Andrea Scanzi per Il Fatto
LUIGI LUSI IN SENATO IL GIORNO DEL VOTO SUL SUO ARRESTO jpegIl peculato cambia. Nell'ostentazione, più che nella metodologia. Lusi, Belsito, Fiorito: i tre stadi della ruberia. Luigi Lusi espia ora le sue colpe nel Monastero della Madonna dei Bisognosi. Come tesoriere della Margherita, nel 2011 spendeva 218.250 euro del partito. Settantamila per una vacanza tra Toronto e Bahamas. Ventimila come cresta sul rimborso spese. Centottanta per un piatto di spaghetti al caviale.
Dietro i modi eleganti, e il portamento fiero, emergevano già le coordinate dello status da esibire: luoghi esotici, cene di lusso. Da una parte Lusi vagheggiava - non senza una certa astrattezza "colta" - una nuova politica, dall'altra dimostrava di poter barattere tutto in nome del caviale. Più ancora: dell'espressione che fa il cameriere quando dimostri che tu, e solo tu, puoi ordinare quel piatto lì.
FRANCESCO BELSITOIl sottotesto, quasi sempre, è lo stesso: "Io posso e voi no". Applicato, possibilmente, a scenari ultraterreni: il cibo, il viaggio. E il sesso, pure quello da mostrare. Tra una cena elegante e una festa sobria (ieri statue di Priapo da baciare, oggi nuovi Ulisse da omaggiare).
Con Francesco Belsito l'orizzonte muta. Si alza l'asticella, quantomeno intendendo come volta stellata il tragicomico. Compaiono fondi in Tanzania, lauree in Albania, cerchi magici. Streghe. Autisti spioni. Trote con bancomat. Le fattezze del protagonista aggiungono alla sceneggiatura un che di squisitamente lombrosiano. Un tratto, unito ai cognomi in qualche modo floreali e paesaggistici, recuperato e rilanciato da Franco Fiorito.
enrico depedisCon lui si raggiunge il grado ultimo, per simboli e per estetica, della ruberia. Il caricaturale esonda, anche nelle interviste alla madre, che ne descrive i 170 chili come quintessenza candida di intelligenza e onestà. Aggiungendo che - addirittura - a 3 anni leggeva Topolino (e non si capisce se lo riveli come attenuante o aggravante). In Fiorito è surreale anche il soprannome, "Er Batman", un po' come chiamare Renzo Bossi "Er Kierkegaard". Lui, del resto, preferisce definirsi "er federale de Anagni", inconsapevole - o forse no - di ricordare in ogni gesto e parola un personaggio minore, e male interpretato, di una commedia di Carlo Verdone.
Un Mario Brega che non ha mai potuto permettersi di essere Mario Brega. Un laziale impigliato in una vecchia canzone di Alberto Fortis. Un Dandi, inteso come versione telefilmica di Renato De Pedis, il boss parafighetto della Magliana, che al ristorante - prima di andare in bagno a "sgrullarselo" - trangugia rumorosamente le ostriche, perché ormai le ha pagate, di fronte a una fidanzata (prostituta) più schifata che attonita. E le ostriche contano, nel regno dell'ostentazione coattissima, perché sottolineano l'idea di potere. La ricchezza bulimica. Il dominio vorace. L'ostentazione, qui, è l'immaginario. E l'immaginario è tamarro. Tamarrissimo.
MARIO BREGAIl mondo di Fiorito è fatto di ostriche e aragoste. Champagne, ma anche pajata: l'anelito allo chic, unito però alla rimarcatura delle origini. Il nuovo ricco resta povero, per modelli e per miraggi. Non esce dalla barzelletta burina. Rimane la Bmw. Permane l'auto blu. E non manca la biondona, chiaramente appariscente, da sfoggiare contro chi ritiene impensabile che uno così possa circondarsi di belle donne (o "fighe", per meglio dire).
CARLO DE ROMANIS TRAVESTITO DA ULISSE CHE TORNAE' la suburra, l'eldorado del Cafonal. L'unico regno in cui Carlo De Romanis, non per nulla vice di Fiorito, può definire "feste sobrie" dei ritrovi in cui ci si reinventa antichi greci: "Io faccio Ulisse, tu il Minotauro". La storia come credenziale posticcia, come Carnevale permanente: come copertaccia di Linus per mascherare il vuoto. Ancelle, giare, centurioni. Arcieri, mojito, calzari. E un fucile mitragliatore: messo così, a tradimento, in mezzo alla parodia del passato. Come un bizzarro flashforward, se solo gli officianti ne conoscessero il significato.