DAL GIOCO DEL LOTTO ALLA LOTTIZZAZIONE – “TELE-NUSCO”, “TELE-BETTINO”, “TELE KABUL”: TUTTE LE DIREZIONI RAI ERANO SPARTITE E CON IL GIOCO DELLE VICEDIREZIONI C’ERANO LE FAMOSE “ZEBRATURE”
1. QUANDO LA POLITICA INVENTÒ LA LOTTIZZAZIONE PERFETTA
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
Cala la notte sulla lottizzazione «perfetta », o meglio: su quel poco, pochissimo che rimane di TeleNusco, TeleCraxi e TeleKabul.
Con tali nomignoli, negli anni 80, si qualificavano correntemente il Tg1, il Tg2 e il Tg3 all’apice dell’eccellenza spartitoria del servizio pubblico. I loro direttori in realtà cambiarono con una certa frequenza, a seconda dei rivolgimenti interni ai partiti. Ma l’appartenenza era quella e per quanto il sottile «politichese» utilizzasse espressioni di sfuggente ipocrisia tipo «pluralismo», «aree» e «derivazioni culturali», il dogma della Santa Trinità dei telegiornali diceva: uno alla Dc, uno al Psi e uno Pci (poi Pds).
A Psdi, Pri e Pli, cui senza misericordia in tali frangenti si attribuiva la dizione di «laici minori» era destinato il terzo e misero canale della radiofonia, con un mini Gr. Il primo e il secondo erano appaltati rispettivamente ai socialisti e ai democristiani.
Più che tacita, la lottizzazione (termine coniato da Alberto Ronchey nel 1968 in una lettera a Ugo La Malfa) era implicita al sistema di nomina del CdA previsto dai cosiddetti «Accordi della Camilluccia».
Che era una villa - abusiva, ma con tanto di caminetto - che i dc possedevano sulle pendici di Montemario. Qui alla metà degli anni 70 era stata forgiata la lottizzazione cosiddetta «di governo» perché includeva solo Dc e Psi. A piazza del Gesù toccava quindi il direttore generale e il direttore del Tg1; a via del Corso il presidente e il direttore del Tg2; e giù a cascata, secondo un andazzo che si rispecchiava nella storiella per cui se si dovevano promuovere tre giornalisti, uno doveva essere democristiano, uno socialista e uno bravo.
Ma dopo la riforma (legge 103), il referendum sul divorzio, la sentenza che liberalizzava l’etere, la spinta al decentramento, e altri sviluppi politici ed elettorali, il Pci reclamò il suo lotto di potere in Rai: e piano piano gli fu concessa la Terza Rete (1979). Il consiglio d’amministrazione, nel frattempo, sanzionava i nuovi equilibri fra i partiti in Rai. Craxi, cui non mancava un certo piglio ribaldo, li proclamò una sera a Tribuna politica come un numero di telefono imparato a memoria: 643111.
E fu l’aurea stagione, appunto, di Tele-Nusco, TeleBettino e TeleKabul (dove regnava l’indimenticabile Sandrino Curzi). Ma la faccenda era molto più complicata. E non solo perché in Rai i democristiani si alternavano secondo distinzioni e avvicendamenti correntizi e regionali che i telespettatori più avveduti impararono a cogliere sul video dagli accenti dei giornalisti, per cui i fanfaniani parlavano toscano, i demitiani avellinese, i forlaniani pesarese e così via.
E neppure per via della guerra per bande che si combattevano i craxiani: dopo presidenti e direttori di tg saltati di continuo, alla fine furono scoperchiate addirittura le alcove, con dirigenti di rete a rinfacciarsi o a dirsi vittime di un potente e nemmeno troppo occulto «albero delle zoccole».
No, le complessità della lottizzazione perfetta - come la documentò il professor Paolo Mancini in un libricino dal titolo appunto « Elogio della lottizzazione » (Laterza, 2009), pure dotato di preziose tabelle con le nomenklature succedutesi sopra il Cavallo morente - erano aggravate da un micidiale congegno di ingegneria del potere e del controllo detto «zebratura». E quindi al vertice di ogni tg, di ogni gr, di ogni rete o direzione era previsto un incastro di democristiani, socialisti e comunisti. I quali allora, bisogna pur dire, rappresentavano la stragrande maggioranza degli italiani.
Funerale di Sandro Curzi by corriere.it
Poi non più, ma quando i partiti andarono a ramengo, si ebbe un ventennio di lottizzazione leggera. Per cui agli orfani dimenticati e residuali dei partiti, si aggiunsero i berlusconiani. Adesso ci pensa lui, Renzi, a sistemare le cose. «Beati i perplessi », secondo Guido Ceronetti.
2. GIANNINO ELENCÒ I LOTTIZZATI: IL GIUDICE LO ASSOLSE É COSA NOTA
Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
«È circostanza notoria» che in Rai «anche i soggetti più che meritevoli siano avvantaggiati dalle conoscenze in ambito politico, perché sovente per fare carriera le sole doti personali non bastano e la meritocrazia è concetto di eccezionale applicazione, riservato a quei rari casi che emergono dal coro per peculiari e incontestabili capacità»: chiacchiere da convegno sul pluralismo dell’informazione? No, motivazione di una sentenza di Corte d’appello a Milano. Nella quale i giudici concordano che «tuttavia è innegabile che sentirsi dare pubblicamente del “lottizzato” non sia fatto piacevole, e che di conseguenza la pubblicazione» di un articolo che a uomini Rai dia del “lottizzato” «abbia determinato una lesione». Che «però deve ritenersi scriminata dal diritto di cronaca».
È su questa base che i giudici Daniela Fontana, Paolo Carfì e Cornelia Martini hanno assolto — perché «il fatto non costituisce reato» di diffamazione — l’editorialista Oscar Giannino, il giornalista di «Libero» Enrico Paoli e l’allora direttore Alessandro Sallusti, imputati per la pagina costruita il 7 febbraio 2008 attorno a un diagramma di lottizzazione in multicolor, circolante ai piani alti Rai con nomi di 900 dirigenti abbinati a colori della loro presunta appartenenza politica (rosso per la sinistra, blu per la destra, verde per i tecnici). Sia gli allora presidente e direttore generale della Rai, Claudio Petruccioli e Claudio Cappon, sia parecchi dei dirigenti si erano risentiti per il commento «Ecco il manuale Cencelli di viale Mazzini», a fianco della tabella-notizia «La Rai si lottizza da sola».
«Non era sicuramente un documento ufficiale Rai, e non è dunque il prodotto di una illecita schedatura domestica, tuttavia — scrivono i giudici — deve ritenersi atto informale interno, di provenienza verticistica, perché redatto da soggetto molto ben informato dell’effettivo organigramma, tanto da avervi inserito i nominativi dei dirigenti di prossima nomina. L’organigramma preconfezionato al vertice della Rai è stato verosimilmente compilato con i nominativi dei dirigenti in rosso, blu e verde da chi aveva interesse ad avere sottomano un promemoria della distribuzione degli incarichi».