GUARDA CHE BUCO – CON LA PROSSIMA LEGGE DI STABILITÀ IL GOVERNO DOVRÀ TROVARE LA BELLEZZA DI 20 MILIARDI DI EURO – ESCLUSI INTERVENTI SU PENSIONI E PUBBLICO IMPIEGO, NON RESTA CHE TOCCARE LA SANITÀ
Franco Bechis per “Libero Quotidiano”
Matteo Renzi ha un problemino da 20 miliardi di euro. Prima ancora che si faccia venire qualche idea per cercare di recuperare il consenso perduto con la legge di stabilità dell’anno prossimo, il presidente del Consiglio ha da tamponare falle che in parte sono state aperte dalle varie sentenze della Corte Costituzionale e in parte vengono dal rinvio dei problemi fatto prima da Enrico Letta e poi dal governo attualmente in carica.
Ci sono da trovare così 2 miliardi di euro come conseguenza dell’ultima sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale il blocco dei contratti del pubblico impiego. Il nuovo contratto quindi va fatto, probabilmente vanno trovati anche fondi per gli ultimi mesi 2015 per risarcire i dipendenti pubblici con l’indennità di vacanza contrattuale (qualche centinaio di milioni di euro).
matteo renzi pier carlo padoan
Ci sono ancora 700 milioni di euro circa di coda della sentenza precedente della Corte Costituzionale, quella che dichiarato illegittima la de-indicizzazione delle pensioni. Renzi ha applicato quella decisione al 10-15% del suo valore, e rischia così nuovi ricorsi davanti alla Consulta, ma intanto deve dare l’adeguamento anche per il 2016.
Ovviamente questi 3 miliardi non erano previsti nei tendenziali di finanza pubblica, e si aggiungono alla manovra necessaria per fare scendere secondo cronoprogramma il rapporto deficit/Pil di almeno 0,8 punti nella marcia di avvicinamento al pareggio di bilancio.
matteo renzi pier carlo padoan
Qualcosina dovrebbe venire dalla ripresa naturale, visto che l’economia ha ripreso a tirare in tutti gli altri paesi di Europa, e anche in Italia il Pil dovrebbe tornare a crescere. Il governo stesso pensa che si possa passare dallo 0,7% all’1,4%, e quindi servirebbero solo 1,6 miliardi di euro extra per raggiungere l’obiettivo. Secondo il Fondo monetario però la crescita italiana dovrebbe essere al massimo dell’1,2%, e quindi la manovra correttiva 2016 necessaria sarebbe di circa 5 miliardi di euro, da aggiungere ai 3 sopra citati.
Ma a creare più di un grattacapo e di fatto a impedire qualsiasi manovra-spot del governo, c’è la pesantissima eredità delle due ultime leggi di stabilità, con le clausole di salvaguardia inserite che scatterebbero nel 2016. La prima risale ancora al governo Letta, ed è quella del taglio automatico delle agevolazioni fiscali. In origine valeva per 7 miliardi di euro nel 2016, poi Renzi ne ha parzialmente coperto gli effetti. Restano da trovare ancora 3,3 miliardi di euro, o comunque formule più selettive per non andare a toccare le agevolazioni fiscali più delicate, come detrazioni e deduzioni dai carichi familiari.
Le altre due clausole di salvaguardia in vigore sono invece inserite nella legge di stabilità 2015 firmata proprio da Renzi, che si era così rinviato un problemone di un anno. Dal primo gennaio prossimo dovrebbe scattare un doppio aumento dell’Iva, sia dell’aliquota ordinaria che di quella ridotta al 10%. Complessivamente si tratta di 12 miliardi e 814 milioni di euro, che dovrebbero arrivare nelle casse dello Stato per 4,6 miliardi di euro con l’aumento della aliquota agevolata dal 10 al 12% e per 8,1 miliardi di euro con l’aumento della aliquota ordinaria dal 22 al 24%.
Attenzione, perchè l’anno successivo la clausola sarebbe ancora in vigore, dovrebbe dare ulteriori aumenti ed essere accompagnata anche da una manovra sulle accise per garantire altri 17 miliardi di euro di incassi.
Sminare quelle due clausole non è affatto semplice, anche perchè in questi mesi Renzi è sempre corso insieme al suo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a tamponare falle non previste, e non ha messo in campo alcuna manovra di spending review che sarebbe stata necessaria per arrivare alla prossima legge di stabilità con un minimo di margine di tranquillità per evitare i rincari Iva.
MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN
Gli aumenti delle aliquote in questo momento sono legge dello Stato, e scattano dal primo di gennaio. Per evitarli non si può iniziare a tagliare spesa pubblica da quella data, perchè gli effetti netti sui conti dello Stato si vedrebbero solo molti mesi dopo, e quindi non ci sarebbe compensazione possibile. Per altro la Corte dei Conti ha fatto capire proprio a fine giugno come quasi tutte le armi di riduzione della spesa siano spuntate nelle mani del governo.
«La spesa primaria corrente è aumentata di 16 miliardi», ha spiegato Emilia Laterza, «spingendo in direzione di un maggiore indebitamento, attribuibile, però, alla sola componente per prestazioni sociali: al netto di questa voce, la spesa primaria corrente è diminuita, nel periodo, di quasi 21 miliardi».
Allora la spesa corrente è già tagliata non poco, e grandi cifre non ne può dare se non si tocca la spesa sociale. Ma qui la Consulta ha già fatto capire che non ci sono margini di manovra né sulla previdenza né sul pubblico impiego. Resta dunque un solo settore: la Sanità. E in qualche modo un cavallo di battaglia che infiammerà come sempre le polemiche politiche: quello del taglio dei trasferimenti agli enti locali. Sperimentatissimo, ma il solo possibile in queste condizioni.