IL GENOCIDIO PUÒ ATTENDERE – IL GOVERNO ITALIANO SI È TENUTO ALLA LARGA DALLA POLEMICA FRA VATICANO E TURCHIA SUGLI ARMENI – NON A CASO LA GUIDI È IN AZERBAIJAN, ARCINEMICO DELL’ARMENIA, PER MONITORARE I PROGRESSI DEL GASDOTTO – E IL GASDOTTO, PRIMA DI ARRIVARE IN PUGLIA, SI COLLEGHEREBBE ALLA RETE TURCA
Stefano Sansonetti per La Notizia (www.lanotiziagiornale.it)
Un silenzio italiano a dir poco rumoroso, dietro al quale si muovono interessi economici rilevanti. La questione armena, che ha scatenato un incidente diplomatico di non poco conto tra Turchia e Santa Sede, ha messo in “discreto” imbarazzo anche lo Stato italiano. E ha fatto emergere una certa “incomunicabilità” tra Belpaese e Vaticano. Al di là di qualche debole esternazione, il governo non ha preso una posizione sulla questione del genocidio del polo armeno ad opera dei turchi nel 1915, così come sollevata da papa Bergoglio. Questione spinosa di per sé, ma incandescente se toccata dai soliti interessi economici. E qui ce ne sono molti.
IL DETTAGLIO
Nessuno, per esempio, ha notato che in queste ore è in corso una vista in Azerbaijan del ministro per lo sviluppo economico Federica Guidi. Uno degli obiettivi fondamentali della missione è fare il punto della situazione sul Tap (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che dovrebbe far arrivare in Italia il gas estratto proprio dai giacimenti del paese caucasico. E qui arriviamo subito a uno dei punti fondamentali della questione. Si dà infatti il caso che tra Azerbaijan e Armenia non corra buon sangue, anzi.
Da tempo si fronteggiano nella cosiddetta guerra del Nagorno-Karabakh, dal nome di un’area situata proprio al confine tra i due paesi. Gli attriti nel corso dei decenni hanno avuto fasi altalenanti, ma la ferita resta a dir poco aperta. Tra i maggiori azionisti del gasdotto c’è proprio la compagnia energetica di Stato azera, la Socar, con il 20% (gli altri maggiori azionisti sono gli inglesi di Bp e i norvegesi di Statoil, con il 20% ciascuno). Insomma, in questo momento l’Italia ha in piedi un affare non da poco con un paese non certo amico dell’Armenia.
Papa Francesco e il patriarca supremo dei cattolici armeni, Karekin II
Ma non finisce qui. Il gasdotto Tap è un’opera da 45 miliardi di dollari che alla fine dovrebbe snodarsi per 870 chilometri. Secondo il progetto il tracciato partirà dal confine tra Grecia e Turchia per poi attraversare il paese ellenico, un tratto di Mare Adriatico e approdare in Italia sulle coste del Salento, nel comune di Melendugno (località di San Foca). E qui arriviamo al secondo punto decisivo. Per portare in Italia il gas dell’Azerbaijan, il Tap si ricollegherà a un altro gasdotto, il Tanap (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline), il cui tracciato copre quasi interamente il territorio turco. Così possiamo aggiungere un ulteriore tassello al ragionamento. L’Italia è in affari con l’Azerbaijan, paese ostile all’Armenia, in un gasdotto che di fatto si ricollegherà a un’infrastruttura che attraversa la Turchia, altro paese ostile all’Armenia.
GLI SVILUPPI
Alla luce di questi passaggi, allora, si capiscono un po’ meglio le dichiarazioni evasive di due giorni fa del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Sandro Gozi, il quale si è limitato a dire che il governo “non ha preso una posizione ufficiale” sulla questione armena “perché non è opportuno dare una verità di Stato” e perché “non è compito dei governi decidere cosa sia successo 100 anni fa, ma spetta agli storici”.
Solo il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, si è spinto un po’ più in là giudicando “ingiustificati” i toni di Ankara. Di sicuro si pone un’altra grande questione. A quanto pare la condanna del genocidio del popolo armeno da parte del Papa è giunta piuttosto inaspettata alla diplomazia italiana, presa in contropiede. Così come un bel po’ di trambusto aveva portato l’annuncio del giubileo straordinario. Su quest’ultimo punto i sindaci italiani, a quanto pare supportati dal premier Matteo Renzi, vorrebbero l’introduzione di una tassa speciale sui turisti per sfruttarne il flusso. Un’idea che, a quanto filtra, avrebbe infastidito non poco la Santa Sede. Un’altra spia, se vogliamo, di un’incomunicabilità che sta creando problemi.