EXPO DEI RITARDI – SOLTANTO IL 25% DEGLI ALLESTIMENTI È PRONTO, NONOSTANTE SI LAVORI GIORNO E NOTTE – TRAVAGLIO: “L’AREA SOMIGLIA ANCORA A DRESDA DOPO IL PASSAGGIO DELL’AVIAZIONE BRITANNICA”
Marco Travaglio per il “Fatto Quotidiano”
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Malgrado abbia già dato da mangiare a un sacco di gente, attualmente in galera, non è stata una buona idea dedicare l’Expo Milano 2015 al cibo. Era molto meglio dedicarlo al riso. Non nel senso del prodotto nazionale cinese, ma di quello italiano: le pazze risate. Il grande baraccone che si inaugura, pare, il 1° maggio alla presenza del presidente del Consiglio Renzi (quello della Repubblica adesso si chiama Mattarella, e mica è fesso: si tiene a debita distanza), si annuncia come l’evento comico dell’anno, forse del decennio, se tutto va bene del secolo.
Le cronache dal fronte dei lavori, peraltro proibito ai giornalisti, ai fotografi e ai cameramen per evitare l’effetto-gufi, sono strepitosamente esilaranti. Si parla di lavori completati soltanto per il 25 per cento: tre su quattro sono ancora in pieno cantiere e non saranno pronti che fra qualche settimana, o mese, o anno. E il calcolo comprende soltanto le opere di responsabilità Expo, esclusi dunque i padiglioni stranieri, anch’essi in altissimo mare (quello del Nepal, per dire, un edificio tutto in teak intagliato a mano, sarà pronto non prima del 2025).
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Ma il commissario Giuseppe Sala si è detto sereno: “L’Expo parigina del 1890 fu molto peggio” (in realtà la data esatta è il 1889, e in effetti quegli incapaci dei parigini costruirono soltanto la Torre Eiffel: straccioni). Anche il governatore Bobo Maroni, che è riuscito a infilare nella struttura due sue amiche e, last minute, pure il suo avvocato, ha gettato acqua sul fuoco col suo sottile umorismo: “Tanto l’evento dura sei mesi”. C’è tempo.
Infatti si era pensato di spostare la cerimonia di inaugurazione all’ultimo giorno anziché al primo. Ma l’idea, come tutte quelle buone, è stata inspiegabilmente scartata. Comunque, assicurano le expompe, cioè le cronache dei giornali finanziati da Expo a botte di paginoni pubblicitari e altri lubrificanti all’ottimismo obbligatorio, “si lavora giorno e notte: solo per il Padiglione Italia ci sono 500 addetti 24 ore su 24”. Non dormono mai e sperano che non piova per non dover rallentare vieppiù: approfittando del bel tempo, hanno già posato la bellezza di “750 pannelli di cemento biodinamico del peso di 2 mila tonnellate”.
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Una cosetta leggera che, se ha richiesto cinque anni per fare metà dei lavori, ne richiederà una ventina per smontarli. Eppure i ritardi più clamorosi vengono segnalati proprio nel Palazzo Italia e negli edifici del Cardo, sedi delle cosiddette “eccellenze made in Italy”, orgoglio e vanto del Belpaese. Fra sette giorni saranno aperti, ma solo un po’, diciamo per finta: “gli uffici – informa La Stampa – saranno lasciati per ultimi”, anche per ostacolare gli accertamenti della Guardia di Finanza su appalti e libri contabili.
Ma niente paura: “Ai piani alti si fanno professioni di fede: ‘Tutto quello che non sarà visibile non darà fastidio’”. I visitatori, muniti di apposite aste da equilibrista, potranno passeggiare basculando su comode assi di legno a strapiombo sui cantieri, che però saranno invisibili grazie all’ultimo appalto andato a segno: quello da oltre 2 milioni di euro per coprire i ritardi, i camion, le betoniere, le gru, le impalcature e le altre vergogne con paratie, camouflage, trompe l’oeil, prefabbricati e teli.
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Per esempio: un pannello dipinto a olio e raffigurante il santo patrono Francesco d’Assisi che si spoglia dei suoi averi nasconderà un gruppo di faccendieri intenti a scambiarsi le ultime mazzette. Un finto pavimento in cartongesso ricoperto di fresche frasche celerà poi una botola per inghiottire i carabinieri e i poliziotti inviati dalla Procura ad arrestare gli appaltatori, farli precipitare in una vasca di cemento a pronta presa e trasformarli in piloni portanti dell’Albero della Vita (l’agile simbolo dell’intera kermesse, 35 metri di legno e acciaio, per il modico costo di appena 7 milioni di euro).
Purtroppo non ci sarà neppure il tempo per le bonifiche dall’amianto di cui i terreni sono riccamente impregnati, e nemmeno per i collaudi delle opere che verranno così testati direttamente dai visitatori, anche con opportuni incentivi: il primo che si azzarda a entrare in un padiglione incompleto vincerà il Premio Expo Cavia e, se sopravvive, avrà un biglietto omaggio per tornare con qualche amico.
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La vigilanza agli ingressi, com’è noto, è affidata alla stessa ditta di security che ha così ben vigilato gli accessi al Palazzo di Giustizia. Poi c’è il famoso drone che sorvola tutta l’area, o meglio la sorvolava fino a qualche settimana fa, prima che i vertici di Expo decidessero di tenere lontana la stampa e di pilotare essi stessi le informazioni sullo stato di avanzamento (anzi di arretramento) lavori.
Pare che ora, opportunamente riconvertito dagli scopi ricognitivi a quelli militari, il drone verrà paracadutato sul Mediterraneo, per colpire e affondare i barconi degli scafisti in base al lodo Santanchè- Salvini-Alfano-Renzi. E si spera che gli abbiano disattivato la memoria: non sia mai che si ricordi da dove viene e vada a bombardare Expo. Della qual cosa, peraltro, nessuno si accorgerebbe, visto che l’area somiglia ancora a Dresda dopo il passaggio dell’aviazione britannica.
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Nel caso in cui l’operazione Tempesta sul Mediterraneo dovesse fallire, si potrebbero caricare i migranti appena sbarcati su treni per Milano Centrale e su voli charter per Linate e convogliarli su Expo per incrementare i visitatori, a giudicare dalle prenotazioni ancora pericolosamente lontani dalla prevista quota di 29 milioni. Farinetti li attende con l’acquolina in bocca nei 20 ristoranti regionali sui suoi 8 mila metri quadri senza gara. L’amico Renzi aveva pensato di ribattezzare il Padiglione Italia “Padiglione Eataly”. Poi però ha optato per “Padiglione Italicum”. Così la colpa dei ritardi è di Bersani.