1. IGNAZIO VISCO: BANCHE ITALIANE BEN PATRIMONIALIZZATE. RIVEDERE IL «BAIL-IN»
Maximilian Cellino per www.ilsole24ore.com
Le banche italiane sono ben patrimonializzate e non occorrono ulteriori aumenti di capitale, ma qualcosa nel meccanismo di prevenzione delle crisi del sistema finanziario non ha funzionato a dovere e occorre rivedere alcune delle nuove norme sul “bail in” adottate a livello europeo Ha soprattutto due temi a cuore il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco: la solidità del sistema del credito italiano e la possibile correzione di meccanismi che lo stanno penalizzando oltre i demeriti. E li sottolinea a chiare lettere nel consueto intervento al Congresso Assiom Forex.
Guardare avanti e ridurre i costi di struttura delle banche
«Le banche italiane sono ben patrimonializzate», ha affermato Visco questa mattina a Torino, sottolineando i meriti della «azione prudente e pressante della Vigilanza italiana e, da più di un anno, di quella europea». I crediti deteriorati sono infatti «ampiamente coperti da svalutazioni e garanzie», sostiene il Governatore, lasciando intendere che non sono necessari ulteriori aumenti di capitale agli istituti italiani e che occorre quindi guardare avanti, anche perché «la congiuntura favorisce la ripresa della redditività». «È il momento di affrontare e ridurre con decisione i costi di struttura, di porre le basi per una crescita robusta, che andrà a vantaggio delle banche stesse e del sistema economico nel suo complesso».
Ma è rivolta soprattutto a Bruxelles, e ai rappresentanti italiani che siedono nelle sedi istituzionali dell’Unione europea l’appello forse più importante lanciato da Visco. Le nuove norme sul risanamento e sulla risoluzione delle crisi bancarie (Bank recovery and resolution directive, Brrd) contengono «una clausola, da avviare entro giugno 2018», che secondo Visco «è auspicabile che questa occasione sia ora sfruttata, facendo tesoro dell’esperienza, per meglio allineare la disciplina europea», aggiunge Visco. Il riferimento va chiaramente alle norme note come «bail in», appena entrate in vigore, che hanno anche in parte contribuito alle turbolenze sui mercati di gennaio.
Visco ricorda infatti come non si sia tenuto conto, a differenza di quanto sottolineato a più riprese da Bankitalia e Mef, del fatto che un'applicazione immediata e retroattiva dei meccanismi di salvataggio «avrebbe potuto comportare, oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia, anche rischi per la stabilità finanziaria», anche in relazione con il «trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritto anni addietro».
«Sarebbe stato preferibile un passaggio graduale e meno traumatico, tale da permettere ai risparmiatori di acquisire piena consapevolezza del nuovo regime e di orientare le loro scelte di investimento in base al mutato scenario», ha ammesso Visco, ricordando che «un approccio mirato, con l'applicazione del bail-in solo a strumenti provvisti di un'espressa clausola contrattuale e un adeguato periodo transitorio avrebbero consentito alle banche di emettere nuove passività espressamente assoggettabili a tali condizioni».
Sulle 4 banche «abbiamo agito con tempestività»
piercarlo padoan margrethe vestager
Non manca, nel discorso al Forex, una difesa a tutto campo dell’operato di Bankitalia nella vicenda delle banche in difficoltà recentemente salvate: nel caso di Banca Etruria, Carichieti, Banca Marche e Cariferrara, come in tutti gli altri casi di crisi bancaria affrontati dalla Vigilanza (circa 100 negli ultimi 15 anni), si è agito «con attenzione e tempestività nel rispetto delle norme esistenti».
Non c’erano quindi soluzioni alternative, secondo Visco, «data l’irreversibilità del dissesto e l’emergere di insostenibili tensioni di liquidità». La valutazione particolarmente conservativa delle sofferenze delle banche in questione corrisponde invece «all’approssimazione del valore teorico che avrebbero assunto, in media, nell’ipotesi di una loro immediata cessione sul mercato».
Gli istituti non sono stati salvati con «risorse pubbliche»
PADOAN VISCO GUZZETTI PATUELLI
I costi del salvataggio «sono stati sopportati, oltre che dai detentori di azioni e obbligazioni subordinate, per la maggior parte dal sistema bancario attraverso il neo-costituito Fondo di Risoluzione» , ha aggiunto il Governatore, tenendo a sottolineare in modo particolare che «non vi sono stati trasferimenti di risorse pubbliche».
A questo proposito, Visco ha aggiunto che «tra le iniziative che il sistema bancario italiano deve considerare per contenere i costi di una crisi per i risparmiatori rientra la predisposizione di meccanismi volontari di intervento, aggiuntivi rispetto ai sistemi obbligatori di garanzia dei depositanti». Ilcosto di quest’ultimo meccanismo, che non figurerebbe un aiuto di Stato, sarebbe a carico quindi del sistema bancario, e «sarebbe compensato dai benefici che ne trarrebbero tutti gli intermediari, grazie alla rafforzata fiducia e all’accresciuta stabilità del sistema».
2. UNA UE CHE NON HA PIÙ CERTEZZE
Vincenzo Visco per ''Il Sole 24 Ore''
Il 2016 si prospetta come un anno molto complicato per l’Europa che può vedere compromessa la sua stessa esistenza. Le difficoltà economiche permangono e la crescita risulta debole e a rischio; le crisi bancarie in Portogallo, ma soprattutto in Italia, possono far precipitare l’Unione in una crisi anche più grave che nel 2011. Il fatto che si esiti ad affrontarle con misure adeguate alimenta gli istinti speculativi dei mercati. Da questo punto di vista la decisione della Commissione di bloccare la bad bank italiana è semplicemente irresponsabile.
Il rischio che il referendum britannico sulla permanenza nella Comunità possa avere un esito negativo è reale e, al momento attuale, crescente. La eventuale uscita del Regno Unito potrebbe determinare un effetto domino micidiale: la Scozia potrebbe ribadire la sua volontà di restare nella Comunità e quindi dichiarare la propria indipendenza; uscita l’Inghilterra, anche i Paesi del nord avrebbero minori ragioni per una loro permanenza. Le spinte secessionistiche in altri Paesi (Spagna, ma non solo) potrebbero rafforzarsi. Ila Brexit inoltre diventerebbe più probabile se si prospettasse un’altra crisi greca, evento del tutto possibile dal momento che il programma imposto al Paese è apparso fin dall’inizio di difficilissima, se non impossibile, realizzazione e di improbabile successo.
A questa situazione va ancora aggiunta la violazione di fondamentali regole democratiche da parte di alcuni Paesi europei: l’Ungheria di Orban (ormai da diversi anni, senza nessuna reazione da parte della Commissione e dei Paesi leader), e più recentemente la Polonia di Kaczynski, nei confronti della quale le reazioni sembrano esserci e saranno fonte di conflitto. Ambedue i governi, comunque, sono fortemente euroscettici.
Altri Paesi come l’Austria e la Danimarca sono stati indotti dalla pressione delle opinioni pubbliche ad assumere posizioni radicali nella gestione del problema della immigrazione.
In sostanza l’Europa appare sempre più balcanizzata, percorsa da spinte nazionalistiche sempre più forti, e incapace di ogni reazione.
I partiti più radicali di destra e di sinistra conquistano spazio in tutti i Paesi: dalla Francia, dove solo un sistema elettorale che consente di escludere il 25 o più per cento del corpo elettorale, e che comincia giustamente ad essere posto in discussione, ha evitato che si materializzasse il successo del Fronte popolare, alla Spagna (ancora in cerca di un governo), al Portogallo.
All’origine di questo disastro vi sono due fattori principali: la crisi economica e il fenomeno dell’immigrazione. La crisi del 2007 ha avuto dimensioni epocali e, come quella del 1929, rischia di avere conseguenze politiche devastanti in Europa dove la leadership tedesca ha imposto una terapia insensata, ispirata agli interessi di breve periodo della Germania, ma assolutamente iatrogena per tutti gli altri, che ha spinto le economie del continente a divergere sempri di più e a scaricare sui ceti più deboli tutto il costo dell’aggiustamento, creando insicurezza, paura e risentimento, e anche mettendo a rischio la ripresa mondiale affidata solo agli sforzi degli Stati Uniti.
La pervicacia con cui il ministero delle Finanze tedesco e la Bundesbank continuano a portare avanti la loro linea incuranti delle macerie materiali e morali che essa ha provocato fa temere che in verità i gruppi dirigenti tedeschi (o una loro parte) abbiano già deciso di considerare chiusa l’esperienza dell’euro se non della stessa Unione.
Per quanto riguarda l’immigrazione la minaccia di una vera e propria invasione dal sud è reale, così come sono fondate le preoccupazioni delle popolazioni europee. Tuttavia il problema non è gestibile con recinzioni e respingimenti. Si tratta infatti di oltre 20 milioni di potenziali migranti, di disperati che dal Medioriente e dall’Africa fuggono da guerre, carestie, desertificazioni, collasso degli Stati, violenze gratuite. Solo un intervento coordinato, non solo dell’Europa, ma della comunità internazionale, orientato sia a ristabilire la pace, sia a fornire generose erogazioni tipo piano Marshall, possono darci la speranza di non essere invasi e travolti in un modo o nell’altro, in tempi non brevissimi.
Stando così le cose, è evidente che ciò che manca è la politica. Sarebbe necessaria una iniziativa di alto livello e ad ampio ragio che fosse in grado di affrontare sia la questione economica che quella dell’immigrazione. È anche evidente che la guida dell’iniziativa non potrebbe che essere degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite, ma gran parte dei costi dovrebbe essere affrontata dall’Europa che sarebbe il beneficiario principale dell’operazione.
Sarebbe quindi opportuno che questi problemi venissero per lo meno posti formalmente sul tappeto nella loro interezza ed esplicitandone il collegamento. Nella situazione attuale le polemiche, le punture di spillo che si scambiano i protagonisti della politica europea servono veramente a poco.