L'ISIS È PER NOI – SCOVATO SU UN INTERNET IL DÉPLIANT IN ITALIANO DELLO STATO ISLAMICO – SONO 64 PAGINE CHE SPIEGANO COM’È BELLO VIVERE SOTTO LE BANDIERE NERE – UN DOCUMENTO PENSATO PER ITALIANI CONVERTITI E IMMIGRATI DI SECONDA GENERAZIONE
1.”IL MANIFESTO IN ITALIANO DELL’IS. UN MANUALE IN 64 PAGINE PER LA ‘CONQUISTA DI ROMA’”
Alberto Custodero per “la Repubblica”
isis con i prigionieri peshmerga soldati curdi 8
Il Califfato traduce in italiano il suo “manifesto” politico, sociale e religioso. È un documento di 64 pagine, per la prima volta scritto nella nostra lingua, diffuso su web e rivolto ai residenti nel nostro Paese. Il manuale del jihadista intitolato “Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”, contiene l’invito (che è una minaccia per il nostro Paese) ai musulmani di «accorrere» e aderire al «Califfato che conquisterà Costantinopoli e Roma». Il manuale spiega, tra attacchi a “maghi” e “stregoni”, fumatori e tossicodipendenti, il sistema di funzionamento dello Stato islamico: dal welfare, alle tecniche di guerra. A scovare su Internet il documento è stato il sito Wikilao.
Ma l’Antiterrorismo non ha ancora accertato se la traduzione sia stata voluta proprio dal centro propaganda del Califfato. Oppure se sia un’iniziativa spontanea di qualche adepto che ha voluto far conoscere alla comunità musulmana i principi fondanti (si fa per dire) dello Stato Islamico. Quel che è certo è che l’intelligence non sottovaluta questo «nuovo pezzettino di campagna mediatica » che punta a fare una propaganda diretta al nostro Paese. «È un segnale che preoccupa — dicono all’intelligence — anche se non va enfatizzato». «Non ci risulta — precisano fonti degli 007 — che l’Is abbia tradotto i propri documenti in altre lingue ».
isis con i prigionieri peshmerga soldati curdi 7
Il fatto che possa averlo fatto in italiano, dimostra la volontà di potenziare la presenza di potenziali jihadisti in Italia il cui numero, al momento, è decisamente inferiore rispetto agli altri Paesi europei. I “combattenti” italiani recatisi in Siria o in Libia sotto la bandiera nera del Califfato, al momento sono 60, su un totale di tremila partiti dall’Ue. Ma molti sono i giovani musulmani che rischiano di essere “sedotti” dalla propaganda. È il caso di B. A., il tunisino di Gorizia che, nei giorni scorsi, aveva postato un video su Facebook in cui parlava in arabo e maneggiava un kalashnikov.
Subito è scattato l’allarme antiterrorismo temendo che potesse trattarsi di un “lupo solitario” (così si chiamano i terroristi che si indottrinano da sé sul web). Sono stati allertati anche i Nocs della Polizia, alla fine s’è scoperto che il mitra era un giocattolo. Ma tanto è bastato per provare che ormai s’è diffusa la “sindrome Is”, il timore che chiunque possa improvvisarsi attentatore. «Nel momento in cui la sindrome produce paura - commenta l’intelligence - l’Is ha vinto un pezzo della sua guerra mediatica del terrore».
Sul fronte libico, arrivano dettagli sulla natura della missione della Marina che, ieri, ha fatto salpare alcune navi in assetto da guerra verso il Nord Africa. «Stiamo addestrando i nostri uomini in attività che non hanno nulla a che fare con altri scenari », precisa l’ammiraglio Pierpaolo Ribuffo, comandante dell’esercitazione. Informazione confermata dai servizi segreti secondo cui, però, «le esercitazioni si fanno per tenersi pronti».
2. QUEL DEPLIANT PER ‘VENDERE’ IL CALIFFATO IN CASA NOSTRA
Renzo Guolo per “la Repubblica”
COMPARE un documento in italiano attribuito all’Is. Nel testo non si parla specificamente dell’Italia. Il riferimento alla conquista di Roma è ormai una sorta di mantra nell’immaginario islamista radicale. Il testo, o meglio, la sua traduzione sembra più che un documento originale, un collage di materiale propagandistico. Contenuti noti, almeno agli specialisti e a chi si occupa professionalmente della materia. Lo ammette lo stesso autore quando afferma di averne estrapolato parti dalle riviste ufficiali dello Stato Islamico, aggiungendo foto dei servizi che esso offre ai “cittadini” e ampliando il tutto con informazioni che, vuol far sapere, avrebbe raccolto comunicando con mujahiddin e cittadini.
La novità è che l’autore, che si firma Mehdi, sente la necessità di far conoscere la «realtà» dello Stato islamico in italiano. Non in arabo o in inglese, ormai lingua veicolare dei molti musulmani non arabi. Nel tempo della guerra di propaganda, della cyberwar, della mai tramontata contro informazione — la guerra dell’Is e contro l’Is e’ anche questo — ogni documento va soppesato con attenzione, anche per verificarne l’autenticità. Comunque sia, quello postato da “Mehdi l’italiano” contiene locuzioni verbali e espressione linguistiche che farebbero pensare si tratti di un simpatizzante, autoctono o residente, piuttosto che di un membro dell’organizzazione.
In ogni caso il target e’ chiaro: ci si rivolge agli italiani. Si tratti di immigrati di seconda generazione o di convertiti. Altrimenti non vi sarebbe necessità di traduzione. Si individua, dunque, un potenziale bacino di reclutamento. Del resto, i musulmani in Italia sono più di un milione e mezzo e sebbene la maggior parte di loro sia estranea a pulsioni e ideologie radicali, è statisticamente probabile che tra essi vi siano individui con posizioni filojihadiste.
Accade in tutti i Paesi europei, potrebbe accadere anche qui. Nonostante il numero degli italiani tra i foreign fighters, un preciso indicatore del tasso di radicalizzazione della comunità musulmana nazionale, sia notevolmente inferiore non solo a quello di Gran Bretagna, Francia, Germania ma anche di Paesi occidentali più piccoli del nostro. Il cuore del documento, in ogni caso, non è l’appello alla jihad, che ovviamente compare qui e là nel testo, quanto la legittimazione, dello Stato islamico fondato da Al Baghdadi.
L’assalto al cielo del Califfo Nero è stato un azzardo in termini religiosi e politici. Nemmeno Osama Bin Laden all’apice della sua traiettoria aveva osato compiere un simile passo. Non solo perché fautore di una lunga fase di jihad globale contro le «potenze crociate» destinato, nell’intenzione, a mutare i rapporti di forza tra il campo della fede e quello dell’incredenza, espressione dottrinaria non casualmente riportata nel testo; ma perché consapevole che l’eventuale fallimento dello Stato islamico come istituzione avrebbe esposto il mito motore dell’islam radicale a un contraccolpo tremendo.
Se la jihad è lo strumento mediante il quale si distrugge il campo del Nemico, costruire, e far funzionare, lo Stato islamico secondo i principi sharaitici è impresa titanica in un mondo globalizzato. Medhi vuole mostrare come quello Stato — sin qui, egli dice, conosciuto attraverso «i media accusatori» e, espressione inusuale nel linguaggio islamista, «non tramite i media degli accusati» —, funzioni.
Lo presenta non attraverso i ripugnanti video degli ostaggi decapitati o dati alle fiamme, ma con il volto, “rassicurante” della quotidianità. Illustra come funzioni l’assistenza sanitaria, l’ordine pubblico e la giustizia, come si formano gli imam, come le transazioni siano regolate dalla nuova moneta (il dinar), come sia garantita l’alimentazione lecita religiosamente. Insomma, come lo Stato funzioni regolarmente.
Elemento non secondario nella propaganda, perché la scommessa dell’Is è rendere attrattiva l’esperienza. Vincendo le diffuse resistenze dei musulmani che hanno imparato, nella storia, che una cosa sono i principi della dottrina, altro la realtà che richiede continuo adattamento. “Mehdi l’italiano” vuole persuadere e indurre alla partenza verso lo Stato islamico. Nella convinzione che non solo la jihad ma anche il soft power in versione islamista può richiamare i muhajrun, coloro che emigrano per fede, al servizio del Califfato.