. Da una parte sceglie e promuove uomini dotati di curriculum inattaccabili e la cui cifra è l’indipendenza; dall’altra colloca personaggi fidelizzati al massimo e legati a lui da rapporti tangibili in un livello intermedio che configura la struttura ramificata del suo potere profondo.
L’ultimo Consiglio dei ministri, alla vigilia di Natale, lo conferma: il governo ha nominato l’economista liberal Tito Boeri presidente dell’Inps e l’imprenditore Vincenzo Manes «consigliere al sociale». Il primo sul binario degli indipendenti di prestigio; il secondo, sconosciuto al grande pubblico, su quello dei fedelissimi negli snodi di potere. Manes, molisano, è un potente imprenditore nel settore metallurgico, ma si occupa anche di «innovazione sociale» con la sua Fondazione Dynamo. E è uno dei finanziatori palesi (62 mila euro), della fondazione renziana Open, che organizza la kermesse della Leopolda.
Il primo esame
Lo schema del doppio binario si era già testato nel primo giro di nomine nelle grandi aziende pubbliche poco dopo l’incarico di premier, o in pezzi dello staff di Palazzo Chigi. Da un lato le scelte spendibili nella logica del «cambiaverso»: donne, manager di profilo internazionale, professori, volti nuovi. E quindi profili come Carlotta de Franceschi consigliere economico; Patrizia Grieco e Paola Girdinio all’Enel; Emma Marcegaglia e Luigi Zingales all’Eni; Marta Dassù, Guido Alpa e Alessandro De Nicola a Finmeccanica; Francesco Caio e Antonio Campo Dall’Orto alle Poste.
Dall’altro, lo schema portava nel cda dell’Enel l’avvocato pistoiese Alberto Bianchi, presidente della fondazione Open; a Finmeccanica un finanziatore storico della Leopolda, l’imprenditore senese nel settore biomedicale Fabrizio Landi; all’Eni Diva Moriani, imprenditrice aretina del rame nonché amministratrice proprio di Dynamo, la fondazione di Manes. Sempre all’Eni, nel collegio sindacale, è finito un altro amico di Renzi, Marco Seracini, che guidava NoiLink, altra fondazione importante nella galassia renziana. Mondi che ritornano. E cerchi che si chiudono.
Da Firenze a Roma
Nonostante si sia avvalso di alcune società di consulenza per cacciatori di teste, il premier ha già la sua rete e la utilizza ampiamente. Pedine cruciali come Filippo Bonaccorsi, appena chiamato a Palazzo Chigi per guidare la task force che dovrà gestire il delicatissimo piano del governo sulla scuola (oltre 21 mila istituti coinvolti, almeno un miliardo di euro in ballo).
Bonaccorsi, avvocato romano, fratello della deputata Pd Lorenza - una dei quattro speaker dell’ultima Leopolda - ha guidato con perizia la privatizzazione dell’azienda di trasporto pubblico fiorentina, l’Ataf, quando Renzi era sindaco. Durante quella vertenza, vinta contro i sindacati, compare per la prima volta Maria Elena Boschi, che all’epoca aveva appena superato l’esame da avvocato.
Il ministro ha raccontato che diede un aiuto, a titolo gratuito, per risolvere le grane giuridiche. Renzi la nominò nel cda di Publiacqua, azienda mista (46 Comuni più Acea, Suez, Mps) che porta acqua nelle case di 1,3 milioni di toscani e vanta 160 milioni di fatturato e 660 milioni di investimenti. Incarico, questo, retribuito.
Non solo acqua
Nel cda di Publiacqua, Boschi sedeva con il presidente Erasmo D’Angelis, ex giornalista del manifesto, ambientalista ma oppositore del referendum sull’acqua del 2011. Anche D’Angelis è stato portato a Palazzo Chigi da Renzi, con il ruolo strategico di capo dell’unità di missione sul dissesto idrogeologico. Sostituendo quattro ministeri, D’Angelis ha impresso una svolta radicale, sbloccando in pochi mesi 1300 cantieri per 1,6 miliardi di euro e candidandosi a gestirne altri 9 nei prossimi anni, facendo bingo sui fondi europei.
Il modello D’Angelis viene ora ripetuto con Bonaccorsi sulla scuola: funzioni strategiche, piani di alto valore simbolico, grandi flussi di spesa pubblica accentrati a Palazzo Chigi e ministeri anche importanti esautorati: ambiente, istruzione, sviluppo economico, infrastrutture… Basta ascoltare gli sfoghi dei grand commis dei dicasteri, che non toccano più palla sui dossier principali (per non parlare dei ministri, talvolta nemmeno informati).
Grandi opere
Il modello, naturalmente, si applica anche al principale canale di spesa pubblica: il miliardario rubinetto delle grandi opere, affidato alle cure del Cipe guidato da Luca Lotti, un po’ l’Underwood del renzismo, il protagonista di House of Cards, la serie tv citata da Renzi anche ieri.
Dopo il via libera a diverse autostrade, negli ultimi giorni il Cipe ha dato parere favorevole agli stanziamenti della Cassa depositi: 300 milioni per la metro 4 di Milano, 180 per la linea 1 a Napoli, 307 per l’inclusione sociale in Calabria, una decina al Piemonte per le «opere compensative» del Tav.
cena di finanziamento del pd a roma luca lotti
Tra i principali dossier sulle infrastrutture sul tavolo del governo c’è il piano degli aeroporti. Al vertice di quello di Firenze, che ha appena ottenuto la salvifica fusione con Pisa, c’è (succeduto proprio a Manes) Marco Carrai che, con Bianchi, Boschi e Lotti, amministra la fondazione Open. Capisaldi di una sorta di governo parallelo quasi più influente di un consesso di ministri.