Tonia Mastrobuoni per "la Stampa"
grecia - PapademosLa leggenda narra che alla fine delle dodici fatiche, Ercole abbia costruito il primo stadio olimpico per dedicarlo a Giove. E i reperti archeologici ci dicono con ragionevole certezza che già nell'ottavo secolo avanti Cristo nella città greca di Olympia si correva, si saltava e si tiravano a gara oggetti vari. È ovvio, allora, che il ritorno dei Giochi olimpici in patria non poteva che diventare un evento epocale. Ma in un certo senso la festa sportiva più attesa dello scorso decennio ha anche significato l'inizio della fine, per la Grecia.
A un primo sguardo è vero, come sostiene un documento del Cio che tenta un paragone tra le olimpiadi di Atene del 2004 e quelle che si sarebbero potute tenere a Roma nel 2020 se Monti non si fosse opposto con un sobrio «no», che il peso del debito è rimasto «costante», prima dei Giochi. Era al 97 per cento del Pil nel 1997 e al 99 nel 2004. Niente scossoni, dunque, a un primo sguardo la curva del debito sembra piatta.
E, sempre osservando superficialmente un altro dato, quello sulla crescita, la notizia giunta a metà degli Anni 90 dell'assegnazione delle olimpiadi alla Grecia sembra aver messo letteralmente il turbo al Pil ellenico. Il ritmo è stato in media del 7 per cento all'anno, «doppio rispetto a quello italiano e particolarmente elevato negli anni precedenti ai giochi». Una manna, insomma.
evangelos venizelosDove sta l'inghippo? Semplice, nella qualità della spesa e della crescita. Si potrebbe dire che c'è debito e debito. E quello che Atene ha accumulato in vista dei Giochi è stato pericoloso e improduttivo. E quando l'euforia è finita, è come se fosse scoppiata una sorta di «bolla» delle Olimpiadi. Con conseguenze devastanti sui conti pubblici.
Sintetizza Paolo Guerrieri, economista della Sapienza e del College of Europe di Bruges: «Il sospetto forte è che l'economia sia stata gestita nel più totale disprezzo della capacità di fare reddito, scavando buchi sia sul deficit interno sia su quello esterno». In altre parole: i governi che si sono susseguiti dal 1994 al 2004 non si sono mai preoccupati di vedere se le spese folli finanziate con ingenti prestiti dall'estero per finanziare il nuovo, mega aeroporto e l'allungamento della metropolitana di Atene o per costruire i magnifici impianti progettati dall'archistar Calatrava creassero davvero ricchezza.
COPERTINA DI TIME CON MARIO MONTIQualche dettaglio. A partire dalla metà degli Anni Novanta due indicatori importanti dell'economia ellenica sono andati pericolosamente in direzione opposta. D'un lato ha cominciato a crescere la spesa corrente della pubblica amministrazione, quella per consumi e stipendi, per intenderci. Lo Stato ha creato nuovi posti di lavoro, ha aumentato gli stipendi e ha speso di più.
greciaRisultato: tra il 1994 e il 2000 questa voce è aumentata vertiginosamente, dal 13,8 al 20 per cento. Ed è scontato osservare che questa è la classica spesa molto difficile da tagliare. Ed è altrettanto difficile che faccia da volano all'economia. Contemporaneamente il saldo delle partite correnti è peggiorato mostruosamente: da un sostanziale pareggio del 1994 si è arrivati a un deficit del 15 per cento nel 2004.
GRECIA SCONTRI DI PIAZZA jpeg«La Grecia ha prodotto in questo periodo un twin deficit, un deficit gemello enorme», spiega Paolo Manasse, docente all'università di Bologna ed esperto di Grecia. In altre parole «il periodo di crescita sostenuto non è stato accompagnato da un incremento della produttività ma da investimenti finanziati dall'estero sempre più improduttivi». E pericolosi. Perché, come ricorda invece Guerrieri, «quando questa gigantesca tendenza a creare posti di lavoro fittizi è crollata, anche perché è finita la possibilità di fare prestiti a basso costo, è crollato tutto». La crisi greca, insomma, è cominciata prima dello scoppio della bolla immobiliare americana. È cominciata con la fine dell'euforia olimpica.
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