FUOCO SU BUTTAFUOCO CHE HA OSATO SUL “FOGLIO” RIOTTAMARE L’AUTOBIOGRAFIA DI GIANNI RIOTTA: “COSA DEVE ESSERE DIVENTATA L’EDITORIA ITALIANA SE NELLA BANDELLA DI QUESTO LIBRO MONDADORI, TROVIAMO STAMPATA UNA FRASE COSÌ: ‘COME PIRANDELLO E VITTORINI, RIOTTA PARTE UN GIORNO DALLA NATIA SICILIA’” - E DUE EX ‘’FOGLIO’’ CHIAMATI AL “SOLE 24 ORE” DA RIOTTA, CHRISTIAN ROCCA E DANIELE BELLASIO SCHIENANO BUTTAFUOCO: “È UN CARO RAGAZZO, PER QUANTO ORGOGLIOSAMENTE NAZISTA, SCIITA ED EX COINQUILINO DI BOCCHINO”…

1- JOHNNY IL SICULO AMERICANO
Pietrangelo Buttafuoco per "il Foglio"

Ascoltate questa bella panzana. Un giorno Indro Montanelli chiama Gianni Riotta e gli dice: "Spiegami questa diavoleria di Internet". Ecco, è solo una patacca bru bru. E' pari all'unghia lunga del dito mignolo. Riotta - l'uomo di successo, l'amico di tutti quelli che sono importanti - è come quelli che si vestono di coccodrillo. Abusa di Montanelli, infatti, come a farsene un trofeo. E' come gli arabi che camminano per Parigi con le scarpe in pelle di alligatore. E si fregia di Montanelli, appunto, come il barbiere di paese che s'inonda d'acqua di colonia. Proprio un bru bru.

Ascoltatene un'altra. Da bambino Riotta aiutava in casa a preparare la cuccía, cioè il dolce di Santa Lucia preparato con zucchero e grano duro. Lui aveva il compito di appallottolare la carta di giornale per coibentare la cassetta di cottura per la preparazione del grano. Una scena di grande tenerezza questa, ci mancherebbe, solo che ogni volta finiva che lo rimproveravano. Invece di arrotondare le palle, il birbantello, si distraeva dal suo compito per leggere le cronache. Ecco, è così un parvenu della letteratura, Riotta, e così ubriaco di se stesso, da sfasciarsi l'infanzia pur di farsi prodigio: già da picciotteddo, per dire, se solo trovava una parola scritta non poteva non leggerla.

Non ridete, ché stiamo attraversando le pagine dell'autobiografia del secolo, "Le cose che ho imparato", quella di Gianni Riotta. Non ridete. Quando racconta se stesso sta raccontando il mondo. Ed è una vita la sua dove ogni cosa - a partire dai finti Ray-Ban - è presagio. Se va al caffè, infatti, Riotta va in un bar di Palermo che si chiama Manhattan e lì, sognante, fissa il grande poster con lo skyline di Nuova York. Ecco, se promettete di non ridere, dovete anche evitare di pensare alla parodia di Renato Carosone.

Riotta che non vuo' fa' l'americano, ma lo è, è quello che si stampa in fronte il motto dei motti. E dice: "Always edit yourself". Lui, caporedattore di se stesso, s'è guadagnato la coolness e in questa sua meravigliosa vita dove tutto è palese come in un'architettura di Renzo Piano dove l'orologio Ikea segna l'una e mezzo del pomeriggio, non certo il mezzogiorno per appanzarsi di anellini al forno, e se pure aleggia il profumo di zagara, a voler ricordare bene c'era "il telefono che ronzava quieto, sms e mail annunciavano riunioni, interviste". Insomma, era "la solita vita".

E' un'enciclopedia su due gambe e una camicia, Riotta, è il parvenu della letteratura, e siccome c'è un po' di lui in tutti noi, io più di tutti mi sento attratto perché, insomma, si finisce come lui. E il mestiere è questo: essere a New York e chiamare per nome tutti quelli importanti da incontrare per lavoro è rivelatore di una frustrazione, essere in America e imparare quella professione fatta di durezze, di distacco e di libertà per poi tornare in Italia - pur scintillante e brillante, ci mancherebbe - e beneficiare dell'elemosina della politica significa solo una cosa, dimenticare in fretta tutto.

Ottenere una direzione è solo un dettaglio in questo suo "confesso che ho vissuto". E se il mettere tra parentesi tutta la scienza imparata è servito a preparare la strada ad Augusto Minzolini - Riotta, appunto, da direttore del Tg1 faceva le inquadrature storte a Romano Prodi per non far vedere quanto fossero vuote le sale dell'allora premier, suo editore di riferimento - a Minzolini va comunque riconosciuto un bonus di simpatia perché ci mette la sincerità, senza farla lunga con il principe Andrej, ferito a morte, quando incontra Natascia (stiamo parlando di "Guerra e pace" riscritta da Riotta, c'è anche questo in lui).

Minzolini libri non ne ha letti, lui lo sa e se li mette tutti dietro, non ne fa un vanto e non s'inoltra tra le citazioni. Riotta, invece, ha letto qualcosa, solo che tutto questo leggere gli risulta come aggravante. Inquina il suo servizio ancillare, lo spruzza di fosforescenza.

E quando incontra Dmitri Medvedev e siccome quello lo guarda fisso negli occhi, quasi a sfidarlo per fargli abbassare lo sguardo, Riotta, uomo del West, si ricorda l'insegnamento di Sergio Leone. Porca miseria non si sente il refrain "scion-scion" leggendo la pagina ma sarebbe stato perfetto, con un intervento di editing, far dire a Medvedev, la battuta giusta: "Ti spiezzo in due!", sarebbe stato perfetto.

Non ridete, pensate piuttosto. E domandatevi: cosa deve essere diventata l'editoria italiana se nella bandella di questo libro Mondadori, dunque la prima casa editrice d'Italia, troviamo stampata una frase così: "Come Pirandello e Vittorini, Gianni Riotta parte un giorno dalla natia Sicilia". Magari lo si fa per incoraggiare chiunque - come lo stesso Riotta ne fa cenno - pratichi "la scrittura per vanagloria" e a parte il fatto che c'è da chiedersi anche il chissà cosa pensa di sé una persona che scrive questa frase (perché, è certo, se l'è scritta da solo), a meno che non siano diventati tutti scemi a Segrate, qualcuno glielo avrebbe dovuto dire a Riotta di calare questi prezzi alla propria vanità.

E siccome alla Mondadori sono stati zitti, e complici, la domanda si ripete: dove sta andando a finire il lavoro editoriale, quella fatica di mantenere alta la qualità della letteratura se poi nel dover sfornare un catalogo si sa solo sfruttare l'inutilità di colleghi presuntuosi e lasciare galleggiare lapsus che rivelano quanto sia sciancata l'editoria, incapace ormai di cercare talenti e capace di fare solo operazioni ruffiane.

Pirandello e Vittorini, allora. Fosse pure "con un fuoco da tregenda" per preparare, come scrive Riotta, "un soffritto da pucciare già da solo con pane croccante". Ecco, aggiunge lui stesso: "Un libro così mi piacerebbe", uno dei tanti grandi libri che gli sono rimasti dentro l'inchiostro, s'immagina, visto che in questo - "Le cose che ho imparato", edito nella collana Strade blu - si fa auto-agiografia, il ritratto di un very S. O. A., ovvero, un perfetto Sicilian of America.

Un libro "tecnico" per dirla coi tempi nuovi, parola di gran moda. S'impara la solita America dalle cose imparate da Riotta. E la solita Palermo. E non c'è da pucciare, dunque. Dalla Sicilia, un giorno, sono partiti anche Turi Càchiti e Gino Ettapìriti (tecnici anche loro?). Pure io sono partito col "ferribotte" e se mi sento chiamato in causa per via di un comandamento - "chi esce, riesce" - con tutto il rispetto per Pirandello e per Vittorini, e per Riotta, naturalmente, qui c'è da mettere da parte l'ironia e - attraverso il libro che ho letto dalla prima all'ultima pagina, ahimè - prendere sul serio la deriva dell'editoria.

E' una cosa, tipo: quello volere continuare carriera, Mondadori volere guadagnare verginità. Dopo tutta quella fuga di autori si lancia un sincero democratico. E' pur sempre, quella di Strade Blu, la collana dov'è uscito "Gomorra"...E' una recensione che non avrei fatto, questa. Non me ne sarei occupato e mi sto prendendo tutta una pagina perché Riotta, ormai, è proprio una categoria dello spirito. C'è in ognuno di noi - ripeto - un Riotta in agguato e quando lui non titola il suo libro al contrario, tipo: gli errori da cui ho preso insegnamento o, faccio per dire, confesso che ho sbagliato, si capisce che occhieggia qualcosa di grandioso che lo rende irresistibile.

Come Giuseppe Prezzolini lui se n'è andato a fare le didascalie del proprio tempo in America. A differenza di Prezzolini che in Italia lo prendevano a calci, ma per restare nella storia della letteratura e nelle antologie, Riotta è lo Spirito del Tempo, ci fosse Hegel si toglierebbe il cappello davanti a cotanta arte perché, insomma, questo è un libro da leggere in controluce perché vi si intravede il suo rientro in grande stile. Le cose che s'imparano da ciò che ha imparato Riotta non sono solo i modelli del parvenu ma quel mondo, quell'epoca e quella stagione di Bob Kennedy e don Gaetanino Afeltra che se pure finiscono in vacca, fanno comunque sostanza.

Si sente, dalle pagine, amorevolmente confezionate secondo l'estetica furba dell'entrismo acculturato, l'olezzo di un risentimento verso il destino cinico e baro. Quello che ha momentaneamente sottratto Riotta ai riflettori della scena. Presuntuoso, lui, lo è sempre stato, prima firma alla Stampa, direttore del Tg1, probabilmente tornerà al Corriere della Sera e nessuno gli imputerà di aver lasciato il Sole 24 Ore in condizioni così spaventose. Lo ha così marchiato che quelli, ancora qualche giorno fa, hanno fatto un titolo di prima pagina, quel "Fate Presto" messo a nove colonne da non sembrare certo il quotidiano della finanza e dell'economia, ma il Vernacoliere dopo il restyling di Riotta.

La ragione sociale di un affollarsi di storie, incontri ed esperienze gli hanno certo dato un uso di mondo, ci mancherebbe, ma in un vanto di vanità tutta sciocchina che non è fuoco da tregenda, come fa il suo amico quando impugna la padella come se fosse Excalibur, piuttosto deadline. Bella assai è la scena in cui un grande americano gli indica un personal computer con cui lavorare, quella è ancora la stagione dei primordi, Riotta s'è staccato dalla madre-patria con la nave, sente correre dentro l'imbarazzo ma alla fine si prepara alla serata più cool cui è invitato.

Tra un colpo di deadline e un cool, con tutto questo profondere di parole inglesi, mi rendo conto di diventare un cretino cognitivo ma gli è che la testa mi macina ormai dopo cotanta lettura con quell'uso dell'inglese per tramite di citazioni. Non manca Cronkite, ovviamente fatto compare da Riotta che gli dà del "vecchio". Vecchi, strafichi e importanti. Non c'è traccia di Turi Càchiti nel libro di Riotta. Tra tutte le cose che ha imparato s'è perso giusto la modestia, come il bru bru che si affaccia nel banchetto della letteratura comincia sbagliando posata.

Accende la macchina della seduta spiritica e convoca tutti i potenti morti che finalmente parlano con lui e solo di lui. E' il metodo della luce riflessa, incontra per le stanze di via Solferino Indro Montanelli e, d'improvviso, Montanelli diventa lui e solo lui, il Riotta, quel Riotta che è dentro di noi e che però, furbo, è attento a disseminare lungo il libro le opportune cautele di sinecura in forma di citazioni. Ce n'è perfino per Raffaele Fiengo che sapeva scrivere di spiagge, altro che brutali trattative sindacali. Insomma, ha la hubris di tutti i "Sette contro Tebe" moltiplicati per nove.

Come Pirandello. Come Vittorini. Così Riotta. Tutti quelli che si portano dietro la Sicilia conoscono bene l'ansia di doversi scrollare il marchio, fosse pure la pasta con le sarde, della marginalizzazione. Forse sono vere soltanto le pagine del racconto veramente privato, quelle della famiglia, quelle degli amici, quelle col padre Totò, una figura straordinaria. Forte, poi, quando il padre, ormai anziano, viene protetto da un macellaio affacciato dalla vetrina della carnezzeria dall'arroganza di uno sbruffone su rombante automobile (forse una Maserati, una Ferrari?): "Dottore Riotta, ci sono problemi?".

E' una scena che spiega meglio di ogni sociologia. Già immaginiamo il maleducato smettere di insolentire il dottor Riotta e indietreggiare rispetto alla panza del macellaio sussurrando: "Come non ni capemmu, come non ni capemmu...". Riotta è come Pirandello, come Vittorini, non è come un Marcello Sorgi che, faccio per dire, ha fatto dei libri, ma col respiro tipico dei siciliani d'alto mare. Anche quando volle confrontarsi con Andrea Camilleri, che è un siciliano di scoglio, Sorgi riuscì a far dire alla testa tutto quello che le cosuzze di paese spiegavano dello sfolgorante successo del vecchio di Porto Empedocle. Riotta che è come Pirandello, come Vittorini, non è come Giampiero Mughini, siciliano di mare aperto, che le sue autobiografie riesce a farle senza mettersi in mezzo, anzi, circospetto come un perfetto ospite accoglie i suoi invitati.

E li racconta. Con garbo. Riotta che è come Pirandello, come Vittorini, se ne parte dalla Sicilia perché, infine, non vuole fare come quel segretario della sezione del Psi di Cefala Diana quando, con un diavolo per capello, urla contro il segretario provinciale (abbiate cura di immaginare il tono incarcato del dialetto di paese): "Qua, per fare i comizi, non arriva nuddu Nenni, nuddu De Martino, nuddu Craxi. U primu coglione che arriva me lo mandano qua!".

Sempre quel discorso di nuddu, nenti e il nuddu mischiato al nenti. E' l'abisso del nichilismo siciliano e l'ansia del tutto, di tutti e il tutto circonfuso in tutti perché, appunto, ci sono i siciliani di mare aperto e i siciliani di scoglio. E poi ci sono i siciliani d'America. Come Gianni Riotta. Autore del libro che adesso, a fine lettura, per dirla con Luca Brasi, possiamo lasciare a dormire con i pesci. Quelli dell'Atlantico, manco a dirlo.


2- MA BUTTAFUOCO I SUOI LIBRI LI HA MAI LETTI?
Christian Rocca per il suo blog, ospitato anche dal sito del "Sole": "Camilloblog.it"

Pietrangelo Buttafuoco è un caro ragazzo, per quanto orgogliosamente (ma io ho sempre sperato "artificialmente") nazista, sciita ed ex coinquilino di Italo Bocchino. Questa mattina ho lasciato a metà il suo maleodorante articolo, e con l'articolo anche il Foglio che lo ospitava, a proposito del libro di Gianni Riotta che non ho ancora letto. Il libro di Riotta e Riotta medesimo potranno non piacere. Figuriamoci, non siamo in una teocrazia islamista né nel Reich delle Due Sicilie.

Ma chiunque avesse superato la quinta elementare, forse anche a Brema nel 1938 o a Karachi adesso, sarebbe stato capace di argomentare meglio le proprie critiche, anche avvalendosi di disegnini. Non è il caso di Pietrangiluzzu, persona svelta che conosco da molto più tempo di quanto conosca Riotta. La cosa più imbarazzante del suo articolo, perché alla fine l'effetto è soltanto comico, è quando per due colonne chiede ossessivamente in che mani sia finita l'editoria italiana, e in particolare la Mondadori, per aver pubblicato il libro di Riotta.

Ora, va bene tutto, ma mi chiedo sinceramente se Pietrangelo abbia mai letto i suoi stessi libri scritti in dolce stil nazi, peraltro editi dalla medesima Mondadori (uno, invece, è edito da Franco Freda). Evidentemente no. E forse non li leggono nemmeno i suoi editori, altrimenti in natura resta inspiegabile la pubblicazione del grottesco, ma in realtà stomachevole, saggio sull'Occidente di due anni fa. Pietrangelo probabilmente non sa che i suoi stessi amici, tra cui io, non sono riusciti nemmeno ad aprirli quei libri. Non sa che i suoi amici si vergognano anche solo di averli in casa quei libri. Si «ver-go-gna-no». Si vergognano per lui, naturalmente.


3- A PROPOSITO DI BUTTAFUOCO, MODESTA PROPOSTA AI RECENSORI SCRITTORI CHE UTILIZZANO LA PAROLA "OLEZZO"
Daniele Bellasio per il suo blog sul sito del "Sole": http://danielebellasio.blog.ilsole24ore.com/

Ho l'onore di non essere amico di Pietrangelo Buttafuoco e anche quello di non aver mai pubblicato un libro. Ho letto, invece, il nuovo libro di Gianni Riotta, recensito dallo stesso Buttafuoco sul Foglio di oggi, e ho lasciato a pagina 60 un recente romanzo dello stesso Buttafuoco. I libri, tutti, possono piacere come non piacere. Del libro di Riotta, "Le cose che ho imparato", Mondadori, mi piacerebbe parlarne in un'occasione non collegata al nome e al cognome di Pietrangelo Buttafuoco.

Mi va pero' di fare a tutti i recensori scrittori una proposta: perche' quando vi accingete a scrivere una recensione non scrivete anche un piccolo box con le informazioni dei vostri libri (casa editrice, sopratttutto se e' la stessa del recensito, copie vendute, temi trattati eccetera)?

Cosi', tanto per non dare la sensazione a chi sa le cose che volete nasconderle e a chi non le sa che la vostra sia una purissima e disinteressata critica per il bene dei lettori e della cultura.

Basta dire infine che nella sua, diciamo, recensione Buttafuoco usa la parola "olezzo" per capire che di purissimo, come stile e come atteggiamento, c'e' poco, poco alquanto.

 

 

BUTTAFUOCO PIETRANGELO GIANNI RIOTTA - copyright Pizzifas03 pietrangelo buttafuocoriotta gianniCHRISTIAN ROCCADANIELE BELLASIODE BIASE BELLASIO BONOMO RIOTTAPIETRALGELO BUTTAFUOCO

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