Milena Gabanelli per il “Corriere della Sera”
carlo fuortes e pier carlo padoan
A fine 2011, imperava lo spread: cadeva Berlusconi arrivava Monti a «salvare» il Paese ed Elsa Fornero imponeva con qualche lacrima la nota riforma pensionistica che ha creato gli esodati.
In questo bailamme, è passato quasi inosservato il pagamento pronta cassa di oltre 2 miliardi di euro che lo Stato ha fatto alla banca americana Morgan Stanley. Soldi del contribuente italiano, che sono serviti a chiudere anticipatamente un derivato stipulato anni prima dal ministero del Tesoro nella speranza di risparmiare. Era una scommessa, che purtroppo è andata male.
Ad accorgersene, pare strano, sono stati i giornali stranieri. Passa qualche mese e a marzo 2012 finalmente l’onorevole Idv Antonio Borghesi fa partire un’interrogazione parlamentare. Il Tesoro risponde a mezza bocca, manda avanti il sottosegretario all’Istruzione, ma finalmente — dopo anni di richieste — si viene a sapere quanti derivati lo Stato ha in pancia: 160 miliardi di euro. Cioè un numero pari a circa l’8% di tutto il nostro debito pubblico.
matteo renzi pier carlo padoan
Il Parlamento torna a dormire un altro po’ e siamo al 2013. Un’indagine riservata della Corte dei conti sui derivati finisce nelle mani di qualche giornalista: stavolta viene a galla che su tutta quella montagna di derivati lo Stato ci sta perdendo, e le cifre sono grosse. Il Tesoro tace.
Il ministro Saccomanni minimizza. Anzi, su iniziativa del direttore Maria Cannata, il ministero dell’Economia e delle Finanze rilancia: un progetto da realizzare tramite la legge di Stabilità per l’anno 2014 dice che, oltre ai derivati nuovi, lo Stato potrà fornire garanzie sui derivati già stipulati, «anche» per cassa. Sospettiamo che «anche» per le banche voglia dire:
«Sicuramente». Per semplificare, se la scommessa (il derivato) sta andando male per — diciamo — 1 miliardo di euro, la banca può chiedere allo Stato di congelare su un conto una bella fetta di questa somma a garanzia dei suoi impegni. Prima non succedeva: la parola del governo era sufficiente. Ma ora le banche non si fidano più dello Stato e chiedono contante in garanzia. Guarda caso, altri Paesi ritenuti poco affidabili, come Irlanda e Portogallo, proprio su pressione delle banche, avevano poco prima varato la stessa norma.
Nel complesso, c’è chi dice che lo Stato dovrebbe sborsare fino a 8 miliardi di garanzie e succede un finimondo. La Direzione II del ministero dell’Economia e delle Finanze vuole tirare dritto, ma le critiche sono pesanti e bipartisan e la misura non passa.
MILENA GABANELLI NELLA REDAZIONE DI REPORT FOTO LUCIANO VITI PER SETTE
Tutto tace per un altro po’, ma nella legge di Stabilità 2015 ecco che rifà capolino la norma sulla garanzia pro-banche. Ricomincia il balletto parlamentare: arriva una nuova interpellanza — questa volta di Daniele Pesco, M5S — il Tesoro minimizza ed a parlare lo scorso 5 dicembre arriva Massimo Cassano, sottosegretario di Stato per il Lavoro e le politiche sociali. Insomma, pare che dei derivati ne parlino tutti, tranne quelli del ministero dell’Economia e delle Finanze.
Stavolta, per bocca del sottosegretario Cassano esce qualche numero in più: «Le operazioni in derivati hanno generato un esborso netto nel 2013 di poco superiore ai 3 miliardi (…) il valore di mercato, aggiornato al secondo trimestre 2014, è negativo per 34,428 miliardi di euro». Traduzione: solo nel 2013 abbiamo già pagato 3 miliardi di euro sui derivati e si rischiano 34 miliardi di perdite totali.
Saccomanni disse di stare tranquilli, perché rischiare di perdere, non vuole dire perderli per davvero. Sarà stato anche vero, ma se ora su quelle perdite potenziali bisogna dare liquidità in garanzia, il discorso cambia. I soldi escono per davvero, così la banca può stare tranquilla.
Qualcuno chiede una nuova Commissione d’indagine (la terza in dieci anni?). Forse sarebbe più opportuna una Commissione d’inchiesta bicamerale, dove i componenti hanno gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria bicamerale, magari come quella sui rifiuti tossici. D’altronde, in fatto di tossicità, non siamo lontani.