E ALLA FINE RIMASERO IN DUE - ERIC HOLDER, PALADINO DEI DIRITTI LIBERAL, ERA L’ULTIMO FEDELISSIMO SEGRETARIO “PESANTE” SOPRAVVISSUTO AI RIMPASTI DI OBAMA. MA CI VORRANNO MESI PER NOMINARE IL SOSTITUTO

Mattia Ferraresi per "il Foglio"

 

eric holdereric holder

Alcuni alla Casa Bianca lo chiamavano “the survivor”, il sopravvissuto, e il soprannome non veniva necessariamente pronunciato con un’accezione positiva. Le poltrone giravano, il vento cambiava, i pezzi dell’Amministrazione, anche quelli grossi e difficili da sostituire, venivano rottamati secondo il ciclo naturale del governare oppure lasciati andare per le classiche ragioni personali, i carichi di lavoro alla lunga insostenibili, divergenze troppo accentuate con il capo, scandali di qualche natura. Eric Holder è sopravvissuto a tutto questo. Mentre tutto intorno a lui crollava e veniva riedificato, lui rimaneva fermo, un pilastro di cemento armato all’interno dell’Amministrazione.

 

Barack Obama nel tempo ha rivoluzionato a più ondate tutti i settori del suo gabinetto, anche quello economico, forse il più bisognoso di continuità e ricette stabili per tornare a crescere. E’ cambiata la leadership del Pentagono, quella della Cia, è cambiata la squadra diplomatica, capi di gabinetto e addetti stampa si sono avvicendati, i segretari sono stati sostituiti (a eccezione di quello dell’Educazione e dell’Agricoltura, dicasteri comunque minori, con livelli di pressione politica e psicologica imparagonabili) ma il procuratore generale è rimasto incollato alla sedia.

OBAMA  HOLDER  OBAMA HOLDER

 

Continuerà a essere “the survivor” anche dopo la sua dipartita – annunciata ieri dal presidente dopo che i due hanno discusso i dettagli tre settimane fa – perché nessun altro ha rappresentato come Holder la coscienza ideologica di un governo spesso costretto a ripiegare sui calcoli e sul pragmatismo.

 

Holder è stato il custode della visione del mondo obamiana, fatta a brandelli dalle circostanze e logorata dal day by day, e l’holderismo è diventata la versione pubblicamente spendibile dell’idea liberal di Obama. Il presidente è chiamato a tenere una postura bipartisan e a rispettare l’intricato sistema di protocolli che pertiene all’inquilino della Casa Bianca, e per questo lascia che altri dicano e facciano quello che lui può esprimere soltanto in modo edulcorato.

 

OBAMA  HOLDER   OBAMA HOLDER

Questo è stato Holder per Obama. E il suo addio lascia l’anatra anche più zoppa di quanto non sia naturalmente negli ultimi anni di governo. I funzionari più invidiosi dicono che Holder è riuscito a tenere la poltrona per sei anni soltanto perché è l’unico membro del governo che ha accesso all’inner circle del presidente, il club esclusivo dei consiglieri più intimi capitanato idealmente da Valerie Jarrett.

 

Holder con la famiglia del presidente ci è andato in vacanza a Martha’s Vineyard, ha festeggiato i compleanni al Café Milano, è un amico e un confidente del presidente prima che un semplice uomo di governo. La moglie, Sharon Malone, e Michelle Obama sono forse anche più amiche di quanto non lo siano i mariti, elemento femminino da non sottovalutare quando si parla della gestione del potere in casa Obama.

 

Questo scudo protettivo spiega la longevità politica di Holder soltanto parzialmente; la custodia della purezza ideologica è dominante nel romanzo a quattro mani di Obama e Holder. L’analisi del mandato mostra che il procuratore ha esteso il raggio d’azione del dipartimento di Giustizia, sempre al centro di qualunque dossier politico: la lotta al terrorismo, le indagini sulle banche, il razzismo, il controllo delle armi da fuoco, i diritti civili – da Guantanamo a Ferguson – il commercio, il matrimonio gay, la pena di morte, la sorveglianza. Holder si è espresso su tutto con la rumorosa foga dell’attivista che non è concessa al presidente.

RIVOLTA A FERGUSONRIVOLTA A FERGUSON

 

In un mondo dove ogni aspetto dell’esistente precipita in una delibera di tipo legale, il procuratore generale si trasforma da esecutore fedele della legge in una specie di arbitro universale delle grandi questioni sociali. La questione razziale è sempre stata la parte infiammata della coscienza di Holder, che iniziò il mandato dicendo: “Nonostante la nazione si creda orgogliosamente un melting pot, siamo sempre stati e saremo sempre essenzialmente una nazione di codardi”.

 

RIVOLTA A FERGUSON  RIVOLTA A FERGUSON

Ha criticato la Corte suprema per la legge sull’identificazione al seggio elettorale negli stati del sud, “un pretesto per togliere ai cittadini americani il loro diritto più prezioso”, ha ordinato che nei tribunali non venisse invocata la legge sul matrimonio approvata dal Congresso sotto Clinton e in seguito revocata dalla Corte, ha usato una retorica fiammeggiante per descrivere le azioni dei banchieri di Wall Street a cui ha dato la caccia con zelo, raggranellando decine di miliardi di dollari in multe sbandierate con fare populista.

 

Dentro Guantanamo Dentro Guantanamo

Certe dichiarazioni sono indistinguibili, per tono e contenuto, da quelle di associazioni per i diritti civili e gruppi di advocacy. A Ferguson, nel Missouri, si è presentato alla folla inferocita per l’omicidio di un diciottene afroamericano innanzitutto come “uomo nero, non come procuratore generale”. Diventare l’ambasciatore de facto dell’idea liberal di Obama ha stuzzicato il senso ideale del primo procuratore generale nero, cresciuto con il perfetto curriculum liberal da brillante studente della Columbia e poi passato alla guerra ai colletti bianchi.

 

matrimonio gay matrimonio gay

Quando le parcelle sono aumentate si è trovato anche a difendere i banchieri, realpolitik necessaria per poter essere contemporaneamente ariete e retroguardia di un’idea politica. Compromessi e insabbiamenti in questi sei anni di governo non sono mancati. L’agognata chiusura del carcere di Guantanamo è uscita dal reame delle possibilità e i terroristi detenuti nella base militare non verranno processati a Manhattan.

LA VILLA AFFITTATA DAGLI OBAMA A MARTHA S VINEYARD LA VILLA AFFITTATA DAGLI OBAMA A MARTHA S VINEYARD

 

Il procuratore si è trovato al centro degli scandali delle intercettazioni telefoniche ai giornalisti e quando si è trattato di spiegare al paese perché i banchieri responsabili del disastro non finissero in carcere ha detto: “Queste istituzioni sono così grandi che è difficile per noi indagarle senza creare un impatto negativo sull’economia mondiale”. Così la coscienza politica di Obama, il sopravvissuto della sua Amministrazione in disarmo, ha involontariamente creato l’espressione “too big to jail”.

 

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE ARRIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....

volodymyr zelensky donald trump vladimir putin moskva mar nero

DAGOREPORT - UCRAINA, CHE FARE? LA VIA PER ARRIVARE A UNA TREGUA È STRETTISSIMA: TRUMP DEVE TROVARE UN ACCORDO CHE PERMETTA SIA A PUTIN CHE A ZELENSKY DI NON PERDERE LA FACCIA – SI PARTE DALLA CESSIONE DELLA CRIMEA ALLA RUSSIA: SAREBBE UNO SMACCO TROPPO GRANDE PER ZELENSKY, CHE HA SEMPRE DIFESO L’INTEGRITÀ TERRITORIALE UCRAINA. TRA LE IPOTESI IN CAMPO C'E' QUELLA DI ORGANIZZARE UN NUOVO REFERENDUM POPOLARE NELLE ZONE OCCUPATE PER "LEGITTIMARE" LO SCIPPO DI SOVRANITA' - MA SAREBBE UNA VITTORIA TOTALE DI PUTIN, CHE OTTERREBBE TUTTO QUEL CHE CHIEDE SENZA CONCEDERE NIENTE…