Niccolò Zancan per “la Stampa”
Due clienti all’Alikò. La sala era deserta. Le cameriere stavano sedute al bancone, senza ordinazioni da prendere. Bevevano gin tonic da cannucce colorate, con il naso nei bicchieri.
Irene Anastasiu beveva e piangeva contemporaneamente: «Sono ansiosa, sto male. Come Alexis Tispras, il nostro eroe. Lo sai che ha avuto due attacchi di panico a Bruxelles? È dovuto andare in ospedale, sta soffrendo come un cane, poveraccio. Stiamo soffrendo tutti. Ci vogliono umiliare. La Germania ci tratta in modo disumano. Non capisco letteralmente a che punto vogliano arrivare. Questa è la notte più brutta della mia vita».
Un mese fa all’Alikò ballavano tutti. La sala ribolliva di musiche turche. È in quella zona di vicoli, dietro piazza Monastiraki, nella direzione opposta al lato turistico. Ci vengono ragazzi greci con gli skate. C’era un concerto ogni sera, birra a 2 euro, giochi di società e canzoni in coro.
Ma l’altra notte sembrava un funerale. Le strade erano vuote, nessuno entrava all’Alikò. Le cameriere leggevano le notizie nei telefonini. Il proprietario, Aris Batris, aspettava a braccia conserte: «Oramai da anni i clienti non spendono più di 5 euro a sera. Ma la gente è sempre uscita. Lo so che ci criticano anche per questo, siamo poveri ma è nella nostra natura. È incredibile ritrovarsi così soli».
Era la notte prima dell’accordo. Con le condizioni sempre più gravose, con le riforme da approvare in tre giorni, con il dubbio che fosse tutto inutile. Due fidanzati si abbracciavano da soli alla fermata della metro, in piedi contro il buio. «Ce la faremo», continuavano a ripetersi.
Una lunga coda di taxi gialli fermi in via Ermou. Salivi sul primo e in pochi minuti potevi arrivare in cima al colle del Licabetto. Nel posto più panoramico di Atene, una domenica di luglio, c’erano in tutto sette persone. Una di queste, era una turista americana obesa, completamente ubriaca, che trattava male i camerieri. È stata quella notte disperata a produrre titoli del genere: «La Grecia ad Auschwitz!». Così strillava ieri mattina il quotidiano Dimokratia da tutte le edicole. Poi, finalmente, dopo 29 giorni di incertezza assoluta, code ai bancomat, manifestazioni, «No» e «Sì», voti e preghiere, rabbia, silenzi e ristrettezze quotidiane, è arrivata la notizia dell’accordo.
Atene è una città che segue ancora vecchi ritmi. Si è svegliata lentamente, ma poi ha ripreso a vivere. Il mercato del pesce di via Athinas era affollato. Il sole picchiava a 38 gradi. Nuovi turisti sbarcavano dai pullman per andare a visitare il quartiere della Plaka. «È strana l’atmosfera che si respira» diceva Benjamin Bossert, cittadino belga e professore universitario di olandese.
Potevi vedere la stanchezza dei greci. Ancora piccole code sotto le insegne delle banche. Vedevi i cartelli negli alberghi con sopra scritto: «I turisti non hanno alcuna limitazione di prelievo». Si presentava per la prima volta ad Atene John Schaffer, 19 anni, «da un sobborgo di Londra», aspirante regista, con i capelli rossi e la pelle già scottata: «La Grecia è il posto più bello che ho visto nella mia vita». Ciliegie sulle bancarelle, acqua gelata nei chioschi.
Nessuno ha festeggiato l’accordo. I venditori ambulanti urlavano le loro nenie. Odore di carne allo spiedo. Clacson di trenini carichi di gente. E incertezza, ancora. Alle sette di sera in piazza Syntagma si sono radunati quelli che vogliono votare «No» anche a questa proposta. Erano pochi e sfiniti a loro volta, come la signora Attinà Kefala: «Saremo costretti a vivere altri anni di miseria. Non ne posso più. Sono condizioni inaccettabili. Preferisco uscire dall’Euro e ricominciare». Hanno bruciato in piazza una bandiera rossa di Syriza. Hanno chiamato Tsipras «traditore».
Il sole è calato sulla facciata del Parlamento poco prima delle nove, un vecchio suonava il bouzouki in mezzo alla strada. All’Alikò entravano ancora pochi clienti. La cameriera Irene Anastasiu era al suo posto: «Oggi va meglio. Io sto con Tsipras. Ha fatto quello che ha promesso: no all’accordo precedente, sì all’Europa.
Lo stanno massacrando, ma io mi fido di lui». Si è affacciato un signore con una barba spessa da filosofo e ha domandato: «Voi avete capito cosa succederà domani?». Il proprietario dell’Alikò si è messo a sciacquare i bicchieri, Irene Anastasiou è sparita in cucina. Poi qualcuno ha acceso la musica a un volume sufficientemente alto.