Fabio Pavesi per "Ilsole24ore.com"
DISOCCUPATIQuei 4 miliardi dell'Imu sulla prima casa che potrebbero venire restituiti agli italiani saranno il vìatico per l'uscita dalla crisi? Per come è messo il Paese, quei 4 miliardi di risorse rischiano di essere solo un pannicello caldo.
Su un bilancio dello Stato di 800 miliardi sono lo 0,5 per cento. Poca cosa. Il Pil è crollato di 2,4 punti percentuali nel 2012 e le stime Ocse parlano di un -1,8% per il 2013. Senza contare che dal 2007 la caduta della ricchezza italiana è stata di almeno 10 punti (circa 160 miliardi di reddito nazionale in meno).
IMUQuei 4 miliardi, con la domanda interna crollata in un solo anno del 4%, 3 milioni di disoccupati, aziende a centinaia che chiudono, una produzione industriale scesa del 25% dall'inizio della crisi e 60 miliardi di credito negato a imprese e famiglie solo nell'ultimo anno, sono una goccia nel mare.
La verità è che per invertire la rotta verso il baratro cui è destinato il Paese servirebbe un elettrochoc. Cioè un allentamento della pressione fiscale che restituisca soldi a famiglie e imprese.
Un compito immane. Pensiamo solo al taglio dell'enorme cuneo fiscale che grava su imprese e lavoratori. Come ha documentato uno studio pubblicato da LaVoce.info, un taglio dei contributi previdenziali del 2,5% costerebbe allo Stato 16,7 miliardi. Per avere impatti significativi il taglio dovrebbe collocarsi almeno al 5% e quindi con un costo di 33 miliardi. Una manovra che consentirebbe a un lavoratore di 50 anni con un reddito di 50mila euro lordi di avere 833 euro in più in busta paga e consentirebbe al datore di lavoro di risparmiare 1.600 euro su quel lavoratore.
Enrico LettaPoi c'è la proposta avanzata da Letta di un reddito alle famiglie bisognose. Stimando che le famiglie in gravi difficoltà siano 3 milioni e destinando 1000 euro al mese, si avrebbe un onere per lo Stato di 36 miliardi l'anno. Un contributo di 500 euro al mese significherebbe 18 miliardi di impegni.
letta barrosoPassiamo all'Iva. Evitare il rialzo di un punto percentuale dal 21% al 22% costa 1,1 miliardi. Poi c'è il finanziamento della Cassa in deroga per almeno un altro miliardo. Per sommi capi e in modo approssimativo un intervento drastico sul rilancio dell'economia che non si limita all'Imu sulla prima casa necessiterebbe di almeno 60 miliardi. Del resto è il corrispettivo della stretta fiscale imposta tra il 2011 e il 2012 dai Governi Berlusconi-Monti che è valsa 4 punti di Pil, circa 60 miliardi appunto. E che, se ha riportato il deficit sotto il 3% come chiesto da Bruxelles, è in buona parte corresponsabile della pesante caduta recessiva che vive il Paese da ormai 18 mesi.
MARIO DRAGHIPurtroppo quei 60 miliardi di risorse da destinare all'economia non possono essere realizzati sforando il tetto del 3% di disavanzo. Ad altri, Spagna e Francia, è stato concesso di scavallare oltre il 5-6% ma solo perché il rapporto tra debito e Pil è molto meno alto di quello italiano, che ormai veleggia al 130% del reddito prodotto dal Paese.
Resta una sola possibilità: quella di mettere finalmente mano a un taglio della spesa pubblica che vale ormai oltre il 51% del Pil.
Tre-quattro punti in più rispetto ai nostri competitor europei. Ma tagliare la spesa pubblica è sempre stato un tabù per la politica italiana. Ed è missione difficile, se non impossibile. Di quegli 800 miliardi di bilancio, ben 170 miliardi servono a pagare gli stipendi dei dipendenti dello Stato e delle amministrazioni pubbliche; 130 miliardi è la spesa per i beni e i consumi per far funzionare (o disfunzionare?) la macchina pubblica; tra pensioni e prestazioni sociali se ne vanno oltre 300 miliardi.
Come si vede, ben 600 miliardi su 800 miliardi paiono intoccabili. Si aggiungano 80 miliardi per pagare gli interessi sul debito e la coperta si stringe ancora di più. Restano 120 miliardi di spesa aggredibili. Ma nonostante le buone intenzioni la spending review del Governo Monti ha partorito il topolino.
Risparmi di spesa reali nel 2012 per soli 4 miliardi. Questa volta però non si può più giocherellare. Se si vuole rompere l'assedio che morde l'economia italiana lo sforzo del Governo dovrebbe mettere sul piatto almeno 60 miliardi di risorse per il rilancio. Ma senza un taglio di altrettanta entità della spesa, la montagna rischia di partorire il topolino anche questa volta. Con il rischio però che sia troppo tardi per le residue chance del Paese.