Francesco Bonazzi per Dagospia
Noi ci prendiamo la flessibilità sui parametri di Maastricht, ma in cambio faremo le riforme sotto il controllo stretto di Bruxelles. E’ questo il senso di quello che dovrebbe dire domani alla Camera Renzie, quando esporrà il suo programma in vista della Legge di stabilità e degli appuntamenti sulle riforme, a cominciare da quella del lavoro.
Secondo le indiscrezioni che circolano tra Palazzo Chigi e il Tesoro, Roma si appresta a presentare una Legge di stabilità che non rispetterà l’impegno dell’1,8% nel rapporto deficit-Pil per il 2015, anche se resterà sotto il 3%. E non ci sarà nessuna riduzione dello 0,5% del deficit strutturale, al netto del ciclo economico sfavorevole. Renzie presenterà queste decisioni con il suo consueto tono muscolare, sottolineando che siamo comunque “tra i pochi paesi che rispettano i parametri”.
Il senso politico del suo discorso, però, è quello che riguarda le famose riforme. Renzie ripeterà al Parlamento, per pungolarlo, che “le riforme le facciamo noi”, ma secondo le attese della vigilia dovrebbe in qualche modo aprire un varco a Bruxelles anticipando che la Commissione ne verificherà la puntuale attuazione. Insomma, saremo controllati da vicino, secondo un meccanismo che il ministro Padoan ha già accettato nell’Ecofin informale di Milano.
In pratica Roma metterà per iscritto il programma di riforme che intende portare a termine, compresa la “time-table”, e lo consegnerà alla Commissione. La Commissione valuterà il piano, anche in termini di punti di Pil che ogni singolo intervento può valere, e poi ci starà addosso sul rispetto dei tempi e sulla qualità degli interventi, anche con missioni apposite nel nostro Paese.
san silvio berlusconi con renzi
Come spiega una fonte del ministero dell’Economia, “torneremmo alla situazione del 2011 post-vertice di Cannes, con il monitoraggio stretto che poi non fu messo in atto perché si ritenne sufficiente la nascita del governo Monti”. Ma Renzie cercherà di presentare l’operazione come utile per tutti, nel senso che anche a Bruxelles fa comodo muoversi insieme a lui, sulla base di un programma condiviso. Non solo, ma in questo schema Renzi avrebbe la copertura politica “esterna” per far passare quella parte di riforme più complicata da portare a casa, ovvero quelle sul lavoro.
Un passaggio delicato del monitoraggio stretto di Bruxelles sulle riforme riguarda la maggioranza politica che deve gestire in Italia questo meccanismo. La Commissione sarà favorevole a una maggioranza più ampia possibile, perché in casi del genere gli uomini di Bruxelles, come anche quelli del Fondo e della Bce, preferiscono che non si svolga una campagna elettorale sulle riforme concordate. Anche Renzie avrebbe interesse ad avere la garanzia che Berlusconi non “speculi” sopra le riforme, ma per ora non vuole allargamenti formali della maggioranza di governo. Berlusconi, per parte sua, da mesi manda segnali di “responsabilità”. Insomma, la partita è tutta da giocare.
In tutto ciò è ampiamente probabile che anche domani Renzie lanci qualche frecciata a costo zero a Bruxelles, tipo quelle sul piano Juncker da 300 miliardi, per non presentarsi come uno che piega la testa ai diktat europei. Ma non ha molte alternative a rilanciare e ad accettare il monitoraggio della Commissione per fare quelle riforme che finora non ha avuto la forza di fare da solo. Il rischio, diversamente, sarebbe quello di affrontare tre mesi terribili, tra Legge di stabilità, Tasi e altri pagamenti, e arrivare a gennaio con altri 15 punti in meno sul fronte del gradimento personale.