IL PATTO MORO-BERLINGUER E QUEL GOVERNO ANDREOTTI CHE NEL ’76 ANDÒ DI TRAVERSO AGLI USA

Paolo Forcellini e Stefania Maurizi per "L'Espresso"

Lo scorso 8 aprile, parlando della necessità di «larghe intese» per uscire dallo stallo politico, Giorgio Napolitano ha rievocato la strategia berlingueriana del compromesso storico tra Partito comunista e Democrazia cristiana negli anni Settanta. È una delle ironie della storia vedere come il tempo ha rovesciato le carte della politica italiana in una sorta di gioco di specchi.

Napolitano, il comunista a cui oltre trent'anni fa gli americani negarono il visto di ingresso negli Usa, per evitare di dare «un attestato di rispettabilità» al Pci, oggi non solo è l'italiano più amato dalla Casa Bianca, ma è anche il grande sponsor di un possibile compromesso, simile a quello inviso agli americani ai tempi di Richard Nixon, Gerald Ford e del potente segretario di Stato Henry Kissinger.

A confermare l'opposizione netta a un accordo tra la Dc e il partito di Berlinguer, rivelando anche i retroscena delle mosse diplomatiche americane, sono i "Kissinger Cables" di WikiLeaks , appena pubblicati dall'organizzazione di Julian Assange e ai quali "l'Espresso" ha avuto accesso esclusivo per l'Italia in collaborazione con "Repubblica".

DC MALE ORGANIZZATA
È il 5 dicembre 1973 e il segretario della Dc, Amintore Fanfani, si reca per una «lunga colazione di lavoro» alla residenza pariolina dell'ambasciatore americano, John Volpe, che il giorno successivo trasmette alla segreteria di Stato un resoconto del colloquio. Fanfani gli è apparso «ragionevolmente soddisfatto» riguardo alla compattezza della coalizione di centrosinistra guidata da Mariano Rumor, ma non fa mistero dello stato pietoso in cui si trova la Dc.

«Fanfani ha descritto la disorganizzazione come incredibile», scrive Volpe, «ha parlato di "disintegrazione" dell'organizzazione, una cosa che lui trova patetica, considerato che stiamo parlando del più grande partito italiano». E gli americani sanno bene cosa intende dire Fanfani. I cablo di quegli anni registrano che la diplomazia Usa assiste preoccupata e a tratti spazientita alle lotte interne di quel partito che vorrebbe vedere rigenerato, attivo e dotato di iniziativa contro un Pci che s'ingrossa, cresce in voti, prestigio e legittimazione.

Invece no, la Dc è dilaniata dai contrasti tra correnti e da un'incapacità di promuovere perfino le cose buone che ancora ha. Per esempio, un apparato meno elefantiaco del Pci, nonostante l'immagine pubblica di quest'ultimo sia nettamente migliore. La Dc, spiega Fanfani, dispone di un numero di funzionari di gran lunga inferiore a quello del Pci. Nella sola Emilia i comunisti hanno 250 dipendenti pagati contro i circa 500 della Dc nell'intera Italia. Eppure i democristiani arrancano rispetto a quel Pci vitale, proiettato in avanti. Troppo avanti per gli americani.

Sono preoccupati, ma con Fanfani vanno sul sicuro. L'ambasciatore nota che «riguardo all'offerta del Pci di un "compromesso storico", come è chiamato il più recente tentativo dei comunisti di infilarsi nel governo, Fanfani ha detto che il suo partito rimarrà fermamente contrario. Ovviamente il Pci offrirà la "carota" della collaborazione, riservandosi il "bastone" di possibili pressioni da parte del sindacato». Ma il leader dc è netto, come piace agli americani: «In un futuro prevedibile, il partito non entrerà in nessun compromesso con i comunisti».

SINDROME CILENA.
L'allarme americano per un possibile ingresso dei "rossi"nelle stanze dei bottoni si era intensificato enormemente subito dopo le famose tre articolesse pubblicate su "Rinascita" dal segretario di Botteghe Oscure. Il 28 settembre, il 5 e il 12 ottobre del '73, il già carismatico Berlinguer (di fatto aveva preso il posto dell'infermo Luigi Longo fin dal 1969) dà alle stampe, sul settimanale ideologico del Pci, le sue riflessioni sui "fatti cileni", vale a dire sul golpe con cui i militari del Paese latino-americano, con il decisivo contributo dei servizi segreti Usa, deposero il legittimo "compañero presidente" Salvador Allende, socialista-marxista, e lo indussero, probabilmente, a togliersi la vita.

Il segretario comunista conclude la sua analisi sostenendo che sarebbe stata temeraria la conquista del potere in Italia da parte della sinistra con il 51 per cento dei consensi elettorali. Una strategia del genere avrebbe esposto il Paese a rischi di tipo cileno: ingovernabilità, guerra civile, golpismo militare. La via maestra era invece quella della «collaborazione delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica». Per dirla con una sintesi più efficace il leader sardo coniò la formula del "compromesso storico".

L'uscita di Berlinguer su "Rinascita" viene prontamente riferita dall'ambasciata di Roma al Dipartimento di Stato, segnalando come il segretario abbia «inequivocabilmente rinunciato alla strategia dell'"unità della sinistra" in favore di una spinta molto più promettente nel lungo termine per un grande compromesso storico con la Dc».

Nel novembre del '74 Mariano Rumor lascia la poltrona di premier ad Aldo Moro, sostenuto da un monocolore dc. Gli americani si chiedono se il cambiamento rappresenti, almeno in prospettiva, un avvicinamento dei comunisti al governo. Volpe, con un cablo del 25 novembre spedito a Washington e a numerose sedi diplomatiche americane nel mondo, rassicura i suoi: «Il quarto governo Moro non rappresenta né uno scivolamento verso la sinistra né verso la destra».

È vero che nell'esecutivo figurano personaggi che non entusiasmano la Casa Bianca, come Donat Cattin «non ricettivo verso i bisogni delle compagnie petrolifere americane che operano in Italia, in tema di prezzi», ma complessivamente gli Usa sembrano rassicurati, anche perché «la squadra economica del governo promette bene», scrivono nei loro dispacci diplomatici.

Quest'ultima è una valutazione della massima importanza, considerata la situazione economica del momento. Proprio la crisi, in quegli anni, era tale da rendere l'ipotesi di un avvicinamento dei comunisti al governo ancora più credibile. La classe politica che era stata al potere da Alcide De Gasperi in poi non era più in grado di "governare" l'insoddisfazione sociale e le spinte "corporative", se non assecondandole con la dilatazione della spesa pubblica (fra il 1971 e il 1975 passata dal 41,2 al 61,3 per cento del Prodotto interno lordo che, proprio nel '75, per la prima volta dal dopoguerra registrava una variazione negativa) e lasciando briglia sciolta all'inflazione.

L'ONESTO ZAC FA PAURA
È con Moro al governo che le preoccupazioni degli Usa per l'ingresso dei comunisti nel governo crescono esponenzialmente, come i cablo di WikiLeaks documentano in modo puntuale. Aldo Moro? «È da tempo convinto che il Pci alla fine entrerà nella maggioranza», sussurra agli americani il compagno di partito Flaminio Piccoli, aggiungendo che Moro «crede che il suo ruolo sia quello di fare in modo che questo accada con il minor trauma possibile».

Quanto a Benigno Zaccagnini è sì un uomo onesto, che potrebbe rinnovare la Dc, ma è uno «che crede nel profondo del cuore che la Dc debba accettare il Pci nella maggioranza. Il segretario dello scudocrociato sta cercando di dare alla sinistra della Dc il controllo del partito», insiste Piccoli.

Un peccato per gli americani, perché di Zaccagnini dimostrano di avere una grande considerazione: «Una nota non ufficiale presente nei dossier di questa sede diplomatica», scrivono, «parla di lui come dell'italiano più profondamente integro che l'ambasciata abbia mai conosciuto». Sarebbe perfetto, dunque, per«cambiare l'immagine pubblica della Dc come partito di vecchi stanchi e (spesso) corrotti politici, incapaci di offrire un governo efficace all'Italia».

Il problema, però, è che Zaccagnini è «molto legato a Moro». Sono le elezioni regionali del 1975 a far scattare l'allarme rosso. La Dc perde una fetta consistente di voti, mentre il Pci balza a oltre il 33 per cento. Enrico Berlinguer e la sua strategia sono sempre più un problema. «Si prende il merito totale di aver dato vita e alimentato la linea politica del partito, ovvero la strategia del compromesso storico, che ha contribuito al più grande guadagno elettorale del Pci nel dopoguerra, attirando una massa di elettori per i quali nel passato sarebbe stato inconcepibile votare per il Pci», registrano gli americani.

Né li rassicurano le conversazioni confidenziali con le loro gole profonde nel mondo della politica italiana, dei giornali e degli affari. Nessuno mette in dubbio le credenziali democratiche del Pci. Neppure un anticomunista a 24 carati come Indro Montanelli. «I Berlinguer e gli Amendola sono sinceri nel volere evitare un comunismo di tipo sovietico in Italia», spiega il grande giornalista, «dopotutto loro ne sarebbero le prime vittime. E loro lo sanno. Ma una volta al potere, (i comunisti italiani) sarebbero impotenti», ragiona Montanelli, «Berlinguer non sarebbe più in grado di dire a Mosca e agli estremisti del suo stesso partito che lui deve attenersi alle regole democratiche».

IL SINCEROMETRO
Tanti contatti eminenti degli Usa in Italia credono nella «buona fede democratica di Berlinguer», ma fanno la stessa analisi. Anche Gioacchino Albanese, uomo vicinissimo al grande burattinaio della finanza italiana, Eugenio Cefis. Perfino i gesuiti di padre Bartolomeo Sorge.

Ma, più realista del re, il grande esponente della realpolitik americana, Kissinger, conclude: non ha senso chiedersi quanto i comunisti siano sinceri nella loro fede democratica, «non esiste il sincerometro diceva Lenin».

Né rassicurano il potente segretario di Stato americano le uscite di Berlinguer sulla Nato o il fatto che i comunisti procedano con un cammino graduale di avvicinamento al governo, anzi questa cautela allarma ancora di più Kissinger, convinto che «la reazione internazionale sarebbe probabilmente il mutismo se il Pci aumentasse il suo ruolo in maniera solo graduale e se la Dc rimanesse il leader nominale della coalizione».

È fondamentale per la diplomazia Usa che il Pci non ottenga «le tre benedizioni» che cerca disperatamente, come scrivono gli americani: quella del popolo italiano, che purtroppo sembra già avere incassato, perché «una larga fetta della popolazione accetta le affermazioni del Pci riguardo alle sue credenziali democratiche»; quella del Vaticano e quella degli Stati Uniti.

Benedizioni che gli americani sono determinati a evitare assolutamente, rassicurati dalla fermezza della Santa Sede che «di fronte all'avanzata dei comunisti, si è scossa dalla sua passività nei confronti del Pci». Di sicuro un baluardo fortemente anticomunista su cui puntano gli americani è Comunione e liberazione fondata da don Giussani. A lui il console Usa di Milano arriva a chiedere: «Come possiamo darvi una mano?». Risposta: «Aiutate il Movimento unitario popolare di Roberto Formigoni, don Angelo Scola e Santo Bagnoli della Jaca Book».

Tutto il lavorìo americano di quegli anni subirà però una pesante battuta d'arresto nell'estate del 1976 con il varo del monocolore Andreotti favorito dall'astensione determinante del Pci. Tanto da essere ribattezzato «il governo delle astensioni».

 

 

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