LA FARSA DEL MOSE INCOMPIUTO AFFOGA VENEZIA - A 15 ANNI DALL'AVVIO DEL CANTIERE, E 6 MILIARDI SPESI, LA DIGA MOBILE NON È ANCORA ATTIVA, E LA BASILICA DI SAN MARCO FINISCE SOMMERSA - L'INCHIESTA CON 35 ARRESTI E 100 INDAGATI NON HA PORTATO GRANDI RISULTATI SE NON RALLENTARE ANCORA IL CANTIERE. UN PROGETTO CHE PIÙ VA AVANTI E PIÙ AUMENTANO I COSTI DI GESTIONE ANNUA…
Maurizio Tortorella per la Verità
Che non avrebbe salvato nulla e nessuno, di fronte all'«acqua alta» più alta di sempre, è stato chiaro fin da subito. E infatti i 156 centimetri di marea toccati a Venezia alle 15 di lunedì 29 ottobre hanno provocato danni immensi: a partire dai pavimenti della basilica di San Marco, sommersi da 70 centimetri di laguna, che i tecnici del restauro hanno dichiarato essere «invecchiati in poche ore di vent' anni». Per non parlare di case e negozi.
Sì, si sapeva fin dall' inizio che il Mose, il Modulo sperimentale elettromeccanico, anche stavolta non avrebbe funzionato. Ma certo continua a stupire (e fa sempre più rabbia) che il sistema delle grandi paratoie mobili alle tre bocche di porto della laguna non sia ancora attivo, a 15 anni abbondanti dall' avvio del cantiere.
È uno scandalo vergognoso, forse il peggiore dell' Italia repubblicana. Perché del sistema anti marea a Venezia si parla dalla terribile alluvione del 1966. Eppure, quando trent' anni fa uscirono i primi progetti, a vederla sulla carta l' opera pareva la classica genialata: 78 giganteschi cassoni di metallo vuoti, incernierati sul fondo marino e pronti per essere riempiti d' aria quando le alte maree avessero minacciato Venezia.
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Dopo decenni di chiacchiere, la diga mobile era stata avviata solo nel 2003, da uno dei governi guidati da Silvio Berlusconi. Costata almeno 5,5 miliardi nei 13 anni successivi, frenata da intoppi tecnici, finanziari e giudiziari, nell' estate 2016 pareva che l' operazione Mose fosse vicina alla conclusione. Poi, nell' ottobre di due anni fa, la Procura di Venezia aveva iscritto nel registro degli indagati cinque tra imprenditori e funzionari, accusati di avere gonfiato le fatture. Era solo l' ultima appendice della clamorosa inchiesta sul Mose, che nel giugno 2014 aveva prodotto 35 arresti e coinvolto oltre 100 indagati, costringendo alle dimissioni il sindaco del Partito democratico Giorgio Orsoni.
Ma già allora quel ritorno d' indagine aveva reso chiaro che se l' opera era naufragata era anche colpa dell' oscena mangiatoia allestita proprio sui suoi lavori senza fine.
Forse è anche per questa storia assurda che, lunedì sera, Carlo Alberto Tesserin, primo procuratore di San Marco, era fuori dalla grazia di Dio: «'Sto Mose doveva essere pronto da anni», sbuffava. «Che lo mettano in funzione, una buona volta; che ci dicano se funziona o no. La città non può più attendere».
Così inveiva l' ingegnere, che a capo di un ente che risale ai Dogi dirige la complessa conservazione della basilica. Ma come lui la pensano dieci veneziani su dieci, i superstiti che non ne possono davvero più dell' acqua e da oltre mezzo secolo si domandano che cosa sia accaduto alla solenne promessa: «Vi terremo all' asciutto».
Sempre nel 2016, in realtà, era emerso che anche la funzionalità dell' opera era in bilico. Nel maggio di quell' anno era andato male il primo, grande collaudo delle prime 21 paratoie messe in opera, quelle piazzate alla bocca di porto di Lido Nord Treporti.
Perché, una volta riempite d' aria, le strutture di metallo si erano regolarmente sollevate. Ma poi, in poche ore, le correnti sul fondale avevano riempito di detriti i cassoni e bloccato due delle paratoie. Che non erano scese.
Era quasi ovvio che un sistema sommerso potesse porre problemi di quel tipo, e difatti due anni fa si indicava nella sua costosa manutenzione un nuovo punto critico. La soluzione che si era prospettata allora per svuotare dalla sabbia gli alloggiamenti in calcestruzzo, posti alla base dei cassoni semoventi, era un' idrovora che aspirasse i detriti per poi risputarli in mare. Si stimava allora un costo di 80 milioni l' anno.
Oggi la cifra pare sia già lievitata a 100. Anni prima, le imprese del Consorzio Mose avevano progettato una «nave aspirante», con un costo sui 35 milioni. Ma quel progetto era stato poi scartato dopo lo scandalo giudiziario del 2014. Perché è fatta così, la storia del Mose: è una strana marea di paradossi, che sale e scende. Le cifre no: quelle salgono, e basta.
La cosa tutta da ridere (meglio, da piangere) era che nell' ottobre 2016 c' era anche chi metteva fretta: il problema dei detriti andava «risolto al più presto», dicevano i tecnici, «perché nel giugno 2018 è prevista l' entrata in funzione di tutte le paratoie».
Che fosse l' ennesima bufala, oggi è più che evidente. Al Gazzettino di Venezia, sconsolato, il provveditore alle opere pubbliche del Triveneto, Roberto Linetti, ha detto che «se il Mose fosse stato in funzione, dell' acqua alta non si sarebbe accorto nessuno».
Alla domanda su quando entrerà davvero in funzione, l' uomo che rappresenta il ministero dei Lavori pubblici ha risposto: «Spero dalla primavera, ma i cantieri vanno piano», e ha aggiunto che «lo stato d' avanzamento ormai è al 94%». Sarà.
Il suo ministro, il grillino Danilo Toninelli, rispondendo in luglio a un' interrogazione parlamentare, ha detto che da fine 2017 i cantieri sono «quasi fermi», che nel primo trimestre 2018 sono stati fatti lavori per appena 12 milioni e che molte delle criticità sulle opere già realizzate sono dovute «alla totale mancanza di cura, manutenzione e attenzione».
Mercoledì, mentre si svolgeva un vertice d' urgenza al ministero, è emerso che molte delle paratoie sarebbero state posate sul fondo senza prima completare gli impianti che servono a farle alzare e abbassare. Così le strutture sono costrette a restare per troppo tempo sul fondo, e finiscono per coprirsi di sabbia e di ruggine.
Ecco, sul Mose che doveva salvare Venezia dalle acque ci mancava soltanto la ruggine provocata dall' acqua. Che disastro.