Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera”
«Naufragio con spettatore» era un libro di trent’anni fa del filosofo tedesco Hans Blumenberg. Prendeva spunto dall’immagine di Lucrezio dell’uomo sulla riva che assiste all’inabissarsi di una nave nella tempesta e ne prova sollievo. Ma nessun sollievo prova l’America che assiste dall’altra sponda dell’Atlantico allo spettacolo del possibile naufragio dell’Europa nella tempesta greca.
Anzi, l’allarme e la preoccupazione crescono di ora in ora e vanno di pari passo con le pressioni dietro le quinte perché si eviti una catastrofe. In prima linea in questo sforzo c’è l’ambasciatore Usa presso l’Unione europea, Tony Gardner. In questi giorni era a Milano per la tre giorni organizzata dall’Aspen Institute all’Expo: una serie di dibattiti su sicurezza alimentare, salute, lotta alla fame e allo spreco, sostenibilità. Gardner si esprime in un italiano perfetto, grazie a una mamma veneziana (si definisce con orgoglio «co-italiano»): ma quando si tocca la crisi greca passa all’inglese e misura le parole una per una. Perché anche le virgole contano.
«Noi restiamo molto prudenti. Incoraggiamo tutte le parti a fare il massimo sforzo per trovare delle soluzioni di compromesso. Perché si tratta prima di tutto di una crisi europea, ma il suo impatto non è limitato soltanto all’Europa».
Eppure c’è chi pensa, specialmente nei Paesi nordici, che a questo punto la Grexit possa essere la soluzione migliore.
«Chi crede che non ci sia un costo significativo sta sottostimando il rischio. A nostro avviso il posto della Grecia è nell’ nell’euro e nell’Unione europea. Per riuscirci, entrambe le parti devono trovare un accordo su un pacchetto di riforme e su un finanziamento che consenta alla Grecia di ritrovare una prospettiva di crescita con un livello di debito sostenibile».
Nel dibattito fra i sostenitori dell’austerità e quelli della crescita gli Stati Uniti si sono sempre mostrati più a favore ai secondi. E ora?
«Non vogliamo entrare nel dettaglio di chi ha ragione e chi ha torto. Noi siamo a favore di un equilibrio fra austerità e politiche rivolte alla crescita. Ma lo dicevamo già da prima della crisi: sono i Paesi che hanno un surplus di bilancio che devono promuovere la crescita».
Dunque l’onere è sulla Germania?
«Diciamo anche che la Ue è una comunità di regole che devono essere rispettate. E tutti devono mantenere gli impegni presi».
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Oltre al rischio finanziario, la crisi greca porta con sé un rischio geopolitico?
«Nessuno è in grado di dire cosa potrebbe succedere: dobbiamo stare molto attenti, perché stiamo entrando in un territorio sconosciuto. Siamo tutti consapevoli del rischio geopolitico: pensiamo solo ad esempio al gasdotto che passa per la Grecia…».
A questo proposito, cosa pensa degli abboccamenti fra Tsipras e Putin?
«Non bisogna sottovalutare il rischio di uno scivolamento della Grecia verso la Russia. E’ chiaro che le mosse di Tsipras fanno parte di una strategia negoziale. Ma costituiscono una possibilità».
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A proposito di Russia: come valuta l’atteggiamento tenuto dagli europei nella crisi ucraina?
«E’ stato un grande successo il mantenimento dell’unità nei confronti della Russia: una cosa non scontata, considerando che siamo di fronte a 28 Paesi così diversi fra loro. Non era una cosa facile da ottenere, eravamo preoccupati, anche perché capiamo che l’Europa è più vicina alla Russia per ragioni di storia e di rapporti d’affari.
Ma non è vero che sono solo le imprese europee a soffrire per le sanzioni: anche quelle americane patiscono. Ma a mitigare gli effetti ci sono due trend favorevoli: l’euro debole e il basso prezzo del petrolio, entrambi elementi che favoriscono le imprese europee».
Eppure nella business community italiana cresce il disagio per la politica delle sanzioni.
«Siamo coscienti dell’impatto sulle imprese italiane. Ma certe cose come la difesa della libertà e dei principi fondamentali non sono gratis: c’è sempre un prezzo da pagare. Questi principi sono fondamentali e c’è la necessità di proteggerli».
Sono proprio gli italiani i più scettici verso la politica americana nei confronti della Russia?
«In realtà c’è una lunga lista di Paesi scettici. Ma disturba vedere che molti pensano che l’Ucraina sia qualcosa di lontano o irrilevante. Quella crisi non ha un impatto diretto soltanto sui Paesi baltici o la Polonia. Sono in gioco i principi per i quali abbiamo lottato assieme in passato. E il mondo ci guarda: se l’integrità territoriale non viene difesa in Europa, non lo sarà nel resto del mondo. In più, ogni Paese deve essere libero di stringere gli accordi che vuole, a partire da quelli commerciali: che è poi il motivo da cui tutto è cominciato».
Ma le sanzioni stanno avendo effetto?
«Sì, le sanzioni stanno funzionando perché hanno un impatto sulla popolazione russa, anche se non sappiamo se saranno sufficienti a far cambiare l’atteggiamento del Cremlino. Ma non è un caso che Mosca stia cercando con forza di mettere fine alle sanzioni. In più, loro sono preoccupati che la gente scopra che le truppe russe combattono in Ucraina. E’ un fattore, questo, che potrebbe cambiare l’atteggiamento della popolazione. C’è una vera paranoia nelle stanze del potere: e non bisogna sovrastimare la popolarità di Putin».
Tra l’altro, Boris Nemtsov venne assassinato a Mosca proprio alla vigilia di rivelazioni sul ruolo delle truppe russe in Ucraina.
«Esattamente».
Per finire, a che punto è il negoziato sull’accordo di libero scambio fra Ue e Usa?
«Un accordo si può ancora raggiungere. E non farlo sarebbe un autogol, come ha detto Renzi. Vedo paura in Europa per la globalizzazione: ma è sbagliato, l’Europa e l’Italia sono capaci di competere.La globalizzazione è un fatto, non è una scelta: possiamo invece scegliere se dare forma alla globalizzazione o essere condizionati da essa. Ma se non diamo noi le regole al commercio globale, chi le darà? L’Asia. E se lo farà l’Asia, allora sì che abbasserà gli standard. Questo aspetto geopolitico viene sottovalutato dal pubblico».