Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
Non ci vogliono degli scienziati per capire perché Chiara Appendino risulta la sindaca più amata d'Italia (sondaggio di Ipr Marketing per Il Sole 24 Ore) mentre Virginia Raggi invece è penultima in classifica: 103esima su 104. Sono due donne, due grilline: ma per il resto le loro esperienze sono come il giorno e la notte. Di Virginia Raggi si è scritto anche troppo: ha già perso un terzo del consenso (-23,2%) e sconta gli eterni problemi di Roma ma anche pasticci burocratici, divisioni, dimissioni e inchieste giudiziarie; sei mesi di gaffe e di errori che la fanno percepire come una bollita non ancora schiodatasi dai blocchi di partenza.
Il caso di Chiara Appendino invece dimostra che meno fai l'ortodosso e il rivoluzionario (meno fai il grillino, insomma) e più rischi di combinare qualcosa, come evidenzia pure - parentesi - che il terzo sindaco più amato d' Italia sia quel Federico Pizzarotti che i Cinque Stelle hanno espulso da tempo.
La Appendino, dunque: facciamo un primo e simbolico esempio. Avrete presente il discusso contratto con la Casaleggio Associati che impegnava i candidati a dimettersi e a pagare una penale se avessero «danneggiato» il movimento: ecco, la Raggi l'ha firmato, la Appendino no.
La Appendino ha anche detto chiaramente che con Grillo ha un rapporto più che decente, ma che Torino resta affare suo e della giunta e del consiglio comunale, detto senza polemiche. La Raggi invece si è sperticata in adesioni anima e corpo al Movimento, e in varie interviste ha detto che per dimettersi le sarebbe bastato un cenno del leader avendo, appunto, firmato una carta che la impegnava a consultare Grillo per le decisioni importanti.
Altro esempio: la Raggi ha fatto le fatiche di Sisifo per nominare la giunta, e a un mese dall' elezione ha dovuto ripiegare su nomi già cari alle vecchie amministrazioni: anche perché i Cinque Stelle di esperienza non ne avevano. Il risultato è stato un parto lento e angosciante con squadre poi decimate, smontate e rimontate.
La Appendino invece ha presentato la giunta ancor prima del ballottaggio e non si è fatta problemi a nominare gente «compromessa» con la vecchia politica: assessori ex An ex Pd che non hanno creato i problemi delle scelte romane.
Insomma, la Raggi ce l'avete presente, è una grillina classica, tutta slogan rivoluzionari e tabula rasa sul passato corrotto; la Appendino invece va d'accordo e collabora con l' ex sindaco Sergio Chiamparino, al punto che a Torino i maligni parlano di «Chiappendino», ircocervo che piace pochissimo a una parte del Pd e anche ai grillini duri e puri.
Per scovare qualche movenza amministrativa della Raggi - proseguendo - occorre procedere col lanternino tra una gaffe e l'altra , mentre la Appendino ha fatto la campagna elettorale contro il «sistema Torino» e ora l'ha adottato in pieno: questo, almeno, lamentano molti esponenti dell' opposizione. E anche qualche grillino, visto che l'ex capogruppo del Movimento Vittorio Bertola si è dimesso accusando la sindaca di aver tradito il programma.
RAGGI E APPENDINO IN CAMPIDOGLIO
Il che sarebbe anche vero: la sindaca ha avallato un piano regolatore con la costruzione di nuovi centri commerciali ai quali si era opposta in campagna elettorale, mentre ora, appunto, ha cambiato idea dicendo che al comune servivano soldi.
Insomma, una democristiana con la kefiah che di grillino ha fatto poco o nulla, almeno sinora: ha ritirato la sua delegazione dall' Osservatorio sul Tav, ma è un atto che non produce alcun effetto; ha nominato un No-Tav come presidente del Consiglio comunale, ma idem; ha, semmai, adottato posizioni progressiste proprio laddove i grillini appaiono più divisi: per esempio sul Gay Pride, cui ha aderito e partecipato a differenza della Raggi. Ha detto che si impegnerà per le periferie, ma è ancora presto per valutare dei risultati.
Tutto questo, unito alla fiducia dei torinesi nella Appendino - attenzione - non dimostra che Torino sia governata meglio di Roma: molti dimenticano, anzi, che Torino mantiene il debito più alto tra i comuni italiani. Stiamo parlando di fiducia e di percezione dei cittadini, non altro. A Torino hanno scelto una compromissoria «continuità» per non rischiare di naufragare tra il dire e il fare dei grillini, notoriamente a corto di esperienza e più spesso di cervelli.
A Roma, viceversa, gli storici punti di forza dei Cinque Stelle si sono rivelati i loro punti deboli: la mancanza di professionalità e l'essere meramente «nuovi» si è tradotto in un'ignoranza della macchina amministrativa che li ha lasciati al palo assieme a una capitale intera. Una volta al potere, gli ex incendiari hanno funzionato solo da pompieri: come sempre, come altri, meglio di alcuni, peggio di altri.