Antonella Baccaro per il Corriere della Sera
Una borsa, un badge e un passo svelto. I collaboratori parlamentari attraversano i corridoi che contano al seguito di un onorevole avvolti da un velo di mistero. Quanti sono? Come vengono pagati? A questa domanda hanno tentato per la prima volta di dare una risposta, nel luglio scorso, i questori della Camera Stefano Dambruoso (Civici e Innovatori) e Paolo Fontanelli (Mdp). «Il dato complessivo che ci risulta è di 612 contratti - riportò allora il Sole 24 Ore - dei quali 315 (51%) di collaborazione. Mentre gli altri sono suddivisi tra 150 contratti di lavoro subordinato (25%) e 147 autonomi (24%). Non sono disponibili per ora cifre sugli importi».
Stime di questo tipo non sono ancora state fatte al Senato ma è ragionevole ipotizzare che i numeri vadano dimezzati. Circa la retribuzione, nel silenzio dell' ufficialità, è l' Aicp, Associazione dei collaboratori parlamentari, a dare qualche cifra: la stima oscilla tra gli 800 e 1.200 euro mensili netti. I tipi di contratto in essere sono almeno tre: vecchi co.co.co, finte partite Iva travestite da consulenze e contratti a tempo determinato. «A volte qualcuno di noi finisce per lavorare per due-tre parlamentari contemporaneamente - spiega il vicepresidente di Aicp, Josè De Falco - altrimenti non si arriverebbe a fine mese».
Il problema della retribuzione è centrale in questa vicenda: il budget mensile a disposizione dei parlamentari per pagare i collaboratori è pari a 3.690 euro alla Camera e a 4.180 euro al Senato. Si tratta di «spese per le attività istituzionali», vale a dire, consulenze, convegni, sostegno alle attività politiche sul territorio, utilizzo di banche-dati, ecc.
Funziona in questo modo: la cifra viene erogata per l' intero subito e poi solo per metà deve essere rendicontata quadrimestralmente; l' altra metà invece è erogata forfettariamente. Decidere quanta parte di questo budget riservare al collaboratore sta a ogni parlamentare che ha anche l' obbligo di depositare presso gli uffici competenti il contratto del proprio assistente, scegliendo il tipo. «Quello che accade molto spesso - racconta De Falco - è che ai collaboratori vengano riservate le briciole».
Eppure le promesse non sono mancate. Ad esempio, lo stesso Dambruoso, presentando i dati aveva rinviato a una settimana dopo ulteriori rivelazioni, in concomitanza con la presentazione della relazione sul bilancio della Camera per il triennio. In realtà niente altro è stato svelato, mentre nella relazione si legge che «i deputati questori hanno ulteriormente approfondito il tema della disciplina del rapporto di lavoro tra deputato e collaboratore, tenuto conto delle soluzioni individuate dai principali Paesi europei, e confermano che l' attuale situazione di bilancio non consente di destinare al pagamento diretto delle retribuzioni dei collaboratori da parte dell' Amministrazione risorse finanziarie equivalenti a quelle impiegate negli altri Parlamenti».
Ma qual è lo schema seguito dall' Ue? Il parlamentare sceglie in autonomia il tipo di contratto ma questo poi viene stipulato dall' amministrazione. Un modo semplice per rendere trasparenti retribuzioni e contratti che ora, per lo più, non prevedono tutele per malattie e maternità e ovviamente neanche tredicesima. Un disegno di legge che ci permetterebbe di raggiungere lo standard europeo è all' esame da tempo della commissione Lavoro alla Camera.
«Sì, ma basterebbe che l' ufficio di presidenza ci convocasse per raggiungere un accordo» auspica il vicepresidente Aicp. Ieri la presidente della Camera Laura Boldrini ha incoraggiato l' ufficio di presidenza a muoversi in questo senso. Sperando sia la volta buona.