GUERRA OLIMPICA A 5 STELLE - A TORINO IL M5S SI SPACCA: 4 CONSIGLIERI RIBELLI SFIDANO LA APPENDINO E BOICOTTANO IL VERTICE DI MAGGIORANZA SUI GIOCHI INVERNALI DEL 2026 - LA SINDACA VA SOTTO MA RESISTE: NESSUN PASSO INDIETRO - I CONSIGLIERI REGIONALI DEL M5S VOTANO COMPATTI CONTRO LE OLIMPIADI - ORA CHE FA GRILLO CHE AVEVA APPOGGIATO I GIOCHI?
Maurizio Tropeano per la Stampa
Tregua sì, pace no. Anzi. Il giorno dopo il grande strappo dentro il Movimento 5 Stelle - spaccato sulla manifestazione di interesse per le Olimpiadi invernali 2026 che la sindaca di Torino vorrebbe avanzare - la tensione non si smorza più di tanto. I quattro consiglieri ribelli, che lunedì si sono dati alla macchia facendo cadere il numero legale in Consiglio comunale e impedendo la votazione di un documento pro-Olimpiadi, si presentano in aula, ma solo per votare una delibera urgente. Puro senso di responsabilità.
Poi se ne vanno disertando il vertice di maggioranza convocato subito dopo il Consiglio comunale per discutere dei Giochi. Se ne riparlerà forse oggi. O domani. Ma il dissenso dei ribelli resta.
Tempo, ci vorrà tempo, perché «come in tutti i matrimoni può accadere che si arrivi a una crisi, una prova di forza.
Ora stiamo ricucendo e andiamo avanti». Guido Montanari, il vicesindaco di Torino, scende lo scalone di Palazzo Civico dove si è da poco conclusa la votazione per decidere se e come mitigare un insediamento commerciale in uno spazio verde alla periferia di Torino.
La sua proposta che evita il rischio di pagamento di danni erariali è stata approvata con tutti i voti dei Cinquestelle, ribelli compresi.
Le parole del vicesindaco, che molti considerano il punto di riferimento dell' ala ortodossa, raccontano del difficile lavoro di recupero di una frattura che ieri si è ricomposta ma in modo superficiale. «Come in tutti i matrimoni, capita di litigare», butta lì Montanari, uno di quelli che si sta adoperando per sanare la ferita.
Adesso resta da capire se dentro il gruppo M5S si possa prefigurare la nascita di una minoranza interna vicina alle posizioni movimentiste. Ieri sera i quattro consiglieri non hanno partecipato alla riunione con la sindaca in cui Appendino ha illustrato per sommi capi il documento che oggi porterà in Città metropolitana, modificato per rafforzare quei concetti cari all' universo Cinquestelle, ad esempio la necessità di realizzare un evento dove il contributo pubblico è ridotto al minimo e la maggior parte delle risorse sono a carico dei privati.
Una evidente mano tesa ai dissidenti, come lo è la decisione di non inviare già oggi la lettera al Coni in cui si annuncia l' interesse per i Giochi del 2026. La sindaca ha deciso di non forzare la mano. Vuole il massimo consenso possibile anche se è determinata da andare avanti comunque. E questo nonostante le resistenze piuttosto diffuse dentro il Movimento, annidate nell' ala movimentista, in cui nemmeno Beppe Grillo ha fatto breccia.
Ieri il Consiglio regionale ha votato un documento, ispirato dal presidente Sergio Chiamparino, che punta a sostenere la candidatura di Torino 2026.
I consiglieri regionali Cinquestelle non hanno partecipato al voto: «Appendino porta avanti una certa linea anche per senso di responsabilità ma noi non siamo tenuti a tenerla, non governiamo in Regione», spiega la capogruppo Francesca Frediani, valsusina e ultrà No Tav.
IL GIORNO PIU’ LUNGO DELLA SINDACA
Andrea Rossi per la Stampa
C' è un attimo in cui la poltrona di Chiara Appendino vacilla.
Succede quando alcuni attivisti storici del Movimento 5 Stelle propongono l' espulsione dei quattro ribelli e ne chiedono le dimissioni da consiglieri comunali. Guidano l' offensiva - tra gli altri - due storici militanti torinesi. Uno si chiama Franco Vilardo, fa parte della cellula dei fondatori, quelli che ancora si chiamavano «amici di Beppe Grillo».
È anche il compagno di Chiara Giacosa, la capogruppo del Movimento in Comune. Il secondo è uno dei più autorevoli e ascoltati consiglieri comunali. «È una vigliaccata politica», si sfoga Roberto Malanca. «Se questi signori hanno la schiena dritta traggano con coerenza le doverose conseguenze della loro irresponsabilità nei confronti dei cittadini, degli elettori e del Movimento tutto, non solo quello torinese».
Si rischia la ferita insanabile. Cacciarli significherebbe ritrovarsi quattro consiglieri all' opposizione in un amen, perdere la maggioranza, cadere. Chiederne le dimissioni è come dare a loro la scelta: ve ne andate solo voi o ce ne andiamo tutti? È in quel momento che Appendino vacilla. Non riesce più a tenere i suoi consiglieri: i ribelli, che hanno staccato i telefoni e sono scomparsi; e i 19 che le restano fedeli, furibondi con i loro colleghi al punto da meditare ritorsioni.
È a quel punto che entrano in scena i pesi massimi del Movimento. Si muovono i parlamentari, quelli che esercitano da tempo un profondo ascendente sulla base e sugli eletti. Prima Laura Castelli, deputata, fedelissima di Luigi Di Maio. Poi Alberto Airola, senatore, amatissimo dagli attivisti. «Ragazzi, siamo impazziti?», scrive agli attivisti torinesi. «Qui bisogna ragionare e trovare un accordo, non si sfascia tutto così». Invita tutti ad allargare lo sguardo, mirare lontano. Non c' è solo Torino, non ci sono soltanto le Olimpiadi e le beghe di Palazzo Civico. C' è un Movimento diventato primo partito in Italia e che ora reclama il governo del Paese. Il caso Torino rischia di essere una macchia, una patente di inaffidabilità. «Il momento richiede enorme senso di responsabilità».
È la sortita che favorisce una tregua armata. I parlamentari intervengono per puntellare la giunta di Torino. Mentre i Cinquestelle litigano Chiara Appendino è riunita con i suoi assessori. Avvilita, furibonda. Ma decisa: nessun passo indietro, non se il dissenso emerge così, assumendo le sembianze di un ricatto. I quattro consiglieri ribelli non si fanno rintracciare, alcuni colleghi provano anche a raggiungerli a casa ma niente da fare.
Notte tesa, in mattinata il clima non cambia. Appendino dovrebbe presentare la riforma delle tariffe dei mezzi pubblici ma non si fa vedere. Anche lei cerca un contatto con i dissidenti. Un confronto. Quando li raggiunge usa argomenti non molto diversi da quelli spesi da Airola. «Gli avversari non sono in mezzo a noi, sono là fuori», spiega alludendo alle opposizioni che non vedono l' ora di far saltare il banco. Disegna scenari foschi, richiama alla responsabilità: se saltiamo salta la Città, il Comune rischia il dissesto, Gtt (l' azienda di trasporto pubblico locale) ha appena scampato il fallimento ma potrebbe ripiombare nella crisi più profonda. Non si può buttare via tutto così, insiste. Quasi due anni di lavoro.
Il richiamo in minima parte funziona. I quattro si presentano in Consiglio comunale: c' è da votare una delibera urgente, non farlo potrebbe esporre la Città a una richiesta di danni.
Ma è una tregua, chissà quanto duratura. Finita la votazione, i Cinquestelle si riuniscono con Appendino per discutere di Olimpiadi. Il documento in cui si apre a una candidatura eventuale di Torino viene limato, rafforzando i concetti cari ai Cinquestelle: impatto zero, niente debito. I ribelli, convocati come tutti gli altri, disertano ancora una volta: per loro Torino 2026 è un discorso che semplicemente non esiste. Si sentono rafforzati dal fronte anti Olimpiadi che si allarga: anche i consiglieri regionali Cinquestelle votano compatti contro i Giochi. Tengono duro. Lo scontro sembra solo rinviato.