1.UE: “ATENE FUORI DA SCHENGEN SE NON CONTROLLERÀ I MIGRANTI”
Andrea Tarquini per “la Repubblica”
Non è avvenuto il Grexit monetario ma è alle porte il Grexit delle frontiere: Atene, bocciata dalla Commissione europea e accusata di «carenze gravi» nell’identificazione e registrazione dei migranti, rischia l’espulsione temporanea dall’accordo di Schengen. «La Grecia sta seriamente trascurando i suoi obblighi, mettendo a rischio la tenuta del sistema Schengen», afferma la Commissione sulla base di ispezioni condotte a novembre.
Intanto Bruxelles apre alla possibilità di aiuti bilaterali alla Macedonia, il cui governo proprio ieri ha annunciato la chiusura della frontiera con la Grecia.
Il provvedimento della Commissione verso Atene apre la strada alla possibilità di estendere i controlli alle frontiere interne fino a due anni, se Atene non avrà provveduto a mettere la situazione in regola la situazione ed assicurare entro maggio controlli giudicati efficienti e credibili da Bruxelles.
Scadenza non casuale: Austria e Germania avranno esaurito ogni possibilità offerta dal codice Schengen di controllare le proprie frontiere. «Consideriamo non costruttivo il tentativo di isolarci, è invece necessario che tutti facciano la loro parte», protesta il ministro ellenico Olga Gerovaisili.
«Quanto avete fatto finora non basta, riscontriamo buchi nelle identificazioni, registrazione e controlli ma anche nell’accoglienza e sui rimpatri», replica il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis.
Intanto Renzi, intervistato dalla Frankfurter Allgemeine ha attaccato: «Se si cerca una strategia per la soluzione dell’emergenza profughi non può bastare che Merkel prima chiami Hollande e poi Juncker e io apprendo il risultato dalla stampa. Non si possono risolvere così i problemi europei».
2. TRA I PROFUGHI BLOCCATI AL CONFINE “PASSANO SOLTANTO SIRIANI E AFGANI”
Ettore Livini per “la Repubblica”
L’Europa che ha nostalgia dei confini può mettersi il cuore in pace. Schengen, alla frontiera tra Grecia e Macedonia, è già un ricordo del passato. E la banda dei fantasmi di Idomeni ha imparato subito ad adeguarsi. «Li vuole trovare? Facile. Aspetti sera e segua la luce dei fuochi nel bosco qui davanti», suggerisce il titolare dell’hotel Hara di Euzoni.
Non si può sbagliare, è vero: di notte la “giungla”, come la chiamano qui, è un muro nero di pini da cui filtrano tanti lampi arancioni. Attorno ai falò decine di somali, palestinesi e pakistani per cui il corridoio umanitario della rotta balcanica — spalancato fino a poche settimana fa — è diventato all’improvviso più stretto della cruna di un ago.
«Ho pagato 1.500 dollari per la traversata dalla Turchia a Leros », racconta Saleh Daher, ex piastrellista di Sana’ scaldando le mani sulle fiamme. «Sono in viaggio da due settimane, pensavo fosse fatta. Invece mi ritrovo davanti a una porta chiusa». Lo Yemen è in guerra, casa sua è stata sfiorata dalle bombe saudite (in parte fabbricate in Italia).
Ma l’Odissea dei rifugiati non è più uguale per tutti. Bratislava, Vienna e Berlino hanno contingentato gli ingressi. E la frontiera della speranza di Idomeni si è adattata. «Passano solo siriani, afgani e iraniani», urlano i poliziotti ai migranti in coda per i documenti. Tutti gli altri si sono trasformati nei primi fantasmi del dopo-Schengen.
«Quando mi hanno detto che non potevo continuare il viaggio, mi sono trovata con poche alternative », dice Reem Jamil, studentessa di ingegneria di Bagdad abbracciata al fidanzato Alì. «Tornare ad Atene e fare richiesta di asilo politico oppure accettare il rimpatrio con in premio i 420 euro che offrono le Ong». Lei, come gli altri accampatinella “giungla”, ha scelto la terza opzione: restare qui.
Aspettando un’improbabile «liberi tutti » alla frontiera o mettendosi nelle mani dei «contrabbandieri di migranti », rispuntati come funghi dopo la stretta di Skopje. «Ho già parlato con un paio di persone», confessa. «Per 1.300 dollari ti portano in Serbia. Ma è gente con pochi scrupoli. Molti sono stati piantati in asso sulle montagne qui sopra, sotto le pale eoliche, e sono finiti tra le braccia della polizia macedone ». Reem, Alì e Saleh sono solo l’avanguardia della catastrofe umanitaria prossima ventura che rischia di abbattersi sulla Grecia.
Il conto alla rovescia è iniziato: «I sistemi di controllo alla frontiera greca fanno acqua», ha sentenziato ieri la Ue. Il governo ha 3 mesi di tempo per tappare i buchi aprendo gli hotspot sulle isole e adeguando i criteri di identificazione. Altrimenti Bruxelles sigillerà i confini con la Macedonia e lascerà al governo Tsipras la patata bollente.
Chi lavora a Idomeni non fa fatica a capire cosa potrebbe accadere. «Vede i 30 pullman parcheggiati qui davanti? Hanno appena scaricato 1.500 persone che oggi, a gruppi di 250, varcheranno il confine », dice Herman Colbert di Human Rights Watch. «Se Schengen salta, cambia tutto. I bus arriveranno qui, faranno inversione di marcia e torneranno indietro».
E i passeggeri? In teoria hanno le tre opzioni di Reem. «Ma se la mia esperienza vale qualcosa», aggiunge Colbert, «cercheranno in ogni modo di andare avanti». Arruolandosi nell’esercito dei fantasmi nella giungla o cercando nuove rotte verso Nord via Albania, Romania o Bulgaria.
Trasformando la Grecia «in un enorme campo profughi a cielo aperto», dice rassegnato il sindaco di Salonicco Yanis Boutaris. Perché i numeri sono da brividi. Atene, calcolano all’Unhcr, ha oggi 11mila ricoveri per migranti. Troppo pochi. Il flusso dalla Turchia, malgrado il maltempo, è proseguito la scorsa settimana al ritmo di 1.805 migranti al giorno, 46mila da inizio anno.
Un fiume in piena che nel dopo Schengen finirà la sua corsa in Grecia, scontrandosi con la diga alzata da Bruxelles in Macedonia e riempiendo di profughi (un milione nel 2016, secondo le stime) un paese con 11 milioni di abitanti. Ridurne la portata è impossibile. I richiedenti asilo bloccati nella capitale sono ospitati in condizioni precarie nei vecchi impianti olimpici, già saturi. E i rimpatri restano un miraggio: lo scorso anno sono stati rispedite nei paese d’origine 20mila persone. Ma il 90% erano albanesi e solo 2mila i profughi.
«Se chiudono Idomeni, la Grecia diventerà un cimitero di anime», profetizza amaro il ministro all’immigrazione Yannis Mouzalas. L’Europa ha messo le mani avanti: se sarà costretta ad abbandonare Tsipras al suo destino, aiuterà (bontà sua) a gestire l’emergenza.
Il ministro degli interni belga Jan Jambon ha parlato di una mega- tendopoli per 400mila persone ad Atene. Le Nazioni Unite vogliono farne un’altra da 60mila a Salonicco. La coperta però e drammaticamente corta e le Cassandre sotto il Partenone vedono un finale già scritto: prima l’addio a Schengen. Poi, poco dopo, l’uscita di Atene dall’euro.