Marco Galluzzo per il “Corriere della Sera”
A Roma la considerano una partita politica. A Bruxelles, negli uffici della Commissione, dicono il contrario: «Non è più una partita politica, l'Italia sta giocando con il fuoco». A Palazzo Chigi descrivono ancora Bruxelles come un'entità dal volto cattivo, persino Graziano Delrio, ministro di peso, paragona l'ufficio diretto da Jean-Claude Juncker ad una struttura che vuole sottrarre risorse agli investimenti, ai terremotati, alla crescita: «Ma noi non toglieremo un euro», dice. Nella capitale belga l' analisi è diversa: «Quello che viene richiesto all' Italia è il minimo sindacale per non perdere la faccia di fronte all' Europa».
È una sorta di corto circuito, non solo sul merito, quello che si consuma in queste ore fra Roma e Bruxelles. Un'incomprensione di fondo che ha riverberi interni, visto che fra Palazzo Chigi e il ministero dell' Economia ci sono momenti di tensione: Pier Carlo Padoan soppesa tutti i rischi reputazionali, in termini di costo del debito, di autorevolezza di fronte all'Eurogruppo, che il Paese corre se non promette una reale correzione dei conti pubblici; negli uffici di Paolo Gentiloni è invece ancora predominante la tesi renziana per cui l'Unione Europea ha poco da chiedere e molto da dare, una linea che trova anche Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, fra i suoi iscritti principali.
Le misure che al Mef per ora stanno studiando, le indiscrezioni sull'aumento di un punto di Iva, persino il ritorno di un presunto riordino delle tax expenditures, quelle spese di detrazione fiscale che potrebbe essere rimodulate (se ne parla da anni ma nessuno ha avuto la capacità di affrontarle), dicono che oltre al corto circuito e alle tensioni c'è anche qualche affanno: correggere lo 0,2 in percentuale sul Pil non sarà tanto, ma è una cifra che un'Italia che continua a non crescere come dovrebbe fatica non poco a trovare.
La linea di Gentiloni, che è stata anche quella di Renzi, è all' insegna di un distacco con alcuni paletti: in primo luogo niente che possa deprimere l'economia. E così mentre al Mef cercano di risolvere l'equazione, di trovare spese che non sono state ancora tagliate, negli uffici di Palazzo Chigi si fanno conti di natura diversa: con il dilagare dei populismi, la Commissione ci starebbe spingendo in un cul de sac di cui si avvantaggiano solo i movimenti anti Ue, «semmai servirebbe una manovra espansiva, sforare sul deficit senza più curarsi di Bruxelles». Un anelito che ritorna in modo ciclico, velleitario più che concreto, ma che influenza modi, e tempi, di operare di Palazzo Chigi.
Entro dopodomani il governo deve mandare a Bruxelles una lettera con gli impegni sul bilancio pubblico, impegni che andranno a finire nelle previsioni economiche di primavera, nelle quali la Commissione delinea i trend di deficit, debito e crescita delle economie della zona euro.
il palazzo della commissione europea a bruxelles
Con lo spread che ha ricominciato a salire e il rischio concreto che la Bce sospenda o riduca il programma di acquisto dei nostri titoli di Stato, l'immagine dell' Italia può subire quella repentina «inversione ad U» di cui ha parlato Padoan, seppur commentando un' eventuale procedura di infrazione. Di certo il Paese perderebbe autorevolezza in vista del Consiglio europeo straordinario che a metà marzo celebrerà, proprio nella Capitale, l' anniversario dei Trattati di Roma.
Nel corto circuito sono un attore non secondario i mercati: nel governo esiste anche la tesi per cui premierebbero il coraggio italiano su uno sforamento, a Bruxelles sono convinti del contrario. «Sono quattro mesi che tutti sanno che esiste un buco nei conti, oggi l' Italia ha troppi dossier aperti, a cominciare dalle banche». Si può mettere a rischio una reputazione per lo 0,2% del Pil?